Il valore ultrattivo dell'azione riformatrice americana
La riforma sanitaria Usa
Seguiamo l'esempio americano per proporre anche in Europa elementi di riforma globaledi Angelo De Mattia - 24 marzo 2010
La riforma sanitaria Usa non sarà una vittoria di Pirro. Obama la difenderà spiegandola alla gente ed è possibile che egli riuscirà a smontare gli “ idola fori” che i repubblicani stanno diffondendo. Ma la riforma ha un valore ultrattivo perché essa catalizzerà l’altra riforma, quella finanziaria. Portando a termine quest’ultima rivisitazione, il presidente Usa avrà modo di presentarsi ai cittadini come il difensore dei clienti e degli utenti , tutti inviperiti con il sistema bancario a causa di quei non pochi istituti che hanno concorso alla crisi finanziaria globale, sfruttando spazi normativi o vuoti regolamentari prodotti dalla precedente amministrazione.
Chi oserà contrastare una linea della specie? L’opposizione potrà suonare la diana e tentare una ( improbabile) rivincita facendo leva demagogicamente su alcune previsioni della riforma sanitaria; ma su quella finanziaria, nonostante che le lobby incalzino, gli spazi per manovre strumentalizzatici sono pressoché inesistenti. Ieri, la Commissione bancaria del Senato ha approvato a maggioranza il progetto di Chris Dodd per riformare l’ordinamento finanziario. Contiene norme a tutela dei consumatori, con l’istituzione, all’interno della Federal Riserve, di una apposita divisione per tale compito; una versione della Volcker rule che proibisce alle banche di deposito l’operatività in titoli per conto proprio – il cosiddetto proprietary trading – e l’investimento in hedge fund; giustamente ritenendo appropriato, a differenza di quel che pensano alcuni soloni anche europei, non staccare la vigilanza finanziaria dalla politica monetaria, accresce le attribuzioni della banca centrale attribuendole la supervisione sulle banche con asset oltre i 50 miliardi di dollari e conferendole il potere di imporre agli istituti di credito di ridurre i rischi o di sospendere determinate pratiche speculative. Al centro di questo intervento riformatore c’è soprattutto la protezione del consumatore.
I contribuenti americani non si troveranno mai più a pagare il prezzo dell’irresponsabilità delle nostre maggiori banche e delle istituzioni finanziarie, ha detto Obama. Si tratta di una parola d’ordine di grande efficacia comunicazionale. Ora la riforma dovrà affrontare il voto dell’aula e il passaggio non è affatto semplice. Ha dalla sua, tuttavia, quel che si è potuto constatare con la tempesta finanziaria perfetta. L’iter parlamentare Usa parla anche all’Europa, che in questi giorni sta dando prova di inconcludenza e di irresolutezza sul delicato argomento del sostegno alla Grecia. Di recente, la riforma delle regole per i derivati di credito e per gli hedge fund è stata rinviata dall’Ecofin a una successiva riunione, vista la netta contrarietà inglese. Lungamente, e senza concludere alcunché, si è discusso, nelle istituzioni europee, sulla eventualità di una tassazione delle transazioni finanziarie – progetto, per la verità, assai complesso e discutibile – e a un certo punto si è immaginato, addirittura, di fare della disciplina dei trattamenti variabili dei manager una sorta di alternativa a un tale disegno di imposizione. Frequentemente, si è evocato il rischio di arbitraggi normativi per giustificare gli indugi, nel vecchio Continente, nel prendere la testa di un necessario processo per giungere a nuove regole delle attività economiche e finanziarie. Il Financial Stability Board, presieduto da Mario Draghi, ha prodotto un lavoro enorme, al quale basterebbe attingere per promuovere almeno quelle norme di cui si avverte maggiormente la necessità e l’urgenza.
E, invece, domani inizia il vertice dei Capi di Stato e di Governo e ancora non è chiaro se si concluderà o no con una delibera precisa sul caso Grecia - che, di questo passo, da tragedia rischia di tradursi in commedia – se ci si dovrà rivolgere, dopo un mese e mezzo di discussioni in cui è stato detto tutto e il suo contrario, al Fondo monetario internazionale, se si dovrà ricorrere, in aggiunta, a interventi statali bilaterali, etc. Una immagine più confusa l’Unione e l’Eurosistema non potrebbero dare. Finora, negli anni è mancata la single voice su questioni di alta politica e sulle relazioni internazionali. Ma, ora, il deficit si avverte anche nella trattazione dei problemi economici. Intanto, la Germania si starebbe accingendo a introdurre una tassa sulle attività delle banche. La sola istituzione che si esprime con lucidità e coerenza è la Bce: si può anche dissentire nel merito, ma non si può disconoscere che essa ha una linea, che poi discende dai Trattati e dall’ordinamento comunitario.
L’accelerazione riformatrice americana dovrebbe essere uno sprone per l’Europa in campo finanziario, sia per adottare quelle misure oggetto di tante discussioni e poi rinviate, sia per agire d’anticipo negli organismi internazionali ( a partire dalle prossime riunioni di aprile del Fondo monetario e della Banca mondiale ) per proporre elementi di riforma globale. E una efficace ed unitaria decisione sulla crisi greca – oggi spes contra spem - costituirebbe un importante viatico.
Chi oserà contrastare una linea della specie? L’opposizione potrà suonare la diana e tentare una ( improbabile) rivincita facendo leva demagogicamente su alcune previsioni della riforma sanitaria; ma su quella finanziaria, nonostante che le lobby incalzino, gli spazi per manovre strumentalizzatici sono pressoché inesistenti. Ieri, la Commissione bancaria del Senato ha approvato a maggioranza il progetto di Chris Dodd per riformare l’ordinamento finanziario. Contiene norme a tutela dei consumatori, con l’istituzione, all’interno della Federal Riserve, di una apposita divisione per tale compito; una versione della Volcker rule che proibisce alle banche di deposito l’operatività in titoli per conto proprio – il cosiddetto proprietary trading – e l’investimento in hedge fund; giustamente ritenendo appropriato, a differenza di quel che pensano alcuni soloni anche europei, non staccare la vigilanza finanziaria dalla politica monetaria, accresce le attribuzioni della banca centrale attribuendole la supervisione sulle banche con asset oltre i 50 miliardi di dollari e conferendole il potere di imporre agli istituti di credito di ridurre i rischi o di sospendere determinate pratiche speculative. Al centro di questo intervento riformatore c’è soprattutto la protezione del consumatore.
I contribuenti americani non si troveranno mai più a pagare il prezzo dell’irresponsabilità delle nostre maggiori banche e delle istituzioni finanziarie, ha detto Obama. Si tratta di una parola d’ordine di grande efficacia comunicazionale. Ora la riforma dovrà affrontare il voto dell’aula e il passaggio non è affatto semplice. Ha dalla sua, tuttavia, quel che si è potuto constatare con la tempesta finanziaria perfetta. L’iter parlamentare Usa parla anche all’Europa, che in questi giorni sta dando prova di inconcludenza e di irresolutezza sul delicato argomento del sostegno alla Grecia. Di recente, la riforma delle regole per i derivati di credito e per gli hedge fund è stata rinviata dall’Ecofin a una successiva riunione, vista la netta contrarietà inglese. Lungamente, e senza concludere alcunché, si è discusso, nelle istituzioni europee, sulla eventualità di una tassazione delle transazioni finanziarie – progetto, per la verità, assai complesso e discutibile – e a un certo punto si è immaginato, addirittura, di fare della disciplina dei trattamenti variabili dei manager una sorta di alternativa a un tale disegno di imposizione. Frequentemente, si è evocato il rischio di arbitraggi normativi per giustificare gli indugi, nel vecchio Continente, nel prendere la testa di un necessario processo per giungere a nuove regole delle attività economiche e finanziarie. Il Financial Stability Board, presieduto da Mario Draghi, ha prodotto un lavoro enorme, al quale basterebbe attingere per promuovere almeno quelle norme di cui si avverte maggiormente la necessità e l’urgenza.
E, invece, domani inizia il vertice dei Capi di Stato e di Governo e ancora non è chiaro se si concluderà o no con una delibera precisa sul caso Grecia - che, di questo passo, da tragedia rischia di tradursi in commedia – se ci si dovrà rivolgere, dopo un mese e mezzo di discussioni in cui è stato detto tutto e il suo contrario, al Fondo monetario internazionale, se si dovrà ricorrere, in aggiunta, a interventi statali bilaterali, etc. Una immagine più confusa l’Unione e l’Eurosistema non potrebbero dare. Finora, negli anni è mancata la single voice su questioni di alta politica e sulle relazioni internazionali. Ma, ora, il deficit si avverte anche nella trattazione dei problemi economici. Intanto, la Germania si starebbe accingendo a introdurre una tassa sulle attività delle banche. La sola istituzione che si esprime con lucidità e coerenza è la Bce: si può anche dissentire nel merito, ma non si può disconoscere che essa ha una linea, che poi discende dai Trattati e dall’ordinamento comunitario.
L’accelerazione riformatrice americana dovrebbe essere uno sprone per l’Europa in campo finanziario, sia per adottare quelle misure oggetto di tante discussioni e poi rinviate, sia per agire d’anticipo negli organismi internazionali ( a partire dalle prossime riunioni di aprile del Fondo monetario e della Banca mondiale ) per proporre elementi di riforma globale. E una efficace ed unitaria decisione sulla crisi greca – oggi spes contra spem - costituirebbe un importante viatico.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.