Quale modello per le nuove generazioni?
La Repubblica di Mastella
Il segretario dell'Udeur di nuovo al “centro del centro”. Un modello feudatariodi Elio Di Caprio - 18 dicembre 2006
E" il momento di Clemente Mastella. Quale momento migliore, quando la logica di superamento di questo illogico bipolarismo, sembra dare nuovo spazio all"area centrale che Mastella ha accortamente presidiato, di qua o di là, nel passaggio contorto dalla prima alla seconda Repubblica? Perchè non accreditarsi, non come l"”uomo nuovo” che illude l"opinione pubblica su un presunto nuovo corso politico, ma come l"uomo centrale di sempre che ha sempre “machiavellicamente” capito tutto, tanto da finire a trovar posto, dopo tanti excursus, nel centro-sinistra accanto ai Di Pietro, alla Bonino, a Livia Turco?
Non ha capito lui più di un Casini in affanno che in ritardo vuole dissociarsi dalla coalizione in cui ha trovato posto fino a ieri?
Del resto la partitocrazia rafforzata e ritornata alla ribalta a seguito dell"ultima legge elettorale sembra dare ragione alle argomentazioni di Clemente Mastella, profuse prima in un"intervista all"Espresso e poi in un accattivante colloquio- confessione televisivo con Giuliano Ferrara.
Il percorso politico dell"ex esponente democristiano - da valvassore di Ciriaco De Mita in quel di Avellino, come egli dice, a vassallo provvisto di una sua capacità contrattuale autonoma tanto da essere compensato con la carica di Ministro della Repubblica - sembra fare giustizia di ogni luogo comune, di ogni analisi intellettualistica, o sociologica alla Diamanti, sul magma sottostante ai comportamenti elettorali degli italiani.
Tanto che il pur smaliziato Giuliano Ferrara è rimasto sorpreso ed estasiato dall"esilarante schiettezza di Mastella nel delineare la sua “filosofia” pragmatica, tutta centrata sugli schieramenti e le ricompense.
L"attuale Ministro della Giustizia invita ad andare all"osso delle questioni e candidamente ammette che per lui la lotta politica in Italia, al di là delle apparenze è stata sempre, è e sarà una lotta tra feudatari di se stessi per accrescere consenso e potere: dà così una nuova (o vecchia) chiave di lettura di comodo o interpreta fedelmente il corso degli eventi, al di là delle nostre illusioni? E" ben difficile di questi tempi avere una concezione “alta” della politica. Ma per non ricadere nel solito qualunquismo qualche domanda di fondo dobbiamo farcela.
La logica feudataria delle lotte di puro potere per accrescere il proprio orticello di consensi va contrastata, non può e non deve prevalere su alcune grandi questioni. Altrimenti dovremmo ammettere che lo stesso indulto, voluto dalla maggioranza di due terzi del Parlamento, ma perorato dal medesimo Mastella, non sia stato immune da tale “filosofia” spicciola. Nella stessa intervista televisiva Mastella si dice grato a Prodi di averlo scelto come Ministro della Giustizia al di là delle sue ambizioni e dei suoi meriti. E allora perchè è successo? Per la logica del feudo e delle ricompense?
In fondo tale concezione benevolmente feudataria rimanda a quello che è sempre stato un problema storico della società italiana, da superare e non da esasperare. Una logica siffatta poteva essere funzionale in altre epoche per rimediare alle deficienze iniziali di un"unità nazionale nata in un contesto difficilissimo, tra regioni e aree diversissime tra loro. Non per caso siamo passati dai “ras” provinciali di epoca fascista (durati 20 anni) a quelli democristiani ( durati 40 anni) per mantenere e accrescere i consensi al potere centrale, ma almeno per un lungo periodo la classe politica più avvertita ha cercato di non farsene condizionare più di tanto. Nessuno può rimproverare ai vecchi padri della DC al potere, nonostante i numerosi compromessi con gli interessi particolari e periferici, la mancanza di senso dello Stato, da Moro, a Fanfani, allo stesso Andreotti. Lo stesso può dirsi per Ugo La Malfa, per Saragat, persino per Craxi. La spinta dialettica tra gli interessi “feudatari” e quelli generali può essere composta solo dalla politica, ma quando poi si teorizza, come fa Mastella nel 2006, una cinica e scontata prevalenza dei primi, quale esempio offriamo alle nuove generazioni?
Ma soprattutto la concezione di Mastella, se dovesse prevalere ed essere premiata – e in qualche modo continua ad essere premiata - rappresenterebbe una vera a propria regressione culturale rispetto ai modelli offerti dagli Stati europei più avanzati. E" nell"ambito europeo che, anche al di là delle nostre intenzioni, la politica italiana dovrà trovare, prima o poi, le linee guida di una progressiva razionalizzazione. Ma come ci presentiamo come sistema-Italia?
In fondo tutte le formule di nuove costituzioni o di nuove architetture istituzionali ruotano proprio attorno all"esigenza di modernizzare il funzionamento dei nostri apparati amministrativi e di governo per essere più in linea con gli standards europei. E invece noi continuiamo a dare spazio a modelli superati, da quello localistico della Lega a quello eternamente “feudatario” dei Mastella.
L"attuale Ministro della Giustizia invita ad andare all"osso delle questioni e candidamente ammette che per lui la lotta politica in Italia, al di là delle apparenze è stata sempre, è e sarà una lotta tra feudatari di se stessi per accrescere consenso e potere: dà così una nuova (o vecchia) chiave di lettura di comodo o interpreta fedelmente il corso degli eventi, al di là delle nostre illusioni? E" ben difficile di questi tempi avere una concezione “alta” della politica. Ma per non ricadere nel solito qualunquismo qualche domanda di fondo dobbiamo farcela.
La logica feudataria delle lotte di puro potere per accrescere il proprio orticello di consensi va contrastata, non può e non deve prevalere su alcune grandi questioni. Altrimenti dovremmo ammettere che lo stesso indulto, voluto dalla maggioranza di due terzi del Parlamento, ma perorato dal medesimo Mastella, non sia stato immune da tale “filosofia” spicciola. Nella stessa intervista televisiva Mastella si dice grato a Prodi di averlo scelto come Ministro della Giustizia al di là delle sue ambizioni e dei suoi meriti. E allora perchè è successo? Per la logica del feudo e delle ricompense?
In fondo tale concezione benevolmente feudataria rimanda a quello che è sempre stato un problema storico della società italiana, da superare e non da esasperare. Una logica siffatta poteva essere funzionale in altre epoche per rimediare alle deficienze iniziali di un"unità nazionale nata in un contesto difficilissimo, tra regioni e aree diversissime tra loro. Non per caso siamo passati dai “ras” provinciali di epoca fascista (durati 20 anni) a quelli democristiani ( durati 40 anni) per mantenere e accrescere i consensi al potere centrale, ma almeno per un lungo periodo la classe politica più avvertita ha cercato di non farsene condizionare più di tanto. Nessuno può rimproverare ai vecchi padri della DC al potere, nonostante i numerosi compromessi con gli interessi particolari e periferici, la mancanza di senso dello Stato, da Moro, a Fanfani, allo stesso Andreotti. Lo stesso può dirsi per Ugo La Malfa, per Saragat, persino per Craxi. La spinta dialettica tra gli interessi “feudatari” e quelli generali può essere composta solo dalla politica, ma quando poi si teorizza, come fa Mastella nel 2006, una cinica e scontata prevalenza dei primi, quale esempio offriamo alle nuove generazioni?
Ma soprattutto la concezione di Mastella, se dovesse prevalere ed essere premiata – e in qualche modo continua ad essere premiata - rappresenterebbe una vera a propria regressione culturale rispetto ai modelli offerti dagli Stati europei più avanzati. E" nell"ambito europeo che, anche al di là delle nostre intenzioni, la politica italiana dovrà trovare, prima o poi, le linee guida di una progressiva razionalizzazione. Ma come ci presentiamo come sistema-Italia?
In fondo tutte le formule di nuove costituzioni o di nuove architetture istituzionali ruotano proprio attorno all"esigenza di modernizzare il funzionamento dei nostri apparati amministrativi e di governo per essere più in linea con gli standards europei. E invece noi continuiamo a dare spazio a modelli superati, da quello localistico della Lega a quello eternamente “feudatario” dei Mastella.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.