Riforma sanitaria per evitare il collasso
La politica fuori dagli ospedali
“Il costo della democrazia”, di Salvi e Villone, fotografa perfettamente la realtàdi Cesare Greco - 29 marzo 2006
Il sistema sanitario nazionale italiano deve, e con urgenza, essere radicalmente riformato se si vuole porre un freno alla voragine ingoia soldi che ha rappresentato in questi anni. Così come si è andato configurando dalla metà degli anni settanta in poi, il Ssn costituisce una garanzia certamente per il sistema di potere dei partiti, forse per quella parte del personale più propensa a coltivare rapporti con i partiti che con i pazienti, sicuramente non per gli utenti, costretti a finanziare un baraccone indifferente ai loro reali problemi.
Con il D.L. 229/99, la politicizzazione della gestione delle Asl ha assunto un’accelerazione esponenziale e tali aziende sono divenute la preda ambita dello spoil-system elettorale, riempite di personale e consulenti inutili quanto costosi dai governi regionali di turno e dai sindacati più rappresentativi. Alla dilatazione della spesa non ha corrisposto un proporzionale miglioramento delle prestazioni, al contrario. Il sistema, favorito dalla riforma Bindi, rasenta la perfezione dal punto di vista del controllo politico che, contrariamente alle premesse, non ha costituito un meccanismo moralizzatore della spesa e delle procedure concorsuali. In base alla legge, le regioni nominano direttamente il direttore generale delle Aziende sanitarie e il 40% dei membri del collegio sindacale, ovvero il controllato e 2 controllori su 5. Il direttore generale nomina a sua volta il direttore amministrativo e il direttore sanitario, così come i direttori delle unità operative complesse (ex primari per intendersi), sulla base di una rosa di candidati proposti da una commissione che per due terzi è nominata dal direttore generale stesso. Vi è dunque un filo rosso che, tramite il direttore generale, lega direttamente ai partiti della maggioranza di turno tutti i soggetti della catena assistenziale.
Questa situazione è efficacemente fotografata da Cesare Salvi e Massimo Villone nel loro libro “Il costo della democrazia” in cui gli autori denunciano la selezione sulla base dell’appartenenza politica di primari, aiuti e assistenti piuttosto che sulla base delle qualità professionali. Tutte queste figure finiscono dunque per contrarre un debito che verrà pagato in termini di voti. A riprova di ciò, Salvi e Villone citano il caso eclatante delle ultime elezioni comunali di Messina con ben 111 candidati medici distribuiti tra le varie liste. Tutto questo non può non tradursi, concludono i due autori, che in un tragico e progressivo deterioramento dell’assistenza ospedaliera e dei suoi costi.
E’ necessario che il sistema politico esca al più presto dalla gestione diretta della sanità, mantenendo il solo potere di indirizzo della politica della salute, e che il potere di controllo venga affidato ad una autorità indipendente. E’ necessario che si riveda radicalmente, sulla sola base delle capacità imprenditoriali, il sistema di reclutamento della dirigenza amministrativa e del management, la cui attuale totale organicità al sistema dei partiti e dei sindacati ha finito per inquinare gravemente anche il reclutamento e soprattutto la progressione verticale di carriera della dirigenza medica, sempre meno determinata dall’effettivo valore professionale.
L’ultimo rapporto CEIS sullo stato della sanità in Italia paventa un possibile collasso del sistema già dal prossimo anno, con le conseguenze che si possono immaginare sui cittadini Non è un caso che la peggiore assistenza venga offerta da quelle regioni in cui con più disinvoltura si dispone del pubblico denaro a fini politico elettorali dilatando a dismisura il numero dei pubblici dipendenti. Il raffronto operato dal CEIS tra l’età media delle donne decedute per cancro della mammella in due piccole regioni come la Valle D’Aosta e la Basilicata, rispettivamente 77 e 65 anni, si commenta evidentemente da solo e fornisce una tragica fotografia dei danni che la pervasività della politica, in questo assolutamente trasversale, sta infliggendo alla salute dei cittadini.
Purtroppo non vi è traccia di tali gravi problematiche nel dibattito preelettorale in corso, né a destra, dove pure più acute si levarono le grida contro la riforma, ma dove rapidamente ci si è adattati ad utilizzarne i dividenti politici, né a sinistra, dove la denuncia di Salvi e Villone risuona come autocritica voce nel deserto.
A distanza di trenta anni dalla loro abolizione, le vecchie mutue appaiono come il paradiso perduto degli assistiti. Oltretutto, con l’attuale sistema di rimborso a DRG, se un vantaggio c’è stato è stato tutto e unicamente per la case di cura accreditate. Gli ospedali pubblici, di fatto, hanno continuato a percepire un rimborso forfetario, con buona pace della concorrenza pubblico-privato, che doveva costituire l’elemento caratterizzante della riforma. Anche la tanto sbandierata responsabilità dei manager nel risanamento e nel rilancio concorrenziale delle aziende ospedaliere, che doveva essere perseguita a rischio del loro stesso patrimonio personale in caso di fallimento, che per tale motivo ne giustificava gli elevatissimi emolumenti e l’enorme potere, non ha mai trovato applicazione, anche a fronte di clamorosi fallimenti. Come potrebbe, dato lo stretto legame tra controllore e controllato?
Occorre rivedere tutta la materia. Oltre ad una revisione del reclutamento degli amministratori totalmente sganciato dal potere politico e regolato sulla base di rigorosi concorsi pubblici, la soluzione migliore, per una razionalizzazione della spesa, sarebbe ritornare ad un sistema mutualistico-assicurativo, in chiave più moderna rispetto al passato, tale da consentire livelli di efficienza realmente concorrenziali. La gestione di tale sistema potrebbe essere affidata ad organizzazioni no-profit che, per la loro natura etica, non solo garantirebbero una efficiente amministrazione del denaro dei cittadini, ma potrebbero reinvestire gli utili non in immobili, come in passato, ma per creare una efficace rete di assistenza territoriale per anziani, disabili e malati terminali. Campo nel quale, tra l’altro, posseggono già una lunga esperienza e una adeguata competenza.
Con il D.L. 229/99, la politicizzazione della gestione delle Asl ha assunto un’accelerazione esponenziale e tali aziende sono divenute la preda ambita dello spoil-system elettorale, riempite di personale e consulenti inutili quanto costosi dai governi regionali di turno e dai sindacati più rappresentativi. Alla dilatazione della spesa non ha corrisposto un proporzionale miglioramento delle prestazioni, al contrario. Il sistema, favorito dalla riforma Bindi, rasenta la perfezione dal punto di vista del controllo politico che, contrariamente alle premesse, non ha costituito un meccanismo moralizzatore della spesa e delle procedure concorsuali. In base alla legge, le regioni nominano direttamente il direttore generale delle Aziende sanitarie e il 40% dei membri del collegio sindacale, ovvero il controllato e 2 controllori su 5. Il direttore generale nomina a sua volta il direttore amministrativo e il direttore sanitario, così come i direttori delle unità operative complesse (ex primari per intendersi), sulla base di una rosa di candidati proposti da una commissione che per due terzi è nominata dal direttore generale stesso. Vi è dunque un filo rosso che, tramite il direttore generale, lega direttamente ai partiti della maggioranza di turno tutti i soggetti della catena assistenziale.
Questa situazione è efficacemente fotografata da Cesare Salvi e Massimo Villone nel loro libro “Il costo della democrazia” in cui gli autori denunciano la selezione sulla base dell’appartenenza politica di primari, aiuti e assistenti piuttosto che sulla base delle qualità professionali. Tutte queste figure finiscono dunque per contrarre un debito che verrà pagato in termini di voti. A riprova di ciò, Salvi e Villone citano il caso eclatante delle ultime elezioni comunali di Messina con ben 111 candidati medici distribuiti tra le varie liste. Tutto questo non può non tradursi, concludono i due autori, che in un tragico e progressivo deterioramento dell’assistenza ospedaliera e dei suoi costi.
E’ necessario che il sistema politico esca al più presto dalla gestione diretta della sanità, mantenendo il solo potere di indirizzo della politica della salute, e che il potere di controllo venga affidato ad una autorità indipendente. E’ necessario che si riveda radicalmente, sulla sola base delle capacità imprenditoriali, il sistema di reclutamento della dirigenza amministrativa e del management, la cui attuale totale organicità al sistema dei partiti e dei sindacati ha finito per inquinare gravemente anche il reclutamento e soprattutto la progressione verticale di carriera della dirigenza medica, sempre meno determinata dall’effettivo valore professionale.
L’ultimo rapporto CEIS sullo stato della sanità in Italia paventa un possibile collasso del sistema già dal prossimo anno, con le conseguenze che si possono immaginare sui cittadini Non è un caso che la peggiore assistenza venga offerta da quelle regioni in cui con più disinvoltura si dispone del pubblico denaro a fini politico elettorali dilatando a dismisura il numero dei pubblici dipendenti. Il raffronto operato dal CEIS tra l’età media delle donne decedute per cancro della mammella in due piccole regioni come la Valle D’Aosta e la Basilicata, rispettivamente 77 e 65 anni, si commenta evidentemente da solo e fornisce una tragica fotografia dei danni che la pervasività della politica, in questo assolutamente trasversale, sta infliggendo alla salute dei cittadini.
Purtroppo non vi è traccia di tali gravi problematiche nel dibattito preelettorale in corso, né a destra, dove pure più acute si levarono le grida contro la riforma, ma dove rapidamente ci si è adattati ad utilizzarne i dividenti politici, né a sinistra, dove la denuncia di Salvi e Villone risuona come autocritica voce nel deserto.
A distanza di trenta anni dalla loro abolizione, le vecchie mutue appaiono come il paradiso perduto degli assistiti. Oltretutto, con l’attuale sistema di rimborso a DRG, se un vantaggio c’è stato è stato tutto e unicamente per la case di cura accreditate. Gli ospedali pubblici, di fatto, hanno continuato a percepire un rimborso forfetario, con buona pace della concorrenza pubblico-privato, che doveva costituire l’elemento caratterizzante della riforma. Anche la tanto sbandierata responsabilità dei manager nel risanamento e nel rilancio concorrenziale delle aziende ospedaliere, che doveva essere perseguita a rischio del loro stesso patrimonio personale in caso di fallimento, che per tale motivo ne giustificava gli elevatissimi emolumenti e l’enorme potere, non ha mai trovato applicazione, anche a fronte di clamorosi fallimenti. Come potrebbe, dato lo stretto legame tra controllore e controllato?
Occorre rivedere tutta la materia. Oltre ad una revisione del reclutamento degli amministratori totalmente sganciato dal potere politico e regolato sulla base di rigorosi concorsi pubblici, la soluzione migliore, per una razionalizzazione della spesa, sarebbe ritornare ad un sistema mutualistico-assicurativo, in chiave più moderna rispetto al passato, tale da consentire livelli di efficienza realmente concorrenziali. La gestione di tale sistema potrebbe essere affidata ad organizzazioni no-profit che, per la loro natura etica, non solo garantirebbero una efficiente amministrazione del denaro dei cittadini, ma potrebbero reinvestire gli utili non in immobili, come in passato, ma per creare una efficace rete di assistenza territoriale per anziani, disabili e malati terminali. Campo nel quale, tra l’altro, posseggono già una lunga esperienza e una adeguata competenza.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.