Le incognite dietro il duo Mediaset-Colaninno
La politica che serve a Telecom
Berlusconi salvatore dell’italianità ma subito fuori dalla politica? Roba da statistidi Enrico Cisnetto - 20 aprile 2007
Se dietro l’abbinata Mediaset-Colaninno per Telecom ci fosse un qualche disegno di ricomposizione del logorato establishment economico-finanziario italiano – motivo non secondario, tra i tanti, del declino nazionale – l’operazione meriterebbe il massimo di attenzione e favore. Ma così non è, per almeno tre buone ragioni. La prima riguarda le divisioni profonde che attraversano il mondo bancario, di cui abbiamo già parlato diffusamente venerdì scorso.
In sostanza, in un sistema bancocentrico come il nostro, la ricomposizione (ma forse sarebbe meglio dire la rinascita) di un establishment – da non confondersi con i “salotti buoni”, che sono la versione italiota di uno strumento indispensabile di governo del capitalismo, di cui non a caso tutti i grandi paesi, Stati Uniti in testa, sono dotati – passa necessariamente attraverso la saldatura degli interessi dei detentori del denaro. Cosa che proprio la vicenda Telecom mostra non esserci in Italia, dove riusciamo ad abbinare il minimo della concorrenza di mercato nei confronti dei risparmiatori al massimo del conflitto sistemico da quando è finita la stagione della Mediobanca di Enrico Cuccia – è inutile, caro Romiti, rimpiangere Maranghi, che della dissoluzione della vecchia architettura del capitalismo è stato il maggiore protagonista – e a maggior ora che la principale banca del Paese si comporta come se fosse l’unica.
La seconda ragione per cui il duo Mediaset-Colaninno farebbe pagare un prezzo troppo alto alla “difesa dell’italianità” si chiama leverage buy, ovvero il perverso meccanismo che vede l’indebitamento come strumento di conquista. Diciamoci la verità: se la “razza padana” è stata costretta a cedere Telecom, e se la Pirelli oggi deve fare altrettanto, è (soprattutto) perchè la società di tlc è carica di debiti, la parte non fisiologica dei quali deriva proprio dalla scalata di Colaninno. Ora, che cosa si vorrebbe fare, ripetere la scena, e per di più con gli stessi protagonisti di allora? Perchè è del tutto evidente che la Immsi di Colaninno – impegnata in un’onerosa ristrutturazione della Piaggio e della Rodriguez, oltre che in alcune partite immobiliari – non avrebbe le risorse per un intervento in Olimpia intorno a 3 euro per azione. Mentre nel caso di Mediaset non avrebbe senso un ruolo di socio finanziario (ancorché i soldi li avrebbe), bensì di partner industriale, ma questo significherebbe assumere una partecipazione ben maggiore di una quota di una società che ha il 18% se non, addirittura, immaginare una fusione tra la fabbrica dei contenuti e la padrona della rete. La famiglia (e sottolineo famiglia) Berlusconi ha voglia di rischiare tanti soldi in una partita del genere, o pensa ad una riedizione di quel “nocciolino” che il Cavaliere ha giustamente tanto criticato quando ha avuto l’imprinting di Carlo Azeglio Ciampi?
Infine, la terza ragione che rende fragile l’abbinata Mediaset-Colaninno riguarda la politica. Ma non tanto, o non solo, per via del “conflitto d’interessi”, quanto perchè non ci può essere un riassetto dell’establishment senza che prima non ce ne sia stato uno del sistema politico. E’ fin troppo evidente che in questi anni di bipolarismo all’italiana, gli elementi di conflitto che hanno prevalso su qualsiasi più ragionevole convergenza politica, hanno finito col contagiare i piani alti (si fa per dire) del capitalismo, inducendo i suoi protagonisti – prima di tutto i banchieri, ma non meno anche i gruppi industriali e finanziari – a dividersi in bande ricalcate sui confini della geografia politica: Berlusconi e Tremonti (in parte in proprio) a destra, Prodi e D’Alema (quasi sempre l’un contro l’altro armati) a sinistra.
Ora, è davvero difficile credere che la ricomposizione dell’establishment preceda quella politica, o addirittura che ne sia il campo sperimentale, mentre è più logico pensare che una trasformazione del sistema politico ne possa poi generare un’altra, conseguente, sul terreno degli interessi. Anche perchè la provocazione che in questa rubrica ci eravamo permessi di fare qualche tempo fa – in un periodo non sospetto – è caduta nel vuoto: Berlusconi vuole “salvare” Telecom fermo restando il suo ruolo politico, non quel viceversa che sarebbe stato roba da statisti. E allora, l’unico modo perchè l’aggregazione Mediaset-Colaninno non risulti un “compromesso storico” di bassa lega, ma un primo passo per ridisegnare la mappa di un establishment che punti ad evitare l’estinzione, è quello di premettergli una “grande coalizione” in politica. Altrimenti, qualcuno telefoni all’At&t facendo mea culpa.
Pubblicato su Il Foglio di venerdi 20 aprile
In sostanza, in un sistema bancocentrico come il nostro, la ricomposizione (ma forse sarebbe meglio dire la rinascita) di un establishment – da non confondersi con i “salotti buoni”, che sono la versione italiota di uno strumento indispensabile di governo del capitalismo, di cui non a caso tutti i grandi paesi, Stati Uniti in testa, sono dotati – passa necessariamente attraverso la saldatura degli interessi dei detentori del denaro. Cosa che proprio la vicenda Telecom mostra non esserci in Italia, dove riusciamo ad abbinare il minimo della concorrenza di mercato nei confronti dei risparmiatori al massimo del conflitto sistemico da quando è finita la stagione della Mediobanca di Enrico Cuccia – è inutile, caro Romiti, rimpiangere Maranghi, che della dissoluzione della vecchia architettura del capitalismo è stato il maggiore protagonista – e a maggior ora che la principale banca del Paese si comporta come se fosse l’unica.
La seconda ragione per cui il duo Mediaset-Colaninno farebbe pagare un prezzo troppo alto alla “difesa dell’italianità” si chiama leverage buy, ovvero il perverso meccanismo che vede l’indebitamento come strumento di conquista. Diciamoci la verità: se la “razza padana” è stata costretta a cedere Telecom, e se la Pirelli oggi deve fare altrettanto, è (soprattutto) perchè la società di tlc è carica di debiti, la parte non fisiologica dei quali deriva proprio dalla scalata di Colaninno. Ora, che cosa si vorrebbe fare, ripetere la scena, e per di più con gli stessi protagonisti di allora? Perchè è del tutto evidente che la Immsi di Colaninno – impegnata in un’onerosa ristrutturazione della Piaggio e della Rodriguez, oltre che in alcune partite immobiliari – non avrebbe le risorse per un intervento in Olimpia intorno a 3 euro per azione. Mentre nel caso di Mediaset non avrebbe senso un ruolo di socio finanziario (ancorché i soldi li avrebbe), bensì di partner industriale, ma questo significherebbe assumere una partecipazione ben maggiore di una quota di una società che ha il 18% se non, addirittura, immaginare una fusione tra la fabbrica dei contenuti e la padrona della rete. La famiglia (e sottolineo famiglia) Berlusconi ha voglia di rischiare tanti soldi in una partita del genere, o pensa ad una riedizione di quel “nocciolino” che il Cavaliere ha giustamente tanto criticato quando ha avuto l’imprinting di Carlo Azeglio Ciampi?
Infine, la terza ragione che rende fragile l’abbinata Mediaset-Colaninno riguarda la politica. Ma non tanto, o non solo, per via del “conflitto d’interessi”, quanto perchè non ci può essere un riassetto dell’establishment senza che prima non ce ne sia stato uno del sistema politico. E’ fin troppo evidente che in questi anni di bipolarismo all’italiana, gli elementi di conflitto che hanno prevalso su qualsiasi più ragionevole convergenza politica, hanno finito col contagiare i piani alti (si fa per dire) del capitalismo, inducendo i suoi protagonisti – prima di tutto i banchieri, ma non meno anche i gruppi industriali e finanziari – a dividersi in bande ricalcate sui confini della geografia politica: Berlusconi e Tremonti (in parte in proprio) a destra, Prodi e D’Alema (quasi sempre l’un contro l’altro armati) a sinistra.
Ora, è davvero difficile credere che la ricomposizione dell’establishment preceda quella politica, o addirittura che ne sia il campo sperimentale, mentre è più logico pensare che una trasformazione del sistema politico ne possa poi generare un’altra, conseguente, sul terreno degli interessi. Anche perchè la provocazione che in questa rubrica ci eravamo permessi di fare qualche tempo fa – in un periodo non sospetto – è caduta nel vuoto: Berlusconi vuole “salvare” Telecom fermo restando il suo ruolo politico, non quel viceversa che sarebbe stato roba da statisti. E allora, l’unico modo perchè l’aggregazione Mediaset-Colaninno non risulti un “compromesso storico” di bassa lega, ma un primo passo per ridisegnare la mappa di un establishment che punti ad evitare l’estinzione, è quello di premettergli una “grande coalizione” in politica. Altrimenti, qualcuno telefoni all’At&t facendo mea culpa.
Pubblicato su Il Foglio di venerdi 20 aprile
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.