Nuova impennata degli spread
La partita dell'Ue
La doppia crisi - italiana ed europea - non può essere cancellata con un colpo di spugnodi Enrico Cisnetto - 25 novembre 2011
Lo spread sul Btp decennale di nuovo oltre quota 500, i tassi sui titoli a due e cinque anni oltre il 7%, piazza Affari in caduta verticale. Negli ultimi giorni il tam-tam dei mercati è tornato a farsi minaccioso. Eppure rispetto ai momenti topici della crisi, quelli che hanno portato alla caduta del governo Berlusconi, in Italia l’ansia da default sembra decisamente diminuita. È perché ci abbiamo fatto il callo, o è merito della capacità che Monti ha di rassicurare? Una cosa è certa: sarebbe sciocco derubricare il rialzo degli spread a minor costo emotivo sotto il titolo “effetto Berlusconi”. Sia nel senso: finché c’era lui i media cavalcavano la paura per farlo cadere, adesso buttano acqua sul fuoco nonostante che il differenziale con i titoli tedeschi rimanga altissimo, a dimostrazione che non era il Cavaliere a determinare il comportamento dei mercati. Sia nel senso opposto: la gente temeva che facesse guai, adesso si fida di Monti e sa che i mercati non fanno sconti a nessuno.
La verità è che c’erano con Berlusconi e continuano ad esserci con Monti due crisi che si sommano e si avvitano l’un l’altra, quella italiana e quella europea. La prima è sì una crisi di sostenibilità e costo del debito, ma deriva da un default politico-istituzionale. La seconda, invece, riguarda almeno tre cose: la sopravvivenza dell’eurosistema e dunque della stessa moneta unica; la salvezza del sistema bancario e con esso del credito a sostegno dell’economia; la solvibilità degli Stati. Il cambio di governo ha accesso la speranza – rigorosamente a termine, perciò bisognerà alimentarla con i fatti – che i problemi nazionali possano almeno essere fronteggiati, se non avviati a soluzione; mentre che quelli continentali, finora affrontati poco e male, quantomeno ci vedano di nuovo protagonisti nelle decisioni. Come ho già detto, e torno a ribadire perché in giro ci sono troppe orecchie da mercante, aggredire i nostri problemi è condizione non sufficiente ma necessaria. Per cui togliamoci dalla testa tanto che sia inutile fare manovre perché il problema è solo l’euro, quanto, al contrario, che siamo solo noi il nodo scorsoio che strangola l’eurosistema. Né l’una, né l’altra cosa. Tuttavia, è evidente che lo scenario è cambiato rispetto a qualche settimana fa, quando l’aggressione speculativa si era concentrata solo sui titoli italiani: vedere lo spread francese a quota 200, quello spagnolo essere tornato a pari del nostro, quello belga sui 300 punti, vedere lambita l’Austria ma soprattutto assistere al fallimento di un’asta di bund tedeschi (seppure per eccesso di contrazione dei rendimenti), ci ha dato il senso che ora la partita delle partite è europea, ed è nelle mani della signora Merkel. Qualcuno dice che i tedeschi abbiano già scelto: il no agli eurobond fintanto che non saranno cambiati i trattati – cosa che richiede tempo e decisione unanime di tutti i paesi (ricordiamo i referendum sul trattato di Lisbona) ammesso che ci si metta d’accordo sul come modificarli – starebbe a significare che non cedono di un millimetro. Altri pensano, ma sarebbe meglio dire sperano, che Berlino possa dare il via libera ad un pur limitato “quantitative easing” (la Bce stampa moneta per acquistare attività finanziarie dalle banche, per esempio titoli tossici o bond di Stati in odore di default) che innescherebbe il circolo virtuoso “salvataggio banche = salvataggio Stati (che non sono più insolventi perché le banche continuano a compre i bond) = salvataggio dell’euro”. È una speranza appesa ad un filo logico: i tedeschi non possono sottovalutare i rischi che anche loro correrebbero se il finale di questo film fosse la morte dell’euro, con conseguente recessione planetaria (un grido d’allarme in questo senso si è levato persino dal lontano Brasile).
Che poi sono rischi che già corrono ora, i tedeschi, se si pensa alle difficoltà di Commerzbank o al fatto che la BuBa sia il principale creditore della Bce (500 miliardi di euro). Io non voglio neppure prendere in considerazione l’ipotesi che il continente che ha partorito due guerre mondiali stia preparando la terza, sebbene senza armi. Ma dico anche che un intervento d’emergenza della Bce avrebbe la capacità di tamponare ma non di risolvere alla radice il problema. Perché quella è affidata ad una sola ricetta: il superamento degli stati nazionali, attraverso la progressiva cessione di quote di sovranità, a favore di un governo federale eletto democraticamente dai cittadini europei. Per i tedeschi equivarrebbe a pagare i conti altrui? Si vadano a rileggere la storia recente dell’ex Jugoslavia, e poi decidano se la politica “imperiale” non implichi per loro un danno superiore a questo “sacrificio”. Quanto a noi, tolto di mezzo l’alibi Berlusconi e tornati con Monti al tavolo delle decisioni, dobbiamo essere così bravi da: a. fare una manovra forte ma non recessiva (solo sul debito, è la mia ricetta); b. fronteggiare la recessione che incombe e che rende insostenibile il debito; c. esaltare la comune visione federalista europea con Berlino; d. fare un’alleanza tattica con Parigi e Madrid sui margini di manovra della Bce (anche senza toccare lo statuto, se è un tabù). Professor Monti, ci provi.
La verità è che c’erano con Berlusconi e continuano ad esserci con Monti due crisi che si sommano e si avvitano l’un l’altra, quella italiana e quella europea. La prima è sì una crisi di sostenibilità e costo del debito, ma deriva da un default politico-istituzionale. La seconda, invece, riguarda almeno tre cose: la sopravvivenza dell’eurosistema e dunque della stessa moneta unica; la salvezza del sistema bancario e con esso del credito a sostegno dell’economia; la solvibilità degli Stati. Il cambio di governo ha accesso la speranza – rigorosamente a termine, perciò bisognerà alimentarla con i fatti – che i problemi nazionali possano almeno essere fronteggiati, se non avviati a soluzione; mentre che quelli continentali, finora affrontati poco e male, quantomeno ci vedano di nuovo protagonisti nelle decisioni. Come ho già detto, e torno a ribadire perché in giro ci sono troppe orecchie da mercante, aggredire i nostri problemi è condizione non sufficiente ma necessaria. Per cui togliamoci dalla testa tanto che sia inutile fare manovre perché il problema è solo l’euro, quanto, al contrario, che siamo solo noi il nodo scorsoio che strangola l’eurosistema. Né l’una, né l’altra cosa. Tuttavia, è evidente che lo scenario è cambiato rispetto a qualche settimana fa, quando l’aggressione speculativa si era concentrata solo sui titoli italiani: vedere lo spread francese a quota 200, quello spagnolo essere tornato a pari del nostro, quello belga sui 300 punti, vedere lambita l’Austria ma soprattutto assistere al fallimento di un’asta di bund tedeschi (seppure per eccesso di contrazione dei rendimenti), ci ha dato il senso che ora la partita delle partite è europea, ed è nelle mani della signora Merkel. Qualcuno dice che i tedeschi abbiano già scelto: il no agli eurobond fintanto che non saranno cambiati i trattati – cosa che richiede tempo e decisione unanime di tutti i paesi (ricordiamo i referendum sul trattato di Lisbona) ammesso che ci si metta d’accordo sul come modificarli – starebbe a significare che non cedono di un millimetro. Altri pensano, ma sarebbe meglio dire sperano, che Berlino possa dare il via libera ad un pur limitato “quantitative easing” (la Bce stampa moneta per acquistare attività finanziarie dalle banche, per esempio titoli tossici o bond di Stati in odore di default) che innescherebbe il circolo virtuoso “salvataggio banche = salvataggio Stati (che non sono più insolventi perché le banche continuano a compre i bond) = salvataggio dell’euro”. È una speranza appesa ad un filo logico: i tedeschi non possono sottovalutare i rischi che anche loro correrebbero se il finale di questo film fosse la morte dell’euro, con conseguente recessione planetaria (un grido d’allarme in questo senso si è levato persino dal lontano Brasile).
Che poi sono rischi che già corrono ora, i tedeschi, se si pensa alle difficoltà di Commerzbank o al fatto che la BuBa sia il principale creditore della Bce (500 miliardi di euro). Io non voglio neppure prendere in considerazione l’ipotesi che il continente che ha partorito due guerre mondiali stia preparando la terza, sebbene senza armi. Ma dico anche che un intervento d’emergenza della Bce avrebbe la capacità di tamponare ma non di risolvere alla radice il problema. Perché quella è affidata ad una sola ricetta: il superamento degli stati nazionali, attraverso la progressiva cessione di quote di sovranità, a favore di un governo federale eletto democraticamente dai cittadini europei. Per i tedeschi equivarrebbe a pagare i conti altrui? Si vadano a rileggere la storia recente dell’ex Jugoslavia, e poi decidano se la politica “imperiale” non implichi per loro un danno superiore a questo “sacrificio”. Quanto a noi, tolto di mezzo l’alibi Berlusconi e tornati con Monti al tavolo delle decisioni, dobbiamo essere così bravi da: a. fare una manovra forte ma non recessiva (solo sul debito, è la mia ricetta); b. fronteggiare la recessione che incombe e che rende insostenibile il debito; c. esaltare la comune visione federalista europea con Berlino; d. fare un’alleanza tattica con Parigi e Madrid sui margini di manovra della Bce (anche senza toccare lo statuto, se è un tabù). Professor Monti, ci provi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.