Le modifiche in Parlamento il mese prossimo
La “nuova” par condicio senza terzisti
Solo il 30% di spot assegnato a tutti. Il restante 70% sarà riservato ai due Polidi Paolo Bozzacchi - 25 ottobre 2005
Prove di salvataggio di un bipolarismo finito. Questa la sensazione che si ha leggendo in dettaglio le proposte di modifica del governo alla cosiddetta “par condicio”, approvata nel 2000 dal centrosinistra.
Il progetto degli esperti di comunicazione (primo firmatario Butti di An), prevede infatti l’individuazione di una quota protetta di messaggi promozionali televisivi da dividere equamente tra tutte le liste in gara alle elezioni.
Peccato, però, che questa quota ammonti a solo il 30% del totale degli spot, e che in questo modo taglierebbe fuori dal piccolo schermo tutte le nuove formazioni politiche e quelle schierate oltre i due Poli. Con buona pace della democrazia e degli effetti benefici, tanto osannati, della riforma del sistema elettorale approvata la scorsa settimana.
La “par condicio” è sempre stata mal digerita da Berlusconi, che allergico ai troppi paletti burocratici, mantiene una visione imprenditoriale e liberista della gestione degli spazi televisivi. Il sistema da lui preferito sarebbe quello americano, basato sul principio dell’equal time, cioè la libera scelta delle emittenti di offrire spazi a pagamento ai candidati, a condizione che i partiti in corsa dispongano dello stesso tempo allo stesso prezzo. Ma i tecnici del governo, per coerenza con la riforma del sistema elettorale premiante le coalizioni (anche più di due), sono stati costretti a rivedere l’idea a stelle e strisce per modellarla almeno parzialmente sul sistema politico italiano.
Ad ogni modo l’intento del premier sembra anche quello di tutelare (a costi elevati) il grado di consenso attorno a Forza Italia, evidentemente favorita in termini di visibilità dal provvedimento.
Lo dimostrano la netta contrarietà alla proposta di Casini “Non vedo l’esigenza di farcire di spot la tv pubblica e privata in vista delle elezioni”, nonché la titubanza di Fini, comunque “disposto a parlarne”.
L’opposizione grida allo scandalo, ma nessuno dei commentatori di centrosinistra sottolinea il vulnus democratico della proposta, né il mancato rispetto delle forze terziste e della loro visibilità in campagna elettorale presso gli elettori. Si preferisce concentrare il dibattito intorno al conflitto d’interesse di Berlusconi, e al tatticismo della maggioranza, piuttosto che attualizzare la legislazione in vigore, pensata in base al sistema maggioritario.
C’è da ricordare, infine, che nei maggiori paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna), la pubblicità elettorale televisiva (gratuita o a pagamento) è vietata in tutte le sue forme, sia esplicite che occulte. La proposta italiana, quindi, se a buon fine, aprirebbe di fatto nell’Ue una strada nuova sul tema della pubblicità politica in televisione, confermando la tendenza italiana alla burocrazia.
Il progetto degli esperti di comunicazione (primo firmatario Butti di An), prevede infatti l’individuazione di una quota protetta di messaggi promozionali televisivi da dividere equamente tra tutte le liste in gara alle elezioni.
Peccato, però, che questa quota ammonti a solo il 30% del totale degli spot, e che in questo modo taglierebbe fuori dal piccolo schermo tutte le nuove formazioni politiche e quelle schierate oltre i due Poli. Con buona pace della democrazia e degli effetti benefici, tanto osannati, della riforma del sistema elettorale approvata la scorsa settimana.
La “par condicio” è sempre stata mal digerita da Berlusconi, che allergico ai troppi paletti burocratici, mantiene una visione imprenditoriale e liberista della gestione degli spazi televisivi. Il sistema da lui preferito sarebbe quello americano, basato sul principio dell’equal time, cioè la libera scelta delle emittenti di offrire spazi a pagamento ai candidati, a condizione che i partiti in corsa dispongano dello stesso tempo allo stesso prezzo. Ma i tecnici del governo, per coerenza con la riforma del sistema elettorale premiante le coalizioni (anche più di due), sono stati costretti a rivedere l’idea a stelle e strisce per modellarla almeno parzialmente sul sistema politico italiano.
Ad ogni modo l’intento del premier sembra anche quello di tutelare (a costi elevati) il grado di consenso attorno a Forza Italia, evidentemente favorita in termini di visibilità dal provvedimento.
Lo dimostrano la netta contrarietà alla proposta di Casini “Non vedo l’esigenza di farcire di spot la tv pubblica e privata in vista delle elezioni”, nonché la titubanza di Fini, comunque “disposto a parlarne”.
L’opposizione grida allo scandalo, ma nessuno dei commentatori di centrosinistra sottolinea il vulnus democratico della proposta, né il mancato rispetto delle forze terziste e della loro visibilità in campagna elettorale presso gli elettori. Si preferisce concentrare il dibattito intorno al conflitto d’interesse di Berlusconi, e al tatticismo della maggioranza, piuttosto che attualizzare la legislazione in vigore, pensata in base al sistema maggioritario.
C’è da ricordare, infine, che nei maggiori paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna), la pubblicità elettorale televisiva (gratuita o a pagamento) è vietata in tutte le sue forme, sia esplicite che occulte. La proposta italiana, quindi, se a buon fine, aprirebbe di fatto nell’Ue una strada nuova sul tema della pubblicità politica in televisione, confermando la tendenza italiana alla burocrazia.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.