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Eurocrisi

La moltiplicazione del male

Si subisce l’attacco altrui, ci si piega ai “compiti a casa”, si punisce il sistema produttivo, si lavora attorno a riforme di pura facciata, si resta con il respiro corto e si perde peso internazionale.

di Davide Giacalone - 20 giugno 2012

Sarà difficile curare il male se si continua non capirlo. Preparandosi il vertice europeo della settimana prossima, si provi a prendere in considerazione un dato: le esportazioni tedesche, all’interno dell’area Ue, sono crollate del 15%, su base annua questo significa per la Germania scendere da circa 430 a circa 375 miliardi, con conseguente calo del gettito fiscale, il che vuol dire un buco nei conti federali. Roteando la durlindana, volendo mozzare la testa ai cattivi, predicando rigore per gli altri e avanzi di bilancio per sé stessi, inseguendo il finanziamento facile del proprio debito, mettendo tutto in conto a quello altrui (la cui colpa ricade su chi lo ha generato, comunque, non certo sui tedeschi), alla fine la signora Merkel e l’ottimo Schäuble sono riusciti a sfregiarsi da soli. Se esistesse la politica, in Europa, forse sarebbe il caso di farlo presente, anche a futura memoria elettorale dei tedeschi. Se i greci votano in modo da non espellere l’euro dalla loro storia, se non si castrano con le proprie urne, questo risolve la continuità dell’Unione europea (che non sopravviverebbe alla fine della moneta unica), mica salva l’euro. Sicché non hanno senso affermazioni come: i mercati festeggiano il voto per poche ore, salvo poi cambiare orientamento. Cosa c’è da festeggiare? L’euro è in pericolo ed è strutturalmente fragile, esattamente come la settimana scorsa. Purtroppo come anche la prossima. I greci restano dentro, quindi tutto è immutato. Guai compresi. Obama avrà pure le sue convenienze elettorali, ma non ha torto quando dice: l’Europa senza guida è un pericolo per il mondo. Chi gli risponde di non volere prendere lezioni forse dovrebbe frequentarle, perché è vero che non è l’euro l’origine della crisi, ma ne è divenuto un moltiplicatore. La colpa di ciò ricade sulla politica: debole, miope, inadeguata. Non solo del governo tedesco, che sbaglia, ma di quanti altri non sono stati capaci di bloccarlo. Gli inglesi, in fondo, hanno rotto il fronte non accettando il fiscal compact, mentre chi ha chinato il capo s’è assunto una notevole responsabilità. Taluni hanno letto nel voto greco l’accettazione delle regole imposte dall’Unione germanizzata. Chi ragiona in questo modo crede che le parole della signora Merkel contino più della realtà: i sacrifici imposti alla Grecia, come l’idea che noi si rientri dall’eccesso di debito pubblico mediante tassazione, non sono accettabili o meno, sono impossibili. Solo lo sviluppo, la crescita del pil, può consentire di ritrovare l’equilibrio senza scassare la democrazia, e non c’è nulla, nella politica europea, che muova in quella direzione. Nel caso italiano, poi, si crede davvero che possa funzionare la presa in giro di chi suppone di diffondere la bontà intitolandole decreti legge, privi di apprezzabile contenuto? Se gli interessi nazionali fossero in mani meno culturalmente arrese e più politicamente consistenti qualcuno porrebbe la questione correttamente sollevata da Marco Fortis: se anziché calcolare l’equilibrio con il rapporto “debito pubblico-prodotto interno lordo” lo si valutasse con quello “indebitamento aggregato (famiglie, aziende e Stato)-patrimonio” l’Italia ne uscirebbe solidissima. Toglieteci da dosso il marchio d’infamia d’essere sull’orlo del baratro, restituiteci onorabilità finanziaria e vedrete correre le nostre imprese, che restano ancora, nella gran parte, un fiore all’occhiello. Invece si subisce l’attacco altrui, ci si piega ai “compiti a casa”, si punisce il sistema produttivo, si lavora attorno a riforme di pura facciata, si resta con il respiro corto e si perde peso internazionale. E’ questo il risultato dato dalla stabilità, a sua volta retta dalla paura di dovere contabilizzare la protesta elettorale? Forse non è un bene così ammirevole e irrinunciabile.

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