E’ l’ora della grande disintossicazione
La molla del Sud
Nel Mezzogiorno lo Stato ha un dovere imprescindibile: assicurare legge e ordinedi Davide Giacalone - 29 settembre 2011
Il Sud è ancora in recessione, il reddito pro capite è inferiore alla media nazionale, la disoccupazione superiore, quella giovanile alle stelle, l’emigrazione continua, comportando l’invecchiamento e i costi della popolazione che resta. La fotografia Svimez è impietosa. A tutto questo non si può e non si deve porre rimedio con i trasferimenti dalle casse dello Stato alle tasche delle famiglie. Ce ne sono già troppi e, semmai, andrebbero tagliati. Il Sud dei piagnistei e dei mantenuti deve essere chiuso e sepolto, non alimentato e resuscitato. Ma nel Mezzogiorno lo Stato ha un dovere imprescindibile: assicurare legge e ordine.
I dati Svimez sono impressionanti, ma la ricchezza circolante c’è, in buona parte di origine irregolare, quando non criminale. E questo avvelena il Sud, facendo fuggire i migliori. Peccato che la giustizia italiana fa pena, ma quella al Sud fa ribrezzo. Lo Stato fallisce proprio laddove si gioca la faccia e la sovranità.
Sono mesi che le procure del Sud si contendono una grottesca inchiesta sulle prostitute, buttando dalla finestra soldi e denaro, facendo coriandoli dei codici, inventando trucchi da baraccone, il tutto perché qualche procuratore immeritevole d’essere tale prenda un trofeo nel safari politico e trovi su di sé l’occhio della telecamera. Il giornalismo che gli va appresso è corresponsabile dello sfascio.
Il Sud potrebbe essere la catapulta che fa ripartire l’Italia, purché si crei il giusto ecosistema. Basta aiuti alle imprese, che generano più clientele che sviluppo. Servono cose basilari: a. alleggerimento del carico burocratico (gli industriali che difendono l’opportunità di presentare il certificato antimafia dovrebbero essere indotti a spiegarne i motivi, dato che è più che sufficiente l’accesso ad una banca dati che informi sul grado di limpidezza dell’impresa e della persona, il resto è solo racket burocratico); b. tempi certi e responsabilità diretta per i pubblici amministratori che debbano rilasciare permessi di ogni genere; c. favore fiscale per gli investimenti e per gli utili reinvestiti; d. gabbie salariali, vale a dire salari correlati al costo della vita locale (quindi l’opposto di quel che Confindustria firma con i sindacati, alla faccia delle chiacchiere pro sviluppo); f. elasticità del lavoro. Tutto questo è non solo inutile, ma anche pericoloso se non si è in grado di contrastare la delinquenza organizzata, che ne approfitterebbe. Compito impossibile? Assolutamente no, si può. La cultura delle regole è pure cultura delle sanzioni, il che vale anche per i centauri regolarmente senza casco. Sarà pure roba da poco, ma conta. Se anziché andare appresso alle baggianate del Ciancimino di turno, da noi individuate come tali assai per tempo, si dimostrasse che anche l’ultimo anello delle catene del ricatto, anche il manovale esattore del pizzo viene arrestato e condannato in tempo reale, il che è possibilissimo se solo lo si accusa di quel che è evidente e non si cerca di arrivare tramite lui al “livello occulto”, che manco esiste, vedrete che la musica può cambiare. Le pene non devono essere “esemplari”, ma vere. Si scontano. Le procure del Sud sono le più impegnate a indagarsi fra di loro. I tribunali del Sud sono i più lenti d’Italia. Voi credete che questo non abbia un riflesso sulla diffusione delle mafie? Io credo che ne sia il complice risvolto.
Al Sud c’è tanta gente con una gran voglia e capacità di lavorare, chi crede il contrario non sa di che parla. Ma ciascuno di questi si trova a vivere immerso in reti intessute con disvalori, intrecciate con l’arrangiarsi e il raccomandarsi, perdendo progressivamente fiducia nel merito e nella legalità. Per questo vanno via. Il mondo è pieno di meridionali di primissima qualità, ma se restano al Sud vivacchiano. Vivacchiando non producono e non producendo costano. Se si fracassa quest’incubo il Sud parte a razzo.
Il Sud è tutto colluso? Erano del Sud Falcone e Borsellino. Semmai erano del Nord i magistrati e i politici di sinistra che li fecero fuori, per poi osannare i loro avversari, spacciati per continuatori. Lo Stato ha colpe enormi verso il Sud, che ha nascosto mandano soldi improduttivi, drogandolo. E’ l’ora della grande disintossicazione. Ivi compreso il fatto che vanno buttati fuori quei tutori della legge che passano la vita ad accrescere il proprio ego, cercare la fama e tradire la ragione per cui lo Stato li paga.
Pubblicato da Libero
I dati Svimez sono impressionanti, ma la ricchezza circolante c’è, in buona parte di origine irregolare, quando non criminale. E questo avvelena il Sud, facendo fuggire i migliori. Peccato che la giustizia italiana fa pena, ma quella al Sud fa ribrezzo. Lo Stato fallisce proprio laddove si gioca la faccia e la sovranità.
Sono mesi che le procure del Sud si contendono una grottesca inchiesta sulle prostitute, buttando dalla finestra soldi e denaro, facendo coriandoli dei codici, inventando trucchi da baraccone, il tutto perché qualche procuratore immeritevole d’essere tale prenda un trofeo nel safari politico e trovi su di sé l’occhio della telecamera. Il giornalismo che gli va appresso è corresponsabile dello sfascio.
Il Sud potrebbe essere la catapulta che fa ripartire l’Italia, purché si crei il giusto ecosistema. Basta aiuti alle imprese, che generano più clientele che sviluppo. Servono cose basilari: a. alleggerimento del carico burocratico (gli industriali che difendono l’opportunità di presentare il certificato antimafia dovrebbero essere indotti a spiegarne i motivi, dato che è più che sufficiente l’accesso ad una banca dati che informi sul grado di limpidezza dell’impresa e della persona, il resto è solo racket burocratico); b. tempi certi e responsabilità diretta per i pubblici amministratori che debbano rilasciare permessi di ogni genere; c. favore fiscale per gli investimenti e per gli utili reinvestiti; d. gabbie salariali, vale a dire salari correlati al costo della vita locale (quindi l’opposto di quel che Confindustria firma con i sindacati, alla faccia delle chiacchiere pro sviluppo); f. elasticità del lavoro. Tutto questo è non solo inutile, ma anche pericoloso se non si è in grado di contrastare la delinquenza organizzata, che ne approfitterebbe. Compito impossibile? Assolutamente no, si può. La cultura delle regole è pure cultura delle sanzioni, il che vale anche per i centauri regolarmente senza casco. Sarà pure roba da poco, ma conta. Se anziché andare appresso alle baggianate del Ciancimino di turno, da noi individuate come tali assai per tempo, si dimostrasse che anche l’ultimo anello delle catene del ricatto, anche il manovale esattore del pizzo viene arrestato e condannato in tempo reale, il che è possibilissimo se solo lo si accusa di quel che è evidente e non si cerca di arrivare tramite lui al “livello occulto”, che manco esiste, vedrete che la musica può cambiare. Le pene non devono essere “esemplari”, ma vere. Si scontano. Le procure del Sud sono le più impegnate a indagarsi fra di loro. I tribunali del Sud sono i più lenti d’Italia. Voi credete che questo non abbia un riflesso sulla diffusione delle mafie? Io credo che ne sia il complice risvolto.
Al Sud c’è tanta gente con una gran voglia e capacità di lavorare, chi crede il contrario non sa di che parla. Ma ciascuno di questi si trova a vivere immerso in reti intessute con disvalori, intrecciate con l’arrangiarsi e il raccomandarsi, perdendo progressivamente fiducia nel merito e nella legalità. Per questo vanno via. Il mondo è pieno di meridionali di primissima qualità, ma se restano al Sud vivacchiano. Vivacchiando non producono e non producendo costano. Se si fracassa quest’incubo il Sud parte a razzo.
Il Sud è tutto colluso? Erano del Sud Falcone e Borsellino. Semmai erano del Nord i magistrati e i politici di sinistra che li fecero fuori, per poi osannare i loro avversari, spacciati per continuatori. Lo Stato ha colpe enormi verso il Sud, che ha nascosto mandano soldi improduttivi, drogandolo. E’ l’ora della grande disintossicazione. Ivi compreso il fatto che vanno buttati fuori quei tutori della legge che passano la vita ad accrescere il proprio ego, cercare la fama e tradire la ragione per cui lo Stato li paga.
Pubblicato da Libero
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.