Cosa imparare dal voto per l’Eliseo
La lezione francese
Oltralpe il bipolarismo non è un feticcio, ma un’evoluzione. Altro che Seconda Repubblicadi Davide Giacalone - 23 aprile 2007
A dispetto di quanti la portano ad improprio esempio, la Francia non è bipolare manco per niente. Non lo è nelle elezioni politiche, così come non lo è quando si tratta di eleggere una sola persona, il Presidente della Repubblica. Alla sfida domenicale, infatti, sono potuti arrivare una ventina di candidati, i quali hanno variamente messo in mostra una sinistra antagonista ed una destra dura che superano entrambe il dieci per cento, ed ha preso forma anche un candidato che ha voluto definirsi centrista, non allineato con i due schieramenti principali, che ha superato il diciotto per cento.
Il candidato che i francesi hanno spontaneamente e maggiormente votato, Nicolas Sarkozy, si è collocato al di sotto di un terzo dei voti espressi. Quindi, come si vede, il bipolarismo non c’è. Da qui in poi, però, è il sistema elettorale, come quello istituzionale, ad indirizzare le cose in modo che il vincitore potrà dirsi democraticamente eletto, pur raccogliendo una minoranza dei consensi. Al ballottaggio, difatti, andranno solo i due candidati più votati, con l’effetto che fra due domeniche la Francia avrà un nuovo presidente che sarà stato votato, con matematica certezza, dalla maggioranza assoluta degli elettori. E’ un effetto del sistema, non un prodotto della loro volontà.
Così funzionano i sistemi maggioritari, il cui scopo è quello di consegnare la maggioranza a chi altrimenti non potrebbe conquistarla. Ed è appena il caso di ricordare che anche nel sistema inglese un terzo dei voti può essere sufficiente ad un solo partito per governare a lungo, ed in stabilità. La versione italiana, dal 1994 ad oggi, è alquanto bislacca perché non consegna la maggioranza assoluta al partito od al leader che conquista quella relativa, ma premia le coalizioni che si formano al solo scopo di vincere le elezioni. In altre parole: abbiamo un sistema falsamente maggioritario, che consente la formazione di due coalizioni disomogenee, all’interno delle quali permane una logica proporzionale. Risultato: si vota sempre e non si governa mai.
A guidare questa nostra (cattiva) versione del maggioritario non c’è (solo) l’incapacità di leggere con nitidezza le lezioni della storia, ma c’è anche una tara genetica della nostra democrazia, che consiste nella paura delle maggioranze. Ci fanno orrore. Cominciammo prima del fascismo, quando i cattolici non prendevano parte alla competizione elettorale, abbiamo continuato, non a caso tenendoci il “più grande partito comunista dell’occidente”, e non smettiamo, avendo la sinistra egemonizzata da quegli stessi che furono comunisti e la destra retta da un leader la cui forza deriva più da un rifiuto che da un’evoluzione della politica.
Tutto questo per dire che la Francia non è bipolare, ma lo diventa grazie agli equilibri che si è data, mentre la politica italiana non può sperare altrettanto se non passando da una realistica visione delle cose e da una efficace evoluzione. La nostra arretratezza, insomma, sta proprio in questo: nei sistemi efficienti le regole del gioco favoriscono le evoluzioni politiche, da noi è l’evoluzione delle forze politiche che dovrebbe portarci verso un sistema decente.
www.davidegiacalone.it
Il candidato che i francesi hanno spontaneamente e maggiormente votato, Nicolas Sarkozy, si è collocato al di sotto di un terzo dei voti espressi. Quindi, come si vede, il bipolarismo non c’è. Da qui in poi, però, è il sistema elettorale, come quello istituzionale, ad indirizzare le cose in modo che il vincitore potrà dirsi democraticamente eletto, pur raccogliendo una minoranza dei consensi. Al ballottaggio, difatti, andranno solo i due candidati più votati, con l’effetto che fra due domeniche la Francia avrà un nuovo presidente che sarà stato votato, con matematica certezza, dalla maggioranza assoluta degli elettori. E’ un effetto del sistema, non un prodotto della loro volontà.
Così funzionano i sistemi maggioritari, il cui scopo è quello di consegnare la maggioranza a chi altrimenti non potrebbe conquistarla. Ed è appena il caso di ricordare che anche nel sistema inglese un terzo dei voti può essere sufficiente ad un solo partito per governare a lungo, ed in stabilità. La versione italiana, dal 1994 ad oggi, è alquanto bislacca perché non consegna la maggioranza assoluta al partito od al leader che conquista quella relativa, ma premia le coalizioni che si formano al solo scopo di vincere le elezioni. In altre parole: abbiamo un sistema falsamente maggioritario, che consente la formazione di due coalizioni disomogenee, all’interno delle quali permane una logica proporzionale. Risultato: si vota sempre e non si governa mai.
A guidare questa nostra (cattiva) versione del maggioritario non c’è (solo) l’incapacità di leggere con nitidezza le lezioni della storia, ma c’è anche una tara genetica della nostra democrazia, che consiste nella paura delle maggioranze. Ci fanno orrore. Cominciammo prima del fascismo, quando i cattolici non prendevano parte alla competizione elettorale, abbiamo continuato, non a caso tenendoci il “più grande partito comunista dell’occidente”, e non smettiamo, avendo la sinistra egemonizzata da quegli stessi che furono comunisti e la destra retta da un leader la cui forza deriva più da un rifiuto che da un’evoluzione della politica.
Tutto questo per dire che la Francia non è bipolare, ma lo diventa grazie agli equilibri che si è data, mentre la politica italiana non può sperare altrettanto se non passando da una realistica visione delle cose e da una efficace evoluzione. La nostra arretratezza, insomma, sta proprio in questo: nei sistemi efficienti le regole del gioco favoriscono le evoluzioni politiche, da noi è l’evoluzione delle forze politiche che dovrebbe portarci verso un sistema decente.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.