Tutti la vogliono(a parole) ma nessuno sa cosa sarà
La formula magica della partecipazione
Partecipazione dei lavoratori agli utili e alla gestione delle aziende?di Elio Di Caprio - 22 maggio 2009
Partecipare è la formula magica che fa comodo a tutti, dai sindacalisti come Bonanni alla Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, alle forze di governo e di opposizione. Cosa c’è di meglio per andare oltre la democrazia passiva che partecipare e magari esperire nuove forme di democrazia economica?
Altro conto poi è tener conto dei rapporti di forza tra chi partecipa. Il terreno della partecipazione sta diventando generico e affollato come quello delle riforme: riforme per uscire dalla crisi come e meglio di prima, pensioni da riformare e liberalizzazioni da fare, e perché no, parlamentari da ridurre come ha recentemente ribadito Berlusconi.
Chi è la più bella del reame tra tante riforme incompiute e tante partecipazioni auspicate? Dopo la rivoluzione “antifannulloni” dell’ ex socialista Ministro Brunetta- in Italia ogni riforma è una rivoluzione- è in agenda una riforma di carattere ancor più radicale che riguarda nientemeno che i rapporti tra capitale e lavoro all’interno delle grandi aziende. Fuochi d’artificio o mossa necessitata in nome della coesione sociale messa a dura prova dalla crisi economica?
Se queste riforme andassero in porto vorrebbe dire, miracolo, che un governo di centro destra che sicuramente non dà un esempio immacolato di partecipazione democratica è riuscito ad allargare gli spazi di democrazia in altri settori di non secondaria importanza.
Prima la “riforma Brunetta” che, al di là dell’ approccio ostentatamente punitivo verso il pubblico impiego, consentirà- così sembra- alla grande platea dei sudditi-consumatori di partecipare e dire la loro sull’efficienza della pubblica amministrazione. Ora arriva la riforma annunciata più difficile, quella dei rapporti tra capitale e lavoro all’interno delle aziende.
La partecipazione dei lavoratori alla gestione o agli utili dell’azienda è proposta tanto dal Ministro del lavoro Sacconi (ex socialista) quanto dal giuslavorista di sinistra, Pietro Ichino. Proposte analoghe vengono da Maurizio De Castro del PDL, forse il maggiore esperto in materia e da Tiziano Treu. La convergenza bipartisan questa volta dovrebbe funzionare.
Se le intenzioni fossero seguite dai fatti si tratterebbe di una vera e propria svolta, anche culturale, che però non è stata minimamente preparata e rischia perciò di diventare l’ennesimo gioco a rimpiattino tra quelle che una volta si dicevano le “forze padronali” e la classe lavoratrice. Né i sindacati, né le grandi aziende hanno finora accettato di misurarsi su un tema così importante che poteva e può mettere in discussione la rendita di posizione dei sindacati derivante da una conflittualità esasperata o la libertà delle aziende a fare quello che vogliono ( anche delocalizzare le imprese) nell’interesse della loro sopravvivenza o dei loro profitti.
Vedremo se ( non solo a parole) i sindacati, tra loro divisi, trovino almeno un approccio unitario per fare un salto di qualità, misurarsi con il tema della partecipazione e scrollarsi così di dosso l’immagine di una casta burocratica interessata a mantenere in vita l’esistente più che essere capace di esperire vie nuove.
E’ bene che si parli ora di partecipazione, ma con quali punti di partenza se non siamo riusciti finora nemmeno a creare i “Consigli di Sorveglianza” alla tedesca che consentano un minimo di conoscenza e di condizionamento delle scelte aziendali?
Se fossero già esistiti i Consigli di Sorveglianza forse avremmo avuto nelle mani lo strumento adatto per condizionare e sorvegliare i tanti managers di Stato che sono stati liberi, fino all’epoca di Tangentopoli, di mischiare allegramente i loro interessi personali con quelli pubblici.
Probabilmente gli stessi processi di privatizzazione avrebbero assunto una piega ben diversa se qualcuno, ad esempio, si fosse alzato, a nome dei lavoratori, a chiedere il rendiconto delle strategie (?) che stavano dietro la cessione al mercato dell’efficiente comparto telefonico prima che si arrivasse alla Telecom integralmente privata.
E invece nulla di tutto questo. Il potere residuale concesso (e accettato) ai sindacati è stato da tanti anni quello di protestare, mai di partecipare alle decisioni di vertice delle aziende. Il pansindacalismo dello statuto dei lavoratori non è stato nemmeno sufficiente ad allineare i salari italiani alla media europea.
Ora siamo alla proposta di legge di Piero Ichino che si pone l’obbiettivo generale di consentire ai lavoratori di esercitare una maggiore influenza sulle aziende. Come? In tanti modi. Si va – è l’ ipotesi minima- dagli obblighi di informazione e di consultazione con i sindacati, all’istituzione di organismi congiunti di indirizzo e controllo, ai consigli di sorveglianza L’ipotesi massima è la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa, all’azionariato e al capitale anche utilizzando parte delle indennità di fine rapporto. Più avanzati di così non si può…!
Ma quali e quante aziende accetterebbero la partecipazione agli utili visto che la maggioranza del nostro comparto produttivo è disseminata in una miriade di piccole e medie aziende? E per essere democratici la partecipazione agli utili non potrebbe diventare anche partecipazione alle perdite? Finalmente c’è un disegno di legge da cui cominciare, ma non è stato preceduto da alcun approfondimento o dibattito.
Se volessimo andare a ritroso si scoprirebbe che gran parte delle proposte di legge sulla partecipazione sono state presentate nel quarantennio della Prima Repubblica da quella che allora era chiamata l’estrema destra, dal MSI, da coloro che volevano trovare nei lasciti ideologici della “dannata” Repubblica Sociale i germi di una nuova cultura di sinistra in campo sociale.
La partecipazione alla gestione e/o agli utili dell’azienda era quasi sempre lo slogan conclusivo degli oceanici comizi di Giorgio Almirante. Bastava allora lo slogan ad effetto, tanto si sapeva che nulla sarebbe seguito. Per i sindacati e i partiti erano più importanti la scala mobile e il punto unico di contingenza.
Miopia o vista corta? Ora il tema ritorna in auge su iniziativa di un ex socialista e di un importante esponente del PD. Vedremo cosa ne verrà fuori, vedremo se il “governo del fare”, tra tante riforme e partecipazioni annunciate, riuscirà a dare piena attuazione a questo progetto di svolta.
Altro conto poi è tener conto dei rapporti di forza tra chi partecipa. Il terreno della partecipazione sta diventando generico e affollato come quello delle riforme: riforme per uscire dalla crisi come e meglio di prima, pensioni da riformare e liberalizzazioni da fare, e perché no, parlamentari da ridurre come ha recentemente ribadito Berlusconi.
Chi è la più bella del reame tra tante riforme incompiute e tante partecipazioni auspicate? Dopo la rivoluzione “antifannulloni” dell’ ex socialista Ministro Brunetta- in Italia ogni riforma è una rivoluzione- è in agenda una riforma di carattere ancor più radicale che riguarda nientemeno che i rapporti tra capitale e lavoro all’interno delle grandi aziende. Fuochi d’artificio o mossa necessitata in nome della coesione sociale messa a dura prova dalla crisi economica?
Se queste riforme andassero in porto vorrebbe dire, miracolo, che un governo di centro destra che sicuramente non dà un esempio immacolato di partecipazione democratica è riuscito ad allargare gli spazi di democrazia in altri settori di non secondaria importanza.
Prima la “riforma Brunetta” che, al di là dell’ approccio ostentatamente punitivo verso il pubblico impiego, consentirà- così sembra- alla grande platea dei sudditi-consumatori di partecipare e dire la loro sull’efficienza della pubblica amministrazione. Ora arriva la riforma annunciata più difficile, quella dei rapporti tra capitale e lavoro all’interno delle aziende.
La partecipazione dei lavoratori alla gestione o agli utili dell’azienda è proposta tanto dal Ministro del lavoro Sacconi (ex socialista) quanto dal giuslavorista di sinistra, Pietro Ichino. Proposte analoghe vengono da Maurizio De Castro del PDL, forse il maggiore esperto in materia e da Tiziano Treu. La convergenza bipartisan questa volta dovrebbe funzionare.
Se le intenzioni fossero seguite dai fatti si tratterebbe di una vera e propria svolta, anche culturale, che però non è stata minimamente preparata e rischia perciò di diventare l’ennesimo gioco a rimpiattino tra quelle che una volta si dicevano le “forze padronali” e la classe lavoratrice. Né i sindacati, né le grandi aziende hanno finora accettato di misurarsi su un tema così importante che poteva e può mettere in discussione la rendita di posizione dei sindacati derivante da una conflittualità esasperata o la libertà delle aziende a fare quello che vogliono ( anche delocalizzare le imprese) nell’interesse della loro sopravvivenza o dei loro profitti.
Vedremo se ( non solo a parole) i sindacati, tra loro divisi, trovino almeno un approccio unitario per fare un salto di qualità, misurarsi con il tema della partecipazione e scrollarsi così di dosso l’immagine di una casta burocratica interessata a mantenere in vita l’esistente più che essere capace di esperire vie nuove.
E’ bene che si parli ora di partecipazione, ma con quali punti di partenza se non siamo riusciti finora nemmeno a creare i “Consigli di Sorveglianza” alla tedesca che consentano un minimo di conoscenza e di condizionamento delle scelte aziendali?
Se fossero già esistiti i Consigli di Sorveglianza forse avremmo avuto nelle mani lo strumento adatto per condizionare e sorvegliare i tanti managers di Stato che sono stati liberi, fino all’epoca di Tangentopoli, di mischiare allegramente i loro interessi personali con quelli pubblici.
Probabilmente gli stessi processi di privatizzazione avrebbero assunto una piega ben diversa se qualcuno, ad esempio, si fosse alzato, a nome dei lavoratori, a chiedere il rendiconto delle strategie (?) che stavano dietro la cessione al mercato dell’efficiente comparto telefonico prima che si arrivasse alla Telecom integralmente privata.
E invece nulla di tutto questo. Il potere residuale concesso (e accettato) ai sindacati è stato da tanti anni quello di protestare, mai di partecipare alle decisioni di vertice delle aziende. Il pansindacalismo dello statuto dei lavoratori non è stato nemmeno sufficiente ad allineare i salari italiani alla media europea.
Ora siamo alla proposta di legge di Piero Ichino che si pone l’obbiettivo generale di consentire ai lavoratori di esercitare una maggiore influenza sulle aziende. Come? In tanti modi. Si va – è l’ ipotesi minima- dagli obblighi di informazione e di consultazione con i sindacati, all’istituzione di organismi congiunti di indirizzo e controllo, ai consigli di sorveglianza L’ipotesi massima è la partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa, all’azionariato e al capitale anche utilizzando parte delle indennità di fine rapporto. Più avanzati di così non si può…!
Ma quali e quante aziende accetterebbero la partecipazione agli utili visto che la maggioranza del nostro comparto produttivo è disseminata in una miriade di piccole e medie aziende? E per essere democratici la partecipazione agli utili non potrebbe diventare anche partecipazione alle perdite? Finalmente c’è un disegno di legge da cui cominciare, ma non è stato preceduto da alcun approfondimento o dibattito.
Se volessimo andare a ritroso si scoprirebbe che gran parte delle proposte di legge sulla partecipazione sono state presentate nel quarantennio della Prima Repubblica da quella che allora era chiamata l’estrema destra, dal MSI, da coloro che volevano trovare nei lasciti ideologici della “dannata” Repubblica Sociale i germi di una nuova cultura di sinistra in campo sociale.
La partecipazione alla gestione e/o agli utili dell’azienda era quasi sempre lo slogan conclusivo degli oceanici comizi di Giorgio Almirante. Bastava allora lo slogan ad effetto, tanto si sapeva che nulla sarebbe seguito. Per i sindacati e i partiti erano più importanti la scala mobile e il punto unico di contingenza.
Miopia o vista corta? Ora il tema ritorna in auge su iniziativa di un ex socialista e di un importante esponente del PD. Vedremo cosa ne verrà fuori, vedremo se il “governo del fare”, tra tante riforme e partecipazioni annunciate, riuscirà a dare piena attuazione a questo progetto di svolta.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.