La legge provoca sconquasso nel centrosinistra
La Finanziaria del tutti contro tutti
Le promesse di Prodi si sono rivelate bugie. E gli enti locali sono in rivoltadi Alessandra Servidori - 05 ottobre 2006
Tutti contro tutti: Veltroni contro Padoa Schioppa, Di Pietro contro Mastella, Montezemolo contro Prodi, i sindaci contro Bersani e Padoa Schioppa, e via andare: con la Finanziaria 2007 si è scatenato il finimondo e in tanti hanno perso. Il pacchetto varato venerdì scorso non si accontenta di colpire i ceti medi nel presupposto (non dimostrato) che si tratti in prevalenza di elettori del blocco moderato. La manovra ha già provocato, qualche sconquasso all’interno della turbolenta coalizione di centro sinistra, soprattutto perché alcune misure apriranno un solco profondo tra la e i vertici di quelle associazioni ed istanze rappresentative di interessi che hanno appoggiato – più o meno apertamente – l’Unione nella consultazione d’aprile.
E’ il caso delle organizzazioni imprenditoriali, Confindustria in testa. In campagna elettorale Prodi, forzando il suo stesso Programma, aveva lusingato il sistema delle imprese con un robusto taglio degli oneri sociali: un’operazione da 9 miliardi di euro che doveva essere realizzata nei primi cento giorni. E’ rimasta la promessa, mentre l’obiettivo si è stemperato lungo un percorso graduale, nonostante che le dimensioni della manovra siano cresciute di oltre il 10% in zona Cesarini. In compenso (si fa per dire) il Governo (se non interverranno ravvedimenti) darà corso ad una vera e propria espropriazione di gran parte delle quote di tfr che i lavoratori vorranno mantenere in azienda (anziché prendere la via del finanziamento della previdenza complementare).
Secondo stime attendibili si tratta di ben 5 miliardi di euro l’anno, un ammontare che dovrà essere versato ad un fondo presso l’Inps (anziché servire all’autofinanziamento delle imprese) allo scopo di sostenere interventi in infrastrutture. Quanto ai lavoratori autonomi, oltre alla spoliazione del trattamento di fine rapporto, essi dovranno sobbarcarsi un’aliquota pensionistica maggiorata. Analoga sorte toccherà ai lavoratori precari, nonostante l’enorme saldo attivo della loro gestione. E le Regioni e gli enti locali ? Tutti ricordano le filippiche dei governatori e dei sindaci di centro sinistra (guidati, questi ultimi, dall’indomito primo cittadino di Firenze nonché presidente dell’Anci) contro i tagli del Giulio Tremonti, in conseguenza dei quali venivano descritte drammatiche situazioni di bambini privati di latte e di anziani messi sul lastrico. Nella Finanziaria del Governo è cambiato solo il meccanismo del patto interno di stabilità (si assume il parametro del saldo di bilancio al posto del tetto di spesa); ma la sostanza non muta, perché l’esigenza di portare sotto controllo la finanza locale è una priorità ineludibile (come ha affermato Mario Draghi). Come faranno, allora, i sindaci dell’Unione, che per anni hanno demonizzato il Governo centrale, a spiegare ai loro concittadini che la musica è sempre la stessa ma che stavolta dovranno ridurre i servizi od aumentare i tributi locali?
Gli unici che sono relativamente soddisfatti (e possono cantare vittoria, seppure sommessamente) sono i sindacati e i partiti della sinistra neocomunista e verde. Sono riusciti, i primi, a tutelare le burocrazie sindacalizzate; i secondi hanno potuto dare sfogo ai loro ideologismi.Quella di Prodi-Padoa Schioppa si spaccia per una finanziaria alla Robin Hood, ma assomiglia di più a quella dello sceriffo di Nottingham, con la differenza che toglie a tutti e non da a nessuno. La finanziaria è così antisussidiaria e illiberale che ha cancellato persino il 5 per mille, una piccola percentuale di libertà per la gente non di sottrarsi al fisco ma di indirizzarlo a fin di bene. E’ una scelta grave, visto che i contribuenti avevano dimostrato di gradirla molto. Il gradimento del 5 per mille, è provato dal fatto che, ad esempio, circa il 78% delle dichiarazioni raccolte dal Caf Cisl, conteneva la destinazione del 5 per mille per un ammontare di 31 milioni di euro. Questa manovra finanziaria dunque è debole e iniqua e questa maggioranza di Governo molto confusa e incapace : noi abbiamo bisogno di guardare avanti, e per farlo non servono né coloro che vogliono il ritorno ad un Stato padrone né chi emette scomuniche al solo immaginare di mettere il naso laddove deve comandare il (mitico) mercato. A noi sostenitori di Società libera , movimento presieduto da Enrico Cisnetto, non sfugge la differenza tra Stato e mercato, ma da reali e concreti pragmatici vogliamo che le soluzioni ai problemi discendano dall’analisi della realtà. E la realtà ci dice che “questo” capitalismo non è stato fin qui capace di invertire la rotta del declino. E siccome in un paese democratico, a cominciare da quelli di stampo e tradizione liberale, il compito di indicare obiettivi e di individuare strumenti spetta alla Politica, non accettiamo che sia il sistema degli interessi ad assumersi responsabilità che non gli competono. Se in una determinata contingenza storica le forze del mercato faticano a trovare la strada, lo Stato non dovrebbe svolgere un ruolo attivo, avendo come obiettivo non la supremazia sui privati e la cosiddetta società civile ma il perseguimento dell’interesse generale? La salute dell’Italia è molto compromessa : quanto ad apparato produttivo, a terziario, a innovazione, a ricerca e tecnologia, a internazionalizzazione, a sistema energetico, a infrastrutture materiali e immateriali, a scuola e formazione – e dunque l’impegno per la sua modernizzazione e globalizzazione richiede sforzi maggiori. Da solo lo Stato non è in grado di farcela, ma il capitalismo privato nemmeno. Bisogna che, partendo dalla trasformazione del sistema politico – propedeutica a tutto il resto – si riscriva la costituzione materiale di questo paese, un patto tra sistemi e generazioni per darsi un progetto per il futuro che non sia solo quello dell’autoperpetuazione conservativa.
Più Stato e più mercato, in una dimensione di carattere europeo. Più Stato non per invocare una maggiore spesa pubblica, che al contrario deve essere contenuta per ridurre la pressione fiscale e dare quindi più spazio alle scelte individuali che sono l’elemento costitutivo di un mercato libero. Ma uno Stato più autorevole che, rinunciando al volto arcigno della mera presenza burocratica, sappia fornire i nuovi beni pubblici del Terzo Millennio. Essi vanno oltre la dimensione del welfare, che va comunque modernizzato e reso finanziariamente sostenibile, passando dallo stato assistenziale e dei diritti allo stato sociale delle opportunità, del merito e dei diritti-doveri. Si estendono, invece, alla conoscenza, l’innovazione, la capacità di governo complessiva lungo rotte sconosciute, che il mercato, almeno quello italiano, così com’è storicamente configurato, non è in grado di tracciare.
Trovare il giusto equilibrio tra questi due momenti è compito della politica e degli assetti istituzionali del Paese. I quali dovranno essere semplificati e modernizzati per renderli più adatti a vincere le sfide che abbiamo di fronte. In buona sostanza ,non rassegniamoci a questa deriva e se proprio si decide di scendere in piazza, non servirà l’ esibizione delle masse : andiamoci con un progetto coraggioso e innovativo di sistema Paese perchè in tanti siamo in grado di contribuire a rilanciare il sistema-Italia.
E’ il caso delle organizzazioni imprenditoriali, Confindustria in testa. In campagna elettorale Prodi, forzando il suo stesso Programma, aveva lusingato il sistema delle imprese con un robusto taglio degli oneri sociali: un’operazione da 9 miliardi di euro che doveva essere realizzata nei primi cento giorni. E’ rimasta la promessa, mentre l’obiettivo si è stemperato lungo un percorso graduale, nonostante che le dimensioni della manovra siano cresciute di oltre il 10% in zona Cesarini. In compenso (si fa per dire) il Governo (se non interverranno ravvedimenti) darà corso ad una vera e propria espropriazione di gran parte delle quote di tfr che i lavoratori vorranno mantenere in azienda (anziché prendere la via del finanziamento della previdenza complementare).
Secondo stime attendibili si tratta di ben 5 miliardi di euro l’anno, un ammontare che dovrà essere versato ad un fondo presso l’Inps (anziché servire all’autofinanziamento delle imprese) allo scopo di sostenere interventi in infrastrutture. Quanto ai lavoratori autonomi, oltre alla spoliazione del trattamento di fine rapporto, essi dovranno sobbarcarsi un’aliquota pensionistica maggiorata. Analoga sorte toccherà ai lavoratori precari, nonostante l’enorme saldo attivo della loro gestione. E le Regioni e gli enti locali ? Tutti ricordano le filippiche dei governatori e dei sindaci di centro sinistra (guidati, questi ultimi, dall’indomito primo cittadino di Firenze nonché presidente dell’Anci) contro i tagli del
Gli unici che sono relativamente soddisfatti (e possono cantare vittoria, seppure sommessamente) sono i sindacati e i partiti della sinistra neocomunista e verde. Sono riusciti, i primi, a tutelare le burocrazie sindacalizzate; i secondi hanno potuto dare sfogo ai loro ideologismi.Quella di Prodi-Padoa Schioppa si spaccia per una finanziaria alla Robin Hood, ma assomiglia di più a quella dello sceriffo di Nottingham, con la differenza che toglie a tutti e non da a nessuno. La finanziaria è così antisussidiaria e illiberale che ha cancellato persino il 5 per mille, una piccola percentuale di libertà per la gente non di sottrarsi al fisco ma di indirizzarlo a fin di bene. E’ una scelta grave, visto che i contribuenti avevano dimostrato di gradirla molto. Il gradimento del 5 per mille, è provato dal fatto che, ad esempio, circa il 78% delle dichiarazioni raccolte dal Caf Cisl, conteneva la destinazione del 5 per mille per un ammontare di 31 milioni di euro. Questa manovra finanziaria dunque è debole e iniqua e questa maggioranza di Governo molto confusa e incapace : noi abbiamo bisogno di guardare avanti, e per farlo non servono né coloro che vogliono il ritorno ad un Stato padrone né chi emette scomuniche al solo immaginare di mettere il naso laddove deve comandare il (mitico) mercato. A noi sostenitori di Società libera , movimento presieduto da Enrico Cisnetto, non sfugge la differenza tra Stato e mercato, ma da reali e concreti pragmatici vogliamo che le soluzioni ai problemi discendano dall’analisi della realtà. E la realtà ci dice che “questo” capitalismo non è stato fin qui capace di invertire la rotta del declino. E siccome in un paese democratico, a cominciare da quelli di stampo e tradizione liberale, il compito di indicare obiettivi e di individuare strumenti spetta alla Politica, non accettiamo che sia il sistema degli interessi ad assumersi responsabilità che non gli competono. Se in una determinata contingenza storica le forze del mercato faticano a trovare la strada, lo Stato non dovrebbe svolgere un ruolo attivo, avendo come obiettivo non la supremazia sui privati e la cosiddetta società civile ma il perseguimento dell’interesse generale? La salute dell’Italia è molto compromessa : quanto ad apparato produttivo, a terziario, a innovazione, a ricerca e tecnologia, a internazionalizzazione, a sistema energetico, a infrastrutture materiali e immateriali, a scuola e formazione – e dunque l’impegno per la sua modernizzazione e globalizzazione richiede sforzi maggiori. Da solo lo Stato non è in grado di farcela, ma il capitalismo privato nemmeno. Bisogna che, partendo dalla trasformazione del sistema politico – propedeutica a tutto il resto – si riscriva la costituzione materiale di questo paese, un patto tra sistemi e generazioni per darsi un progetto per il futuro che non sia solo quello dell’autoperpetuazione conservativa.
Più Stato e più mercato, in una dimensione di carattere europeo. Più Stato non per invocare una maggiore spesa pubblica, che al contrario deve essere contenuta per ridurre la pressione fiscale e dare quindi più spazio alle scelte individuali che sono l’elemento costitutivo di un mercato libero. Ma uno Stato più autorevole che, rinunciando al volto arcigno della mera presenza burocratica, sappia fornire i nuovi beni pubblici del Terzo Millennio. Essi vanno oltre la dimensione del welfare, che va comunque modernizzato e reso finanziariamente sostenibile, passando dallo stato assistenziale e dei diritti allo stato sociale delle opportunità, del merito e dei diritti-doveri. Si estendono, invece, alla conoscenza, l’innovazione, la capacità di governo complessiva lungo rotte sconosciute, che il mercato, almeno quello italiano, così com’è storicamente configurato, non è in grado di tracciare.
Trovare il giusto equilibrio tra questi due momenti è compito della politica e degli assetti istituzionali del Paese. I quali dovranno essere semplificati e modernizzati per renderli più adatti a vincere le sfide che abbiamo di fronte. In buona sostanza ,non rassegniamoci a questa deriva e se proprio si decide di scendere in piazza, non servirà l’ esibizione delle masse : andiamoci con un progetto coraggioso e innovativo di sistema Paese perchè in tanti siamo in grado di contribuire a rilanciare il sistema-Italia.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.