Redditometro e poltica fiscale
La favola della lotta all'evasione
Un lotta aspra e sanguinaria, quella che il governo sta mettendo in campo contro il sommerso. Tutto per recuperare, forse, 20 miliardi. Ma ne vale la pena?di Angelo Romano - 13 settembre 2012
Da anni si sente dire che attraverso la lotta all’evasione fiscale si rimetteranno in sesto le sgangherate finanze statali e che, addirittura, sarà possibile ridurre le tasse. Sulla base di questa falsa equazione i cittadini si sono rassegnati a sopportare pesanti limitazioni alla loro libertà finanziaria ed alla loro privacy.
L’economia sommersa esiste e viene stimata, dall’Agenzia delle Entrate e dalla Corte dei Conti, in circa 284 miliardi (18% del Pil), il che determinerebbe un minor gettito per l’Erario stimato tra i 120 ed i 150 miliardi. A questo punto è facile vedersi in tasca un centinaio di miliardi in più e sognare sui possibili impieghi di tale cifra. La realtà è ben diversa e lascia poco spazio ai sogni. Per essere realisti occorre chiedersi cosa c’è dentro l’economia sommersa e da quali voci è composta.
Una quota è costituita dai comportamenti omissivi dei furbi che non fanno gli scontrini, non rilasciano fatture se non sotto tortura e, quando possono, portano i capitali all’estero.
Un’altra fetta, ben consistente, è costituita dal “fatturato” del malaffare: droga, prostituzione, pizzo, usura, scommesse clandestine, contrabbando, traffico di esseri umani, reati su commissione e quanto altro. Ovviamente, a fronte del “fatturato” vi è il correlato sistema di costi costituito, per larga parte, da personale che non può dichiarare i suoi redditi (si stima che almeno un milione di persone vivano di malaffare). Il Sole 24 Ore, nel gennaio di quest’anno, ha calcolato in 138 miliardi il valore di tale “giro d’affari”, con utili per circa 65 miliardi e patrimonio di almeno 1000 miliardi. E’ di tutta evidenza che mai si potrà imporre all’usuraio di emettere regolare fattura, né al contrabbandiere o allo spacciatore di rilasciare lo scontrino.
Una quota ulteriore è costituita da tutte quelle attività che non possono emergere in ragione della loro intrinseca illiceità: i produttori di copie pirata di musica, di film, di software, le aziende che producono falsi “d’autore” quali borse o capi griffati, orologi e complementi d’abbigliamento, prodotti alimentari, farmaci e persino profilattici. Si stima che il mercato dei falsi valga non meno di 7 miliardi, ma tale stima si basa soltanto sul valore dei beni sequestrati (2,2 miliardi nel 2011). Probabilmente vale molto di più.
L’ultima parte è costituita dalla cosiddetta economia di sopravvivenza. Si tratta di tutte quelle piccole e piccolissime aziende che stanno strutturalmente sul loro break-even (soglia di pareggio tra costi e ricavi) e che non sono in grado di reggere un qualunque carico di costi fissi aggiuntivi (contributi previdenziali, anticipazioni Iva, imposte, tasse, multe e sopravvenienze passive). In moltissimi casi non si tratta di furbi, ma di persone costrette, dalla debolezza economica, a stare sul grigio confine tra legalità ed illegalità e che, se avessero potuto, avrebbero volentieri rinunciato ad affrontare i pesanti rischi che questo comporta. Non esistono purtroppo dati sulla consistenza di tale fenomeno che è certamente molto presente al Sud. Si può azzardare che l’elusione del “semisommerso” valga un’ottantina di miliardi.
Tirando le somme: 140 miliardi vale il malaffare, una decina la contraffazione, un’ottantina il “semisommerso”. Siamo a circa 230 miliardi quasi tutti inemergibili o per la totale illiceità delle attività o per estinzione delle attività stesse in caso di sovracosti. Residua una cinquantina di miliardi che, per differenza, costituisce la quota di sommerso realmente perseguibile. Tradotto in gettito di tratta di poco più di 20 miliardi la cui integrale esigibilità è altamente dubbia, visto che una quota di sommerso è strutturalmente presente in ogni paese d’Europa (come mostrato in cartina) a prescindere dall’organizzazione statale, dal tipo di governo, dalle medie civili, dalla storia dei singoli popoli. Difatti: Lussemburgo, Irlanda, Spagna, Svezia, Portogallo, Olanda, Danimarca, Croazia, Norvegia, Polonia, Francia ed Estonia sono i Paesi dove il sommerso è minore. Colpisce il fatto che Belgio, Austria e Germania siano nella media europea che è del 12%, pur non avendo la stessa incidenza del malaffare che ha l’Italia.
Vale la pena di avvilire le libertà di tutti i cittadini vista l’esiguità della posta? Vale la pena di sostenere i costi crescenti per approntare mezzi straordinari, quando tutti gli altri paesi europei lo fanno con mezzi ordinari? Vale la pena di far crescere a dismisura un moloch quale è Equitalia? Soprattutto: ha senso illudere gli italiani con la bugia che la lotta all’evasione porterà all’abbassamento delle tasse e legittimare con questo tutti coloro che si nutrono di odio civile e di piccole invidie o che farneticano di tassare al trentatre per cento anche l’uso del contante?
L’economia sommersa esiste e viene stimata, dall’Agenzia delle Entrate e dalla Corte dei Conti, in circa 284 miliardi (18% del Pil), il che determinerebbe un minor gettito per l’Erario stimato tra i 120 ed i 150 miliardi. A questo punto è facile vedersi in tasca un centinaio di miliardi in più e sognare sui possibili impieghi di tale cifra. La realtà è ben diversa e lascia poco spazio ai sogni. Per essere realisti occorre chiedersi cosa c’è dentro l’economia sommersa e da quali voci è composta.
Una quota è costituita dai comportamenti omissivi dei furbi che non fanno gli scontrini, non rilasciano fatture se non sotto tortura e, quando possono, portano i capitali all’estero.
Un’altra fetta, ben consistente, è costituita dal “fatturato” del malaffare: droga, prostituzione, pizzo, usura, scommesse clandestine, contrabbando, traffico di esseri umani, reati su commissione e quanto altro. Ovviamente, a fronte del “fatturato” vi è il correlato sistema di costi costituito, per larga parte, da personale che non può dichiarare i suoi redditi (si stima che almeno un milione di persone vivano di malaffare). Il Sole 24 Ore, nel gennaio di quest’anno, ha calcolato in 138 miliardi il valore di tale “giro d’affari”, con utili per circa 65 miliardi e patrimonio di almeno 1000 miliardi. E’ di tutta evidenza che mai si potrà imporre all’usuraio di emettere regolare fattura, né al contrabbandiere o allo spacciatore di rilasciare lo scontrino.
Una quota ulteriore è costituita da tutte quelle attività che non possono emergere in ragione della loro intrinseca illiceità: i produttori di copie pirata di musica, di film, di software, le aziende che producono falsi “d’autore” quali borse o capi griffati, orologi e complementi d’abbigliamento, prodotti alimentari, farmaci e persino profilattici. Si stima che il mercato dei falsi valga non meno di 7 miliardi, ma tale stima si basa soltanto sul valore dei beni sequestrati (2,2 miliardi nel 2011). Probabilmente vale molto di più.
L’ultima parte è costituita dalla cosiddetta economia di sopravvivenza. Si tratta di tutte quelle piccole e piccolissime aziende che stanno strutturalmente sul loro break-even (soglia di pareggio tra costi e ricavi) e che non sono in grado di reggere un qualunque carico di costi fissi aggiuntivi (contributi previdenziali, anticipazioni Iva, imposte, tasse, multe e sopravvenienze passive). In moltissimi casi non si tratta di furbi, ma di persone costrette, dalla debolezza economica, a stare sul grigio confine tra legalità ed illegalità e che, se avessero potuto, avrebbero volentieri rinunciato ad affrontare i pesanti rischi che questo comporta. Non esistono purtroppo dati sulla consistenza di tale fenomeno che è certamente molto presente al Sud. Si può azzardare che l’elusione del “semisommerso” valga un’ottantina di miliardi.
Tirando le somme: 140 miliardi vale il malaffare, una decina la contraffazione, un’ottantina il “semisommerso”. Siamo a circa 230 miliardi quasi tutti inemergibili o per la totale illiceità delle attività o per estinzione delle attività stesse in caso di sovracosti. Residua una cinquantina di miliardi che, per differenza, costituisce la quota di sommerso realmente perseguibile. Tradotto in gettito di tratta di poco più di 20 miliardi la cui integrale esigibilità è altamente dubbia, visto che una quota di sommerso è strutturalmente presente in ogni paese d’Europa (come mostrato in cartina) a prescindere dall’organizzazione statale, dal tipo di governo, dalle medie civili, dalla storia dei singoli popoli. Difatti: Lussemburgo, Irlanda, Spagna, Svezia, Portogallo, Olanda, Danimarca, Croazia, Norvegia, Polonia, Francia ed Estonia sono i Paesi dove il sommerso è minore. Colpisce il fatto che Belgio, Austria e Germania siano nella media europea che è del 12%, pur non avendo la stessa incidenza del malaffare che ha l’Italia.
Vale la pena di avvilire le libertà di tutti i cittadini vista l’esiguità della posta? Vale la pena di sostenere i costi crescenti per approntare mezzi straordinari, quando tutti gli altri paesi europei lo fanno con mezzi ordinari? Vale la pena di far crescere a dismisura un moloch quale è Equitalia? Soprattutto: ha senso illudere gli italiani con la bugia che la lotta all’evasione porterà all’abbassamento delle tasse e legittimare con questo tutti coloro che si nutrono di odio civile e di piccole invidie o che farneticano di tassare al trentatre per cento anche l’uso del contante?
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.