Stiamo scherzando con il fuoco
La doppia pistola alle tempie
Cosa rischia il Paese se gli annunci del Cav. rimangono solo promesse?di Enrico Cisnetto - 10 giugno 2011
Stiamo scherzando con il fuoco. Ed è molto, molto pericoloso. Il maldestro tentativo messo in atto da Silvio Berlusconi di recuperare il consenso elettorale perduto, con la complicità del suo partito e della Lega e per colpa di opposizioni incapaci di fare proposte alternative serie, rischia di esporre i titoli del debito pubblico italiano ad attacchi speculativi sui mercati finanziari. Negli ultimi giorni, infatti, lo spread che separa i nostri Btp decennali dagli analoghi titoli tedeschi, considerati i più affidabili e quindi presi a metro di paragone, è tornato vicino ai 180 punti, dai 140-150 cui era sceso dopo aver toccato il record di 220. Certo, siamo distanti dai differenziali dei tre paesi a rischio default: i bond greci a 10 anni pagavano ieri un interesse del 16,33% contro il 3,07% dei tedeschi (cioè 1.326 punti in più), quelli irlandesi e portoghesi avevano uno spread rispettivamente di 756 e 745 punti sui Bund. E anche il rapporto Spagna-Germania (231 punti) è decisamente più sfavorevole del nostro.
Tuttavia i fucili sono puntati anche contro di noi, e non è un caso che l’Europa ci chieda di rispettare una stringente tabella di marcia verso gli obiettivi di risanamento. Gli europartner sono giustamente preoccupati che ai tre piccoli paesi in difficoltà – alla Grecia il tedesco Schauble chiede di allungare di sette anni la vita del debito – si aggiungono alla lista dei sofferenti due paesi del peso di Spagna e Italia, la cui eventuale crisi metterebbe in ginocchio in modo irreversibile l’euro. Dunque noi abbiamo una doppia pistola alla tempia, quella dei mercati e quella di Ue e Bce. Ma questo, con l’eccezione di Tremonti e pochi altri, sembra sfuggire alla nostra classe politica.
A quella di governo, perché in questa situazione, con la Commissione europea che ci chiede di fare la manovra correttiva entro ottobre, l’ipotesi avanzata ieri dal premier di fare un “ritocchino” da 3 miliardi rinviando sostanzialmente il grosso dell’intervento da 40 miliardi necessario per raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2014 alla prossima legislatura, è non solo un alzata di spalle nei confronti di Bruxelles (e di Berlino, che preme per il rigore), che non ci possiamo permettere, e un atto di irresponsabilità verso il governo che verrà, ma anche e soprattutto un colpevole azzardo per le reazioni che potrebbero verificarsi sui mercati.
Che aumenta se a questo “pagherò” si aggiunge un qualche intervento sulle tasse che faccia diminuire il gettito fiscale. Come ha detto uno dei pochi ministri con la testa sul collo, Raffaele Fitto, non si possono abbassare le tasse mentre si deve fare una manovra da 40 miliardi, è una contraddizione in termini. Ma ieri Berlusconi ha annunciato che entro l’estate il governo varerà una legge delega sul fisco. Ora, se anche fosse solo il classico annuncio cui non segue nulla, in questa fase sia i mercati che le agenzie di rating potrebbero decidere di prenderlo per buono, e considerarlo un atto di temerarietà.
Con tutto ciò che segue. Peggio ancora se questa volta Berlusconi, conscio di aver fatto troppe promesse fiscali non mantenute da potersene permettere un’altra, decidesse – anche a costo di rompere con Tremonti – di fare sul serio. Dove troverebbe la relativa copertura? Tagliando quella spesa pubblica su cui finora ha fatto resistenza? Difficile crederlo. Dunque, l’unico modo per fare una qualche riforma e non compromettere l’equilibrio dei conti sarebbe concepirne una a costo zero, cioè un’operazione di semplificazione e razionalizzazione dei tributi che però non tocchi il volume di gettito complessivo. Sarebbe molto utile, ma ha due controindicazioni: che è difficile da fare – altrimenti in otto anni di governo sarebbe già stata fatta – e che agli occhi un po’ semplicistici di Berlusconi non avrebbe granché fascino (sbagliando, perché per il contribuente pagare 10 tasse da un euro ciascuno o pagarne una da 10 euro fa molta differenza).
Ma sbaglia anche l’opposizione: è contraddittorio dire che Berlusconi sbaglia perché non ricorda neppure di aver firmato di suo pugno gli impegni che l’Europa ci ricorda di rispettare, e poi sostenere, come ha fatto ieri il Pd, che “il pareggio di bilancio in tre anni è obiettivo irrealistico” e che “Tremonti si deve fermare” perché “l’Ue non ha imposto un sentiero di rientro così rigido” essendo il Patto di Stabilità riformato “ancora in discussione al Parlamento Europeo”.
Se poi la ricetta è quella di “abbattere il debito pubblico attraverso l’innalzamento della crescita potenziale”, siamo alle favole dell’asilo. Certo, tornare alla crescita è un imperativo, e i dati sulla produzione industriale forniti ieri da Confindustria lo dimostrano una volta di più, ma qui le indicazioni che arrivano da maggioranza e opposizione sono ben altro che fare le riforme strutturali per avere le risorse sia per proseguire nel risanamento che per spingere sul pedale dello sviluppo. Qui c’è solo una becera rincorsa a ingraziarsi gli elettori. Che ci costerà maledettamente cara.
Tuttavia i fucili sono puntati anche contro di noi, e non è un caso che l’Europa ci chieda di rispettare una stringente tabella di marcia verso gli obiettivi di risanamento. Gli europartner sono giustamente preoccupati che ai tre piccoli paesi in difficoltà – alla Grecia il tedesco Schauble chiede di allungare di sette anni la vita del debito – si aggiungono alla lista dei sofferenti due paesi del peso di Spagna e Italia, la cui eventuale crisi metterebbe in ginocchio in modo irreversibile l’euro. Dunque noi abbiamo una doppia pistola alla tempia, quella dei mercati e quella di Ue e Bce. Ma questo, con l’eccezione di Tremonti e pochi altri, sembra sfuggire alla nostra classe politica.
A quella di governo, perché in questa situazione, con la Commissione europea che ci chiede di fare la manovra correttiva entro ottobre, l’ipotesi avanzata ieri dal premier di fare un “ritocchino” da 3 miliardi rinviando sostanzialmente il grosso dell’intervento da 40 miliardi necessario per raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2014 alla prossima legislatura, è non solo un alzata di spalle nei confronti di Bruxelles (e di Berlino, che preme per il rigore), che non ci possiamo permettere, e un atto di irresponsabilità verso il governo che verrà, ma anche e soprattutto un colpevole azzardo per le reazioni che potrebbero verificarsi sui mercati.
Che aumenta se a questo “pagherò” si aggiunge un qualche intervento sulle tasse che faccia diminuire il gettito fiscale. Come ha detto uno dei pochi ministri con la testa sul collo, Raffaele Fitto, non si possono abbassare le tasse mentre si deve fare una manovra da 40 miliardi, è una contraddizione in termini. Ma ieri Berlusconi ha annunciato che entro l’estate il governo varerà una legge delega sul fisco. Ora, se anche fosse solo il classico annuncio cui non segue nulla, in questa fase sia i mercati che le agenzie di rating potrebbero decidere di prenderlo per buono, e considerarlo un atto di temerarietà.
Con tutto ciò che segue. Peggio ancora se questa volta Berlusconi, conscio di aver fatto troppe promesse fiscali non mantenute da potersene permettere un’altra, decidesse – anche a costo di rompere con Tremonti – di fare sul serio. Dove troverebbe la relativa copertura? Tagliando quella spesa pubblica su cui finora ha fatto resistenza? Difficile crederlo. Dunque, l’unico modo per fare una qualche riforma e non compromettere l’equilibrio dei conti sarebbe concepirne una a costo zero, cioè un’operazione di semplificazione e razionalizzazione dei tributi che però non tocchi il volume di gettito complessivo. Sarebbe molto utile, ma ha due controindicazioni: che è difficile da fare – altrimenti in otto anni di governo sarebbe già stata fatta – e che agli occhi un po’ semplicistici di Berlusconi non avrebbe granché fascino (sbagliando, perché per il contribuente pagare 10 tasse da un euro ciascuno o pagarne una da 10 euro fa molta differenza).
Ma sbaglia anche l’opposizione: è contraddittorio dire che Berlusconi sbaglia perché non ricorda neppure di aver firmato di suo pugno gli impegni che l’Europa ci ricorda di rispettare, e poi sostenere, come ha fatto ieri il Pd, che “il pareggio di bilancio in tre anni è obiettivo irrealistico” e che “Tremonti si deve fermare” perché “l’Ue non ha imposto un sentiero di rientro così rigido” essendo il Patto di Stabilità riformato “ancora in discussione al Parlamento Europeo”.
Se poi la ricetta è quella di “abbattere il debito pubblico attraverso l’innalzamento della crescita potenziale”, siamo alle favole dell’asilo. Certo, tornare alla crescita è un imperativo, e i dati sulla produzione industriale forniti ieri da Confindustria lo dimostrano una volta di più, ma qui le indicazioni che arrivano da maggioranza e opposizione sono ben altro che fare le riforme strutturali per avere le risorse sia per proseguire nel risanamento che per spingere sul pedale dello sviluppo. Qui c’è solo una becera rincorsa a ingraziarsi gli elettori. Che ci costerà maledettamente cara.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.