Una campagna elettorale a colpi di share
La democrazia mediatica
Tante promesse e pochi fatti. Verrà mai il tempo del realismo?di Enrico Cisnetto - 15 febbraio 2008
In omaggio alla particolare forma di democrazia, quella mediatica, che si è auto-instaurata in Italia da una quindicina d’anni a questa parte, nelle ultime ore Veltroni e Berlusconi sono stati ospiti delle maggiori trasmissioni tv per illustrare abbozzi di programmi elettorali che i loro partiti non hanno mai discusso. Il mezzo televisivo, si sa, già di suo induce alla semplificazione esasperata, la quale a sua volta si trasforma facilmente in demagogia e populismo. Se poi si aggiunge il fatto che, nonostante l’ex sindaco di Roma rappresenti l’azionista di maggioranza della coalizione al governo negli ultimi due anni e il Cavaliere a Palazzo Chigi ci sia stato con una maggioranza schiacciante nei cinque anni precedenti, non abbiano mai sentito la necessità di misurarsi sui grandi problemi dell’Italia, ecco spiegato perchè – ed è un vero peccato – le “proposte” sembrano peccare per eccesso di genericità e di “buonismo”. O comunque non paiano affatto adeguate alle necessità sempre più stringenti del Paese, stretto fra il declino economico e il degrado socio-ambientale.
Prendiamo l’economia. Nel dettaglio, a stare a sentire chi si accingerebbe a governare (Berlusconi), sembra di capire che il problema numero uno dell’Italia sia l’emergenza abitativa: “casa a favore dei giovani e garantire la proprietà dell’abitazione anche a quel 13% di famiglie che non ne dispone”. Ma come, siamo l’unico paese del mondo che ha quel tasso così alto di proprietà immobiliare, viviamo la contraddizione tra un debito pubblico e un patrimonio privato eccezionalmente alti, per cui dovremmo “smobilizzare” tutto quel mattone che ci zavorra negli investimenti e dunque nello sviluppo, e andiamo a chiedere il voto degli italiani per il solo fatto che lo slogan “casa per tutti” suona meglio alle orecchie dell’elettore? Poi ci sono le solite promesse di riduzione delle tasse – gli stessi non realizzati nei cinque anni al governo – senza mai indicare i corrispondenti tagli di spesa. Certo, gli sgravi fiscali sugli straordinari e sui premi di produttività sono una buona idea, che infatti ha già ricevuto il plauso della Confindustria. Ma bisognerebbe notare che gli aiuti “a pioggia”, anche quando vanno ai lavoratori e non alle imprese, finiscono per non curare nessuno, e che invece bisognerebbe avere il coraggio di porre il problema della selettività, aiutando solo chi è in grado di competere sui mercati globali. Insomma, anche il centro-destra versione Pdl, non meno di quando era Casa delle libertà, finisce per parlare di equità invece che di crescita. E pur provenendo dall’opposizione, non si sogna neppure di evocare il declino, e quindi di indicare le misure drastiche e strutturali che esso impone. Anche quando si evocano le pensioni, non si va al di là del ripristino di quello “scalone” che rappresenta la migliore dimostrazione di quanto sia finto il decisionismo di Berlusconi.
Veltroni, d’altro canto, è meno generoso ma più utopico. L’idea di dare un compenso minimo legale ai precari intorno ai 1.000-1.100 euro, attraverso incentivi fiscali dello Stato alle imprese, pecca, come per Berlusconi, di mancanza di selettività. Le detrazioni fiscali da 2500 euro per ogni nuovo nato fino ai 12 anni di età, così come gli asili nido e gli interventi a favore delle donne che lavorano sono proprie di un welfare di tipo scandinavo, un modello che tanto piace – a ragione – ai riformisti di casa nostra, ma che per essere attuato presupporrebbe una rivoluzione nei capitoli di spesa del nostro stato sociale, oggi totalmente incentrati sulla previdenza. Ma di toccare quest’ultima, però, non è in programma. Anzi, nulla di autocritico si dice sulla sciagurata scelta del governo Prodi relativa allo scalone pensionistico. Timidezza anche sulla pubblica amministrazione (“proseguire sulla strada indicata da Nicolais”), nessuna indicazione sulla indispensabile riduzione della “catena democratica” e dunque nulla di critico sul federalismo e di autocritico su quel maledetto titoloV modificato dal centro-sinistra nel 2001. Anzi, la proposta di attuare il federalismo fiscale consacra l’idea che l’Italia si possa riprendere grazie allo spezzettamento dei poteri.
In generale, nessuno dei due contendenti si assume la responsabilità non tanto di chiamare il declino italiano con il suo nome, ma neppure lontanamente di evocarlo. Anzi, quelli presentati sembrano progetti per un Paese che perde le notti chiedendosi come spendere il proprio surplus di bilancio, come distribuirsi una torta che non c’è. Non una parola sulla condizione del capitalismo italiano, sul modello di sviluppo che ci si vuole dare, sulle scelte di politica industriale da fare. Silenzio anche sui conti pubblici, a parte le (strumentali) polemiche sul “tesoretto”. Insomma, forse farebbe bene ad ambedue gli schieramenti una bella iniezione di realtà. Ma si sa, questo è il tempo delle promesse, anche un po’ confusionarie. Il problema è sapere se quello del realismo verrà a urne chiuse, o non verrà mai.
Veltroni, d’altro canto, è meno generoso ma più utopico. L’idea di dare un compenso minimo legale ai precari intorno ai 1.000-1.100 euro, attraverso incentivi fiscali dello Stato alle imprese, pecca, come per Berlusconi, di mancanza di selettività. Le detrazioni fiscali da 2500 euro per ogni nuovo nato fino ai 12 anni di età, così come gli asili nido e gli interventi a favore delle donne che lavorano sono proprie di un welfare di tipo scandinavo, un modello che tanto piace – a ragione – ai riformisti di casa nostra, ma che per essere attuato presupporrebbe una rivoluzione nei capitoli di spesa del nostro stato sociale, oggi totalmente incentrati sulla previdenza. Ma di toccare quest’ultima, però, non è in programma. Anzi, nulla di autocritico si dice sulla sciagurata scelta del governo Prodi relativa allo scalone pensionistico. Timidezza anche sulla pubblica amministrazione (“proseguire sulla strada indicata da Nicolais”), nessuna indicazione sulla indispensabile riduzione della “catena democratica” e dunque nulla di critico sul federalismo e di autocritico su quel maledetto titoloV modificato dal centro-sinistra nel 2001. Anzi, la proposta di attuare il federalismo fiscale consacra l’idea che l’Italia si possa riprendere grazie allo spezzettamento dei poteri.
In generale, nessuno dei due contendenti si assume la responsabilità non tanto di chiamare il declino italiano con il suo nome, ma neppure lontanamente di evocarlo. Anzi, quelli presentati sembrano progetti per un Paese che perde le notti chiedendosi come spendere il proprio surplus di bilancio, come distribuirsi una torta che non c’è. Non una parola sulla condizione del capitalismo italiano, sul modello di sviluppo che ci si vuole dare, sulle scelte di politica industriale da fare. Silenzio anche sui conti pubblici, a parte le (strumentali) polemiche sul “tesoretto”. Insomma, forse farebbe bene ad ambedue gli schieramenti una bella iniezione di realtà. Ma si sa, questo è il tempo delle promesse, anche un po’ confusionarie. Il problema è sapere se quello del realismo verrà a urne chiuse, o non verrà mai.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.