Libera impresa in libero Stato?
La Costituzione spot
L’ultima illusione : basta modificare l’art.41 per essere più liberidi Elio Di Caprio - 08 giugno 2010
Ma allora questa benedetta Costituzione va riformata o no? Tutta insieme o solo in qualche articolo di cui ogni tanto si chiede la rimozione o, al contrario, l’applicazione come è già successo mesi fa all’articolo 46 sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende? Ora l’effetto annuncio tocca all’art.41 di cui all’improvviso ci si accorge che non protegge la libertà d’impresa come dovrebbe in un Paese dove la ricchezza viene creata da milioni di piccole imprese che aprono e chiudono e sono taglieggiate dall’onnipotente burocrazia.
Dicono che bisogna cominciare ad eliminare gli intoppi più vistosi e sarebbe troppo complicato mettere mano all’impianto complessivo della Costituzione, ma intanto ci hanno convinti di due mezze verità : che la Costituzione formale del ‘46 sta lì per gioco, per essere applicata se e quando si vuole, ma quella importante è la Costituzione materiale così come si è materialmente formata e modificata in tanti anni in base alle esigenze reali della vita collettiva. La seconda mezza verità è che esisterebbe una parte intoccabile della Costituzione, quella dei principii irrinunciabili e inderogabili, ed un’altra che regolando le funzioni dei vari corpi dello Stato potrebbe essere sempre modificata, come è avvenuto più volte, l’ultima con la modifica dell’art. V della Costituzione.
Ma l’art. 41, del titolo terzo della Costituzione, intralcia veramente la libertà d’impresa e nessuno se ne è accorto prima? Se si va a (ri) vedere l’articolo 41, dice che “l’iniziativa privata economica è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale ” e perciò presuppone una serie di controlli perché venga coordinata a fini sociali. E’ un articolo che fa parte semplicemente dello spirito dei tempi in cui fu elaborato ed accettato e non è neanche tanto distante da quanto veniva previsto dalla coeva Costituzione della Germania Ovest, prima della riunificazione, in cui all’art. 13 è detto esplicitamente che “la proprietà impone dei doveri, il suo uso deve anche servire il bene pubblico”.
Dopo tutto di dimentica che la nostra Costituzione è stata il trionfo del “ma anche” catto-comunista di quei tempi – non si può dire cattolico-socialista quando i socialisti allora erano al traino dei comunisti di osservanza staliniana - ha rappresentato nei fatti la cornice ideale del lungo compromesso storico del dopo guerra tra forze del lavoro e dell’impresa : la proprietà è libera, ma ha anche una funzione sociale.
Forse è per i tanti “ma anche” che la Costituzione ha retto con tutte le sue contraddizioni per più di 60 anni. Ma, al di là dei principii sempre validi, la carta costituzionale non ha potuto adeguarsi puntualmente alle enormi trasformazioni intervenute nella vita economica e politica degli italiani e ancora genera schizofreniche letture tra chi la vorrebbe conservare tale e quale e chi la vorrebbe a parole riformare, ma non tutta. Si è arrivati così al paradosso di volerla riformare per farci rientrare ad ogni costo un richiamo ai vincoli europei ed ora, è questo l’ultimo caso, per far posto al concetto prevalente di libero mercato al di là del burocratismo socialisteggiante che vuole controllare tutto minuziosamente.
E chi è il promotore di quest’ultima uscita fatta proprio nel pieno di una crisi economica che ci ha fatto entrare in “terra incognita” ( chissà per quanto tempo) come dice Giulio Tremonti? Proprio lo stesso Ministro dell’Economia che su un altro fronte si lancia contro il mercatismo senza regole e controlli che ha generato la paurosa crisi finanziaria che ancora attanaglia tutto il mondo. La presunzione ora è quella di mandare avanti un modello di libera impresa made in Italy valida per tutta l’Europa. Per questo dobbiamo riformare l’art.41?
Gli slogans si dimenticano facilmente, le famose tre I del primitivo programma di Silvio Berlusconi hanno fatto una misera fine dopo essere diventate le tre grandi Velleità irrealizzabili che aprono solo a parole le vie della modernità.
Ora tocca agli ostacoli alla libertà di impresa – e chi non li vorrebbe togliere?_ che da anni, se non da decenni sono la zavorra che l’Italia si porterebbe dietro arretrando sempre più nella classifica mondiale della competitività. Si riparla dello “sportello unico” che semplificherebbe finalmente la nascita di nuove imprese senza tanti impegni burocratici che sottraggono alle aziende tempo e danaro. Ma c’è una domanda facile facile da farsi : perché non è stato fatto nulla finora né dal centro destra e né dal centro sinistra per una riforma di buon senso e senza costi apparenti, che potrebbe solo migliorare l’efficienza del sistema Italia? Perchè la Costituzione ce lo impediva e ce lo impedisce? E perché in Germania la Costituzione tedesca pur con pincipii simili ai nostri sulla funzione sociale della proprietà privata ha reso possibile una libertà d’impresa migliore della nostra?
A meno che non si ammetta che da noi i controlli siano inutili e costosi, ma non si può elminarli per mantenere in vita una classe burocratica inefficiente e fannullona che vive di questo, controlla per non vedere o addirittura, come dimostrano i casi Balducci-Anemone venuti all’onore delle cronache, omette i controlli pur necessari per consentire ai potenti di turno di fare il loro comodo in combutta con la classe politica.
E’ proprio un cattivo momento per i burocrati-controllori, ovviamente in gran parte dipendenti dallo Stato e dagli enti locali, lontani dall’efficienza della libera impresa : sempre più alla gogna mediatica, ora persino fermi negli stipendi, fischiati all’ultima Assemblea di Confindustria come inutili e costosi ostacoli all’efficienza del libero mercato. Ma di questo passo, di demagogia in demagogia, non arriverà pure il momento per i tanti piccoli imprenditori che sono la maggioranza del tessuto industriale del Paese di fischiare altre burocrazie, compresa quella di Confindustria troppo elefantiaca e inefficiente? La colpa dei ritardi è di chi applica le leggi o di chi le fa o non le fa e promette da anni lo “sportello unico”? Non rimane che prendersela con l’art.41 della Costituzione...
Un altro spot per la propaganda, ieri in nome della sussidiarietà, oggi in nome della libera impresa. Sarebbe stato molto meglio metter mano e rivedere la Costituzione tutta intera per renderla finalmente condivisa, adeguata ai tempi che corrono e al futuro prevedibile. Invece dobbiamo rassegnarci ad una Costituzione continuamente rammendata o, nel migliore dei asi, soggetta a continui spot-annunci che non modificano nulla.
Dicono che bisogna cominciare ad eliminare gli intoppi più vistosi e sarebbe troppo complicato mettere mano all’impianto complessivo della Costituzione, ma intanto ci hanno convinti di due mezze verità : che la Costituzione formale del ‘46 sta lì per gioco, per essere applicata se e quando si vuole, ma quella importante è la Costituzione materiale così come si è materialmente formata e modificata in tanti anni in base alle esigenze reali della vita collettiva. La seconda mezza verità è che esisterebbe una parte intoccabile della Costituzione, quella dei principii irrinunciabili e inderogabili, ed un’altra che regolando le funzioni dei vari corpi dello Stato potrebbe essere sempre modificata, come è avvenuto più volte, l’ultima con la modifica dell’art. V della Costituzione.
Ma l’art. 41, del titolo terzo della Costituzione, intralcia veramente la libertà d’impresa e nessuno se ne è accorto prima? Se si va a (ri) vedere l’articolo 41, dice che “l’iniziativa privata economica è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale ” e perciò presuppone una serie di controlli perché venga coordinata a fini sociali. E’ un articolo che fa parte semplicemente dello spirito dei tempi in cui fu elaborato ed accettato e non è neanche tanto distante da quanto veniva previsto dalla coeva Costituzione della Germania Ovest, prima della riunificazione, in cui all’art. 13 è detto esplicitamente che “la proprietà impone dei doveri, il suo uso deve anche servire il bene pubblico”.
Dopo tutto di dimentica che la nostra Costituzione è stata il trionfo del “ma anche” catto-comunista di quei tempi – non si può dire cattolico-socialista quando i socialisti allora erano al traino dei comunisti di osservanza staliniana - ha rappresentato nei fatti la cornice ideale del lungo compromesso storico del dopo guerra tra forze del lavoro e dell’impresa : la proprietà è libera, ma ha anche una funzione sociale.
Forse è per i tanti “ma anche” che la Costituzione ha retto con tutte le sue contraddizioni per più di 60 anni. Ma, al di là dei principii sempre validi, la carta costituzionale non ha potuto adeguarsi puntualmente alle enormi trasformazioni intervenute nella vita economica e politica degli italiani e ancora genera schizofreniche letture tra chi la vorrebbe conservare tale e quale e chi la vorrebbe a parole riformare, ma non tutta. Si è arrivati così al paradosso di volerla riformare per farci rientrare ad ogni costo un richiamo ai vincoli europei ed ora, è questo l’ultimo caso, per far posto al concetto prevalente di libero mercato al di là del burocratismo socialisteggiante che vuole controllare tutto minuziosamente.
E chi è il promotore di quest’ultima uscita fatta proprio nel pieno di una crisi economica che ci ha fatto entrare in “terra incognita” ( chissà per quanto tempo) come dice Giulio Tremonti? Proprio lo stesso Ministro dell’Economia che su un altro fronte si lancia contro il mercatismo senza regole e controlli che ha generato la paurosa crisi finanziaria che ancora attanaglia tutto il mondo. La presunzione ora è quella di mandare avanti un modello di libera impresa made in Italy valida per tutta l’Europa. Per questo dobbiamo riformare l’art.41?
Gli slogans si dimenticano facilmente, le famose tre I del primitivo programma di Silvio Berlusconi hanno fatto una misera fine dopo essere diventate le tre grandi Velleità irrealizzabili che aprono solo a parole le vie della modernità.
Ora tocca agli ostacoli alla libertà di impresa – e chi non li vorrebbe togliere?_ che da anni, se non da decenni sono la zavorra che l’Italia si porterebbe dietro arretrando sempre più nella classifica mondiale della competitività. Si riparla dello “sportello unico” che semplificherebbe finalmente la nascita di nuove imprese senza tanti impegni burocratici che sottraggono alle aziende tempo e danaro. Ma c’è una domanda facile facile da farsi : perché non è stato fatto nulla finora né dal centro destra e né dal centro sinistra per una riforma di buon senso e senza costi apparenti, che potrebbe solo migliorare l’efficienza del sistema Italia? Perchè la Costituzione ce lo impediva e ce lo impedisce? E perché in Germania la Costituzione tedesca pur con pincipii simili ai nostri sulla funzione sociale della proprietà privata ha reso possibile una libertà d’impresa migliore della nostra?
A meno che non si ammetta che da noi i controlli siano inutili e costosi, ma non si può elminarli per mantenere in vita una classe burocratica inefficiente e fannullona che vive di questo, controlla per non vedere o addirittura, come dimostrano i casi Balducci-Anemone venuti all’onore delle cronache, omette i controlli pur necessari per consentire ai potenti di turno di fare il loro comodo in combutta con la classe politica.
E’ proprio un cattivo momento per i burocrati-controllori, ovviamente in gran parte dipendenti dallo Stato e dagli enti locali, lontani dall’efficienza della libera impresa : sempre più alla gogna mediatica, ora persino fermi negli stipendi, fischiati all’ultima Assemblea di Confindustria come inutili e costosi ostacoli all’efficienza del libero mercato. Ma di questo passo, di demagogia in demagogia, non arriverà pure il momento per i tanti piccoli imprenditori che sono la maggioranza del tessuto industriale del Paese di fischiare altre burocrazie, compresa quella di Confindustria troppo elefantiaca e inefficiente? La colpa dei ritardi è di chi applica le leggi o di chi le fa o non le fa e promette da anni lo “sportello unico”? Non rimane che prendersela con l’art.41 della Costituzione...
Un altro spot per la propaganda, ieri in nome della sussidiarietà, oggi in nome della libera impresa. Sarebbe stato molto meglio metter mano e rivedere la Costituzione tutta intera per renderla finalmente condivisa, adeguata ai tempi che corrono e al futuro prevedibile. Invece dobbiamo rassegnarci ad una Costituzione continuamente rammendata o, nel migliore dei asi, soggetta a continui spot-annunci che non modificano nulla.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.