Ripristiniamo il funzionamento dei sistemi creditizi
La bad bank? Un'opportunità
Adottiamo tutti i possibili strumenti consentiti dall’ordinamento per fare piena chiarezzadi Angelo De Mattia - 11 febbraio 2009
Non è ingegneria finanziaria. Ha, invece, molto a che vedere con i bilanci delle imprese e delle famiglie. Ieri, la Confindustria ha lanciato un grave allarme: il pil nel 2009 potrebbe calare di oltre il 2,5 per cento. Ma, se non si ripristina il migliore funzionamento dei sistemi creditizi – dove la crisi è scoppiata – non si risolvono neppure i problemi della produzione e del reddito, che hanno bisogno di specifici interventi: separare i titoli tossici dai bilanci delle banche è un’operazione necessaria; ripristina la fiducia, rimette in moto la liquidità, consente di sostenere l’economia reale. Come farlo? I titoli in questione vengono trasferiti in una nuova entità, la cosiddetta bad bank. Ma su chi ricadono i costi dell’operazione? Nel modello sperimentato a suo tempo in Italia – la bad bank del Banco di Napoli - la differenza tra il recupero dei crediti “cattivi” e il loro valore di bilancio fece carico ai conti dello Stato attraverso le agevolazioni accordate dalla Banca d’Italia, secondo una linea constantemente seguita per il risanamento delle banche in serie difficoltà (prima vigeva il c.d. D.M Sindona).
Negli Usa, il tema è stato lungamente discusso, per la difficoltà della valutazione dei titoli tossici e per l’imputazione dei connessi oneri (agli investitori, alla banca, allo Stato, in toto o pro quota?). Da ultimo, ci si orienterebbe verso una scelta diversa, la formazione, con capitali pubblici e privati, di una aggregator bank che dovrebbe investire da 500 a 1000 miliardi di dollari negli istituti in difficoltà. Non è chiaro il rapporto costi-benefici, innanzitutto relativamente alla posizione del contribuente. L’Europa è ancora più indietro.
Condivide la tesi che uno dei principali ostacoli al ritorno della piena fiducia nei sistemi bancari sta nei titoli “cattivi”, ancora presenti nei bilanci delle banche, ma dei quali non si conosce bene l’entità. Poi, però, oscilla nella prospettazione di soluzioni, tra la previsione di garanzie pubbliche per le banche e la costituzione di bad bank. Quanto a quest’ultima, non è chiaro se si tratta di prevederne una o una pluralità per Paese, ovvero una per ogni banca buona. Anche in Italia, dove il Ministro Tremonti sostiene, in generale, la necessità della costituzione di bad bank, non viene affatto precisato chi e come possa promuovere la o le banche cattive e con quali oneri e a carico di chi, con quali ritorni non solo generali, soprattutto con quale ruolo dello Stato. Se, sulla base dei dati dell’Organo di vigilanza, si dovesse ritenere che organismi del genere vadano realizzati anche nel nostro Paese, allora occorrerebbe valutare anche come queste operazioni si inquadrano nella più ampia previsione di aiuti pubblici alle banche (si pensi ai Tremonti bond, per i quali ancora si attende la normativa di attuazione).
Ma la bad bank non può essere l’araba fenice. E’ ora che ne vengano proposti i profili concreti, così da poter effettuare valutazioni comparate. Occorrono indirizzi chiari. Innanzitutto dell’Unione europea, in grave ritardo nel coordinamento degli interventi anticrisi, ma anche nell’elaborazione di proposte e nell’opera di orientamento. Rimedierà il vertice dei Capi di Stato e di Governo di fine mese? Nonostante l’assenza di una single voice europea, anche il G7 di questa fine di settimana potrebbe prendere una qualche decisione. Certo, è curioso aspettarsi un indirizzo globale quando è mancante quello europeo. Ma tant’è.
E l’occasione del vertice è assai propizia. Ma di una cosa c’è assoluto bisogno. Che di bad bank si parli finalmente in termini ragioneristici o, come direbbero i giuristi, iuxta probata et alligata. Non più slogan, non più petizioni di principio. Ma anche in questo caso “partita doppia” – come Tremonti ha suggerito nella più generale analisi della crisi – “dare e avere”. Se non si conosce l’ammontare dei titoli tossici, non resta che adottare tutti i possibili strumenti consentiti dall’ordinamento per fare piena chiarezza. Poi, dati alla mano, si potrà uscire da una deleteria indeterminatezza.
Negli Usa, il tema è stato lungamente discusso, per la difficoltà della valutazione dei titoli tossici e per l’imputazione dei connessi oneri (agli investitori, alla banca, allo Stato, in toto o pro quota?). Da ultimo, ci si orienterebbe verso una scelta diversa, la formazione, con capitali pubblici e privati, di una aggregator bank che dovrebbe investire da 500 a 1000 miliardi di dollari negli istituti in difficoltà. Non è chiaro il rapporto costi-benefici, innanzitutto relativamente alla posizione del contribuente. L’Europa è ancora più indietro.
Condivide la tesi che uno dei principali ostacoli al ritorno della piena fiducia nei sistemi bancari sta nei titoli “cattivi”, ancora presenti nei bilanci delle banche, ma dei quali non si conosce bene l’entità. Poi, però, oscilla nella prospettazione di soluzioni, tra la previsione di garanzie pubbliche per le banche e la costituzione di bad bank. Quanto a quest’ultima, non è chiaro se si tratta di prevederne una o una pluralità per Paese, ovvero una per ogni banca buona. Anche in Italia, dove il Ministro Tremonti sostiene, in generale, la necessità della costituzione di bad bank, non viene affatto precisato chi e come possa promuovere la o le banche cattive e con quali oneri e a carico di chi, con quali ritorni non solo generali, soprattutto con quale ruolo dello Stato. Se, sulla base dei dati dell’Organo di vigilanza, si dovesse ritenere che organismi del genere vadano realizzati anche nel nostro Paese, allora occorrerebbe valutare anche come queste operazioni si inquadrano nella più ampia previsione di aiuti pubblici alle banche (si pensi ai Tremonti bond, per i quali ancora si attende la normativa di attuazione).
Ma la bad bank non può essere l’araba fenice. E’ ora che ne vengano proposti i profili concreti, così da poter effettuare valutazioni comparate. Occorrono indirizzi chiari. Innanzitutto dell’Unione europea, in grave ritardo nel coordinamento degli interventi anticrisi, ma anche nell’elaborazione di proposte e nell’opera di orientamento. Rimedierà il vertice dei Capi di Stato e di Governo di fine mese? Nonostante l’assenza di una single voice europea, anche il G7 di questa fine di settimana potrebbe prendere una qualche decisione. Certo, è curioso aspettarsi un indirizzo globale quando è mancante quello europeo. Ma tant’è.
E l’occasione del vertice è assai propizia. Ma di una cosa c’è assoluto bisogno. Che di bad bank si parli finalmente in termini ragioneristici o, come direbbero i giuristi, iuxta probata et alligata. Non più slogan, non più petizioni di principio. Ma anche in questo caso “partita doppia” – come Tremonti ha suggerito nella più generale analisi della crisi – “dare e avere”. Se non si conosce l’ammontare dei titoli tossici, non resta che adottare tutti i possibili strumenti consentiti dall’ordinamento per fare piena chiarezza. Poi, dati alla mano, si potrà uscire da una deleteria indeterminatezza.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.