Chi è questo personaggio tanto importante
L’Italia del signor Rossi
Dalla Federcalcio a Telecom : cosa faremmo se non ci fosse lui?di Elio Di Caprio - 19 settembre 2006
Quando le cose vanno male bisogna mettersi nelle mani del signor Rossi. Ma chi è questo signor Rossi dalla potenza salvifica? Un ex senatore dei Ds ? Un consulente miliardario, come l"Ermolli di Silvio Berlusconi, che si sacrifica per il bene della Patria? Un battitore libero che trova sempre la ricetta giusta per tirare fuori dai guai prima la Ferruzzi-Montedison, poi la Federcalcio ed ora la Telecom?
Vien da pensare che il giurista ed ex presidente della Consob Guido Rossi, ora presidente di Telecom, è più bravo del dimissionario Tronchetti Provera, e ha qualche carta in più per far accettare all"establishment politico e finanziario (italiano e internazionale) una svolta aziendale resa necessaria dal fardello del debito gravante sulla società telefonica fin dai tempi della scalata di Colaninno.
Gli altri Paesi europei a capitalismo avanzato, dalla Gran Bretagna, alla Francia, alla Germania, alla Spagna, non hanno un sig.Rossi a cui ricorrere per rimettere ordine nelle loro società disastrate. Noi sì. Forse ci invidiano perchè solo noi possiamo contare su un “deus ex machina” che interviene sempre al momento giusto per dire pane al pane, invertire le rotte pericolose e rintuzzare gli statalisti sempre in agguato che, nostalgici dell"Iri, vorrebbero far tornare l"economia italiana all"età della pietra...
Ma stanno proprio così le cose, quando si scopre che Romano Prodi, colui che ebbe l"onere di privatizzare la Stet e creare la Telecom principalmente per far cassa - peraltro ricavandone risibili introiti, pari a 11,82 miliardi di euro - sembra ora intenzionato a ristatalizzare o ripubblicizzare ( che brutta parola!) almeno la rete telefonica, considerata strumento strategico nazionale?
Se non c"è più una merchant bank o un comitato d"affari a palazzo Chigi, pullulano pur sempre consiglieri e tecnocrati – e Guido Rossi è uno di questi – sempre all"erta, pronti ad assistere ed indirizzare i politici distratti, a valutare in profondità le implicazioni finanziarie ed economiche di lungo periodo di operazioni che i capitalisti nostrani (o quel che ne è rimasto) portano avanti per il loro tornaconto, con la segreta speranza di non essere intralciati da quegli incompetenti che siedono al governo o in parlamento...
Poi scoppia il caso Telecom e tutti giocano in difesa come se la politica non avesse avuto alcuna responsabilità nell"aver creato le premesse di quanto è accaduto, accade e ancora potrà accadere a Telecom, a partire dalla pasticciata privatizzazione del 1997. Dopo 10 anni di travagli e di giochini finanziari azzardati sulla pelle degli azionisti, si ritorna al punto di partenza con lo stesso personaggio, Guido Rossi, chiamato – questa volta non dal Governo, ma da Tronchetti Provera – a presiedere una Telecom quasi commissariata.
Al di là della ricorrente speculazione mediatica su chi oggi c"è dietro all"intramontabile Guido Rossi, se la cordata di D"Alema o quella di Prodi, o entrambe, resta il fatto oggettivo della crisi e delle scelte non più rinviabili della nostra superindebitata società telefonica.
A questo siamo giunti dopo i tanti passaggi di mano, dalla Stet di Pascale alla Telecom di Guido Rossi, di Rossignolo, di Bernabè, di Colaninno e soci, quindi di Tronchetti Provera, per finire (si fa per dire) a Guido Rossi.
Poteva succedere diversamente? E cosa si può fare ora?
Il volenteroso Ministro per lo Sviluppo, Bersani, annuncia e denuncia che il nostro capitalismo senza capitali (ma sarebbe meglio dire abituato più alle rendite che al rischio), uscito sconfitto dalle vicende Telecom, andrebbe finalmente riformato. Ma chi lo riforma? La politica con la forza che non ha? O si dovrebbe riformare da solo?
E poi sarebbero proprio i DS i più titolati a promuovere le nuove regole per trasformare il capitalismo italiano?
Da destra a sinistra si guarda con apprensione e sospetto, purtroppo giustificati, al destino delle nostre reti, da quella autostradale, a quella telefonica, a quelle energetiche, per il timore di un ulteriore depauperamento delle poche leve economiche rimaste nelle nostre mani, se mai esse dovessero cadere sotto controllo di società non italiane.
Si parla a proposito e a sproposito (ma l"Ue non lo consente) di utilizzare, per impedire tale esito, la “golden share”, l"azione d"oro che salvaguarda in ultima istanza la nazionalità delle nostre imprese. Ma contro chi? Anche contro società concorrenti di diritto europeo magari più efficienti e in grado di assicurare tariffe e costi minori per i consumatori italiani?
Nessuno ha messo in conto che non solo le reti ma le intere società a suo tempo privatizzate, da Telecom, ad Autostrade, ad Eni ad Enel, possono essere scalate da società estere, europee e non, in nome della libera circolazione dei capitali.
Ciò potrebbe succedere prima che il nostro capitalismo abbia il tempo di farsi riformare, come vorrebbe ora Bersani. A quel punto troveremo di nuovo sulla nostra strada un sig. Rossi che sbrogli la matassa, magari non prima di averci propinato l"ennesima lezioncina di politica industriale sulla necessità che lo Stato si tiri da parte e non interferisca con la vita delle imprese?
Vien da pensare che il giurista ed ex presidente della Consob Guido Rossi, ora presidente di Telecom, è più bravo del dimissionario Tronchetti Provera, e ha qualche carta in più per far accettare all"establishment politico e finanziario (italiano e internazionale) una svolta aziendale resa necessaria dal fardello del debito gravante sulla società telefonica fin dai tempi della scalata di Colaninno.
Gli altri Paesi europei a capitalismo avanzato, dalla Gran Bretagna, alla Francia, alla Germania, alla Spagna, non hanno un sig.Rossi a cui ricorrere per rimettere ordine nelle loro società disastrate. Noi sì. Forse ci invidiano perchè solo noi possiamo contare su un “deus ex machina” che interviene sempre al momento giusto per dire pane al pane, invertire le rotte pericolose e rintuzzare gli statalisti sempre in agguato che, nostalgici dell"Iri, vorrebbero far tornare l"economia italiana all"età della pietra...
Ma stanno proprio così le cose, quando si scopre che Romano Prodi, colui che ebbe l"onere di privatizzare la Stet e creare la Telecom principalmente per far cassa - peraltro ricavandone risibili introiti, pari a 11,82 miliardi di euro - sembra ora intenzionato a ristatalizzare o ripubblicizzare ( che brutta parola!) almeno la rete telefonica, considerata strumento strategico nazionale?
Se non c"è più una merchant bank o un comitato d"affari a palazzo Chigi, pullulano pur sempre consiglieri e tecnocrati – e Guido Rossi è uno di questi – sempre all"erta, pronti ad assistere ed indirizzare i politici distratti, a valutare in profondità le implicazioni finanziarie ed economiche di lungo periodo di operazioni che i capitalisti nostrani (o quel che ne è rimasto) portano avanti per il loro tornaconto, con la segreta speranza di non essere intralciati da quegli incompetenti che siedono al governo o in parlamento...
Poi scoppia il caso Telecom e tutti giocano in difesa come se la politica non avesse avuto alcuna responsabilità nell"aver creato le premesse di quanto è accaduto, accade e ancora potrà accadere a Telecom, a partire dalla pasticciata privatizzazione del 1997. Dopo 10 anni di travagli e di giochini finanziari azzardati sulla pelle degli azionisti, si ritorna al punto di partenza con lo stesso personaggio, Guido Rossi, chiamato – questa volta non dal Governo, ma da Tronchetti Provera – a presiedere una Telecom quasi commissariata.
Al di là della ricorrente speculazione mediatica su chi oggi c"è dietro all"intramontabile Guido Rossi, se la cordata di D"Alema o quella di Prodi, o entrambe, resta il fatto oggettivo della crisi e delle scelte non più rinviabili della nostra superindebitata società telefonica.
A questo siamo giunti dopo i tanti passaggi di mano, dalla Stet di Pascale alla Telecom di Guido Rossi, di Rossignolo, di Bernabè, di Colaninno e soci, quindi di Tronchetti Provera, per finire (si fa per dire) a Guido Rossi.
Poteva succedere diversamente? E cosa si può fare ora?
Il volenteroso Ministro per lo Sviluppo, Bersani, annuncia e denuncia che il nostro capitalismo senza capitali (ma sarebbe meglio dire abituato più alle rendite che al rischio), uscito sconfitto dalle vicende Telecom, andrebbe finalmente riformato. Ma chi lo riforma? La politica con la forza che non ha? O si dovrebbe riformare da solo?
E poi sarebbero proprio i DS i più titolati a promuovere le nuove regole per trasformare il capitalismo italiano?
Da destra a sinistra si guarda con apprensione e sospetto, purtroppo giustificati, al destino delle nostre reti, da quella autostradale, a quella telefonica, a quelle energetiche, per il timore di un ulteriore depauperamento delle poche leve economiche rimaste nelle nostre mani, se mai esse dovessero cadere sotto controllo di società non italiane.
Si parla a proposito e a sproposito (ma l"Ue non lo consente) di utilizzare, per impedire tale esito, la “golden share”, l"azione d"oro che salvaguarda in ultima istanza la nazionalità delle nostre imprese. Ma contro chi? Anche contro società concorrenti di diritto europeo magari più efficienti e in grado di assicurare tariffe e costi minori per i consumatori italiani?
Nessuno ha messo in conto che non solo le reti ma le intere società a suo tempo privatizzate, da Telecom, ad Autostrade, ad Eni ad Enel, possono essere scalate da società estere, europee e non, in nome della libera circolazione dei capitali.
Ciò potrebbe succedere prima che il nostro capitalismo abbia il tempo di farsi riformare, come vorrebbe ora Bersani. A quel punto troveremo di nuovo sulla nostra strada un sig. Rossi che sbrogli la matassa, magari non prima di averci propinato l"ennesima lezioncina di politica industriale sulla necessità che lo Stato si tiri da parte e non interferisca con la vita delle imprese?
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.