Il 17 giugno le elezioni presidenziali in Iran
L’intifada contro gli Ayatollah
Le prime proteste sono seguite alla pubblicazione di un programma segreto di riconversione etnica della città araba di Ahwazdi Nicola Dell'Arciprete - 14 giugno 2005
E’ scoppiata l’intifada contro gli Ayatollah a pochi giorni dalle elezioni presidenziali iraniane. Domenica scorsa una serie di esplosioni a Teheran e nella città a maggioranza araba di Ahwaz ha fatto 9 morti e circa 90 feriti. Si tratta dell’ultima puntata di un'autentica guerra di civiltà che oppone all’interno della repubblica islamica iraniana l’etnìa maggioritaria persiana alla minoranza araba concentrata nella regione di confine con Iraq e Kuwait.
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Fin dai tempi degli Sha la minoranza araba di Ahwaz, che conta tra i 4 ed i 6 milioni di abitanti secondo le stime dell’Organizzazione dei Popoli non Riconosciuti (UNPO), perse la propria indipendenza. Ma con la rivoluzione islamica, il regime degli Ayatollah ha intensificato la “persianizzazione” forzata di una regione strategica per i suoi ricchi giacimenti petroliferi e per il controllo della frontiera con l’Iraq, soprattutto nel difficile periodo della guerra contro Saddam Hussein degli anni ‘80.
Le ostilità nella regione sono riprese lo scorso 15 aprile quando le forze di sicurezza di Teheran hanno represso nel sangue una serie di manifestazioni, scatenate dalla pubblicazione di un piano segreto del governo per “ristrutturare etnicamente” la regione a maggioranza araba. Agli oltre 300 morti lasciati sul terreno dalla repressione della prima intifada di Ahwaz ha fatto seguito la chiusura della sede locale dell’emittente Al Jazeera accusata da Teheran di incitare alla violenza gli arabi iraniani.
Nonostante la chiusura della regione agli osservatori internazionali ed ai media arabi, la stampa kuwaitiana ha reso noto che centinaia di detenuti arabi arrestati nei giorni successivi alla rivolta di Ahwaz sono in sciopero della fame dallo scorso 23 maggio. Tra di essi il simbolo dell’orgoglio arabo in Iran, lo scrittore Yossef Azizi-Banitorouf, arrestato a Teheran al termine di una conferenza stampa, sotto gli occhi del premio Nobel Shirin Ebadi.
Sul banco degli imputati per gli attentati di domenica scorsa il regime di Teheran ha messo “gruppi terroristici infiltrati dall’Iraq” che vorrebbero “impedire il normale svolgimento del voto'' per le presidenziali di venerdì prossimo. Ma i leader dell’opposizione araba in esilio hanno costantemente negato sin dai disordini dello scorso aprile qualunque possibilità di dirigere dall’estero attività di guerriglia in un Paese sotto rigido controllo come l’Iran.
Dopo la ripresa dell’intifada ad Ahwaz, che sia “riformista” come Khatami o conservatore come Rafsanjani, il prossimo presidente iraniano avrà sempre meno sponde a disposizione nel mondo arabo.
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Fin dai tempi degli Sha la minoranza araba di Ahwaz, che conta tra i 4 ed i 6 milioni di abitanti secondo le stime dell’Organizzazione dei Popoli non Riconosciuti (UNPO), perse la propria indipendenza. Ma con la rivoluzione islamica, il regime degli Ayatollah ha intensificato la “persianizzazione” forzata di una regione strategica per i suoi ricchi giacimenti petroliferi e per il controllo della frontiera con l’Iraq, soprattutto nel difficile periodo della guerra contro Saddam Hussein degli anni ‘80.
Le ostilità nella regione sono riprese lo scorso 15 aprile quando le forze di sicurezza di Teheran hanno represso nel sangue una serie di manifestazioni, scatenate dalla pubblicazione di un piano segreto del governo per “ristrutturare etnicamente” la regione a maggioranza araba. Agli oltre 300 morti lasciati sul terreno dalla repressione della prima intifada di Ahwaz ha fatto seguito la chiusura della sede locale dell’emittente Al Jazeera accusata da Teheran di incitare alla violenza gli arabi iraniani.
Nonostante la chiusura della regione agli osservatori internazionali ed ai media arabi, la stampa kuwaitiana ha reso noto che centinaia di detenuti arabi arrestati nei giorni successivi alla rivolta di Ahwaz sono in sciopero della fame dallo scorso 23 maggio. Tra di essi il simbolo dell’orgoglio arabo in Iran, lo scrittore Yossef Azizi-Banitorouf, arrestato a Teheran al termine di una conferenza stampa, sotto gli occhi del premio Nobel Shirin Ebadi.
Sul banco degli imputati per gli attentati di domenica scorsa il regime di Teheran ha messo “gruppi terroristici infiltrati dall’Iraq” che vorrebbero “impedire il normale svolgimento del voto'' per le presidenziali di venerdì prossimo. Ma i leader dell’opposizione araba in esilio hanno costantemente negato sin dai disordini dello scorso aprile qualunque possibilità di dirigere dall’estero attività di guerriglia in un Paese sotto rigido controllo come l’Iran.
Dopo la ripresa dell’intifada ad Ahwaz, che sia “riformista” come Khatami o conservatore come Rafsanjani, il prossimo presidente iraniano avrà sempre meno sponde a disposizione nel mondo arabo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.