Un contributo nel dibattito sui socialisti
L’ intervento di Fabio Fabbri
Governo deludente. Urge la creazione di un Forum progettuale delle forze liberalsocialistedi Fabio Fabbri - 18 dicembre 2006
Merita l’encomio solenne il direttore Paolo Franchi, per aver svegliato i socialisti dal loro sonno dogmatico. La discussione, tuttora aperta, è stata utile e ricca di novità, ma ancora incompleta.
Se è vero, infatti, che è tempo di passare dalla disputa sui contenitori all’approfondimento dei contenuti, è altrettanto vero che il dibattito è stato infecondo proprio sotto questo secondo profilo. Si continua a non vedere che l’azione di governo è deludente non solo per il palese deficit di guida politica, ma anche perché l’impianto programmatico è ad un tempo nebuloso e povero di idee-forza nel campo delle riforme. Ecco allora la mia proposta.
Questo giornale consoliderà il suo ruolo di costruttore di pensiero politico, se si farà promotore, insieme alle “riviste d’area” (Le ragioni del socialismo, Mondoperaio, Il Ponte, Terza Repubblica ed altre) di uno o più convegni progettuali, capaci di immettere nella politica italiana la linfa della rinnovata sintesi fra liberalismo e socialismo. Si tratta soltanto di rinverdire una nobile tradizione, sulla scia di quanto hanno saputo fare in passato Il Mondo, Nord e Sud, il Ponte, sul versante liberal, in concorrenza con Rinascita, il Contemporaneo e Cronache Meridionali, sul versante comunista.
Diciamoci la verità. Nel grigiore della seconda Repubblica i socialisti e i radicali hanno idee chiare sulle le questioni “eticamente sensibili”; ma su scuola, università, formazione professionale non si può dire che l’elaborazione abbia raggiunto i caratteri di un programma chiaro e condiviso. Quanto al settore economico-finanziario, l’afasia dei riformisti sull’esigenza di dare corpo a nuove politiche di dirigismo liberale, quello caro ad Ernesto Rossi, che pure ha fama di liberista, è sconfortante. Proprio mentre imperversa il dogma del mercato, è per contro necessario ripensare la pianificazione liberale, che oggi deve essere realizzata su scala regionale, nazionale, europea e mondiale, se si vuole superare il dislivello abissale di potere fra la politica, parcellizzata in una molteplicità di centri decisionali, e la potenza straripante dell’economia globalizzata. Ciampi e Napolitano sembrano profeti solitari, quando si fanno patrocinatori della missione che spetta all’Europa: di fronte alla sfida del terrorismo e ai guasti planetari della “dottrina Bush”.
Tornando al Bel Paese, è tempo di affrontare, dopo tanto favellare a vuoto sul federalismo, la crisi delle Regioni. Si moltiplicano ogni giorno notizie allarmanti sugli sperperi di gestione e sulla mediocrità della produzione legislativa. Si naviga burocraticamente e a vista, sordi alle sollecitazioni di chi, come Paolo Sylos Labini, ha indicato nella crescita dimensionale e tecnologica delle piccole industrie il motore dello sviluppo e la precondizione per ridurre il divario tra Nord e Sud. C’è infine da attrezzare il cantiere della riforma elettorale e costituzionale, raccogliendo i frutti del lavoro di Enrico Cisnetto e della sua “Società Aperta”; e prendendo atto della bancarotta del bipolarismo.
Messo nella bottiglia questo messaggio sull’urgenza del Forum progettuale delle forze liberalsocialiste, aggiungo la mia debole voce sui temi finora discussi.
Lo spazio laico-socialistà, come hanno messo in evidenza, fra gli altri, Lanfranco Turci, Andrea Parini e Mauro Del Bue, c’è, esiste e va oltre il milione di voti raccolti dalla Rosa nel Pugno: a dispetto della deprimente disputa fra SDI e Radicali e malgrado il pessimismo di Biagio De Giovanni, che giustamente lamenta la refrattarietà storica della società italiana al liberalismo. E’ lo spazio che occupava il P.S.I., anche quando Craxi ebbe il coraggio di compiere la svolta lib-lab. Dare consistenza politico-organizzativa al polo liberalsocialista è essenziale per superare la paralisi del sistema politico italiano. Ha ragione Paolo Pombeni, quando osserva su Reset che l’Ulivo non è e non sarà in grado di espandersi né sul fianco sinistro, né su quello destro. Craxi assegnò al PSI del nuovo corso l’obiettivo primario di battere il bipolarismo DC-PCI. Tocca ai laici, ai liberali e ai socialisti di oggi il compito di contrastare il nuovo bipolarismo integrato fra DS e Margherita, racchiusi nel vicolo cieco del fantomatico partito democratico: un cul de sac da cui non si esce, come incredibilmente propone Valdo Spini, con la resurrezione del cadavere della Federazione dell’Ulivo. Ecco perché non si spiega la scarsa attenzione che i socialisti riservano a quella parte dei DS che rifiuta il PD in nome della fedeltà al PSE. E sarebbe, parimenti, un’altro errore sottovalutare l’annuncio fatto da De Michelis su queste colonne della fuoruscita del “nuovo PSI” (e forse anche del PRI di Giorgio La Malfa) dall’alveo berlusconiano. Sarebbe bene accompagnare questa novità con la simmetrica fuoruscita dello SDI dalla gravitazione opaca nell’orbita prodiana: anche passando al solo appoggio esterno al traballante governo in carica; o almeno assumendo l’approccio critico e propositivo che finora è mancato. E dedicando ogni energia alla raccolta degli spiriti liberi che non sopportano l’egemonia di quel che resta della classe dirigente del PCI e della sinistra DC.
Se è vero, infatti, che è tempo di passare dalla disputa sui contenitori all’approfondimento dei contenuti, è altrettanto vero che il dibattito è stato infecondo proprio sotto questo secondo profilo. Si continua a non vedere che l’azione di governo è deludente non solo per il palese deficit di guida politica, ma anche perché l’impianto programmatico è ad un tempo nebuloso e povero di idee-forza nel campo delle riforme. Ecco allora la mia proposta.
Questo giornale consoliderà il suo ruolo di costruttore di pensiero politico, se si farà promotore, insieme alle “riviste d’area” (Le ragioni del socialismo, Mondoperaio, Il Ponte, Terza Repubblica ed altre) di uno o più convegni progettuali, capaci di immettere nella politica italiana la linfa della rinnovata sintesi fra liberalismo e socialismo. Si tratta soltanto di rinverdire una nobile tradizione, sulla scia di quanto hanno saputo fare in passato Il Mondo, Nord e Sud, il Ponte, sul versante liberal, in concorrenza con Rinascita, il Contemporaneo e Cronache Meridionali, sul versante comunista.
Diciamoci la verità. Nel grigiore della seconda Repubblica i socialisti e i radicali hanno idee chiare sulle le questioni “eticamente sensibili”; ma su scuola, università, formazione professionale non si può dire che l’elaborazione abbia raggiunto i caratteri di un programma chiaro e condiviso. Quanto al settore economico-finanziario, l’afasia dei riformisti sull’esigenza di dare corpo a nuove politiche di dirigismo liberale, quello caro ad Ernesto Rossi, che pure ha fama di liberista, è sconfortante. Proprio mentre imperversa il dogma del mercato, è per contro necessario ripensare la pianificazione liberale, che oggi deve essere realizzata su scala regionale, nazionale, europea e mondiale, se si vuole superare il dislivello abissale di potere fra la politica, parcellizzata in una molteplicità di centri decisionali, e la potenza straripante dell’economia globalizzata. Ciampi e Napolitano sembrano profeti solitari, quando si fanno patrocinatori della missione che spetta all’Europa: di fronte alla sfida del terrorismo e ai guasti planetari della “dottrina Bush”.
Tornando al Bel Paese, è tempo di affrontare, dopo tanto favellare a vuoto sul federalismo, la crisi delle Regioni. Si moltiplicano ogni giorno notizie allarmanti sugli sperperi di gestione e sulla mediocrità della produzione legislativa. Si naviga burocraticamente e a vista, sordi alle sollecitazioni di chi, come Paolo Sylos Labini, ha indicato nella crescita dimensionale e tecnologica delle piccole industrie il motore dello sviluppo e la precondizione per ridurre il divario tra Nord e Sud. C’è infine da attrezzare il cantiere della riforma elettorale e costituzionale, raccogliendo i frutti del lavoro di Enrico Cisnetto e della sua “Società Aperta”; e prendendo atto della bancarotta del bipolarismo.
Messo nella bottiglia questo messaggio sull’urgenza del Forum progettuale delle forze liberalsocialiste, aggiungo la mia debole voce sui temi finora discussi.
Lo spazio laico-socialistà, come hanno messo in evidenza, fra gli altri, Lanfranco Turci, Andrea Parini e Mauro Del Bue, c’è, esiste e va oltre il milione di voti raccolti dalla Rosa nel Pugno: a dispetto della deprimente disputa fra SDI e Radicali e malgrado il pessimismo di Biagio De Giovanni, che giustamente lamenta la refrattarietà storica della società italiana al liberalismo. E’ lo spazio che occupava il P.S.I., anche quando Craxi ebbe il coraggio di compiere la svolta lib-lab. Dare consistenza politico-organizzativa al polo liberalsocialista è essenziale per superare la paralisi del sistema politico italiano. Ha ragione Paolo Pombeni, quando osserva su Reset che l’Ulivo non è e non sarà in grado di espandersi né sul fianco sinistro, né su quello destro. Craxi assegnò al PSI del nuovo corso l’obiettivo primario di battere il bipolarismo DC-PCI. Tocca ai laici, ai liberali e ai socialisti di oggi il compito di contrastare il nuovo bipolarismo integrato fra DS e Margherita, racchiusi nel vicolo cieco del fantomatico partito democratico: un cul de sac da cui non si esce, come incredibilmente propone Valdo Spini, con la resurrezione del cadavere della Federazione dell’Ulivo. Ecco perché non si spiega la scarsa attenzione che i socialisti riservano a quella parte dei DS che rifiuta il PD in nome della fedeltà al PSE. E sarebbe, parimenti, un’altro errore sottovalutare l’annuncio fatto da De Michelis su queste colonne della fuoruscita del “nuovo PSI” (e forse anche del PRI di Giorgio La Malfa) dall’alveo berlusconiano. Sarebbe bene accompagnare questa novità con la simmetrica fuoruscita dello SDI dalla gravitazione opaca nell’orbita prodiana: anche passando al solo appoggio esterno al traballante governo in carica; o almeno assumendo l’approccio critico e propositivo che finora è mancato. E dedicando ogni energia alla raccolta degli spiriti liberi che non sopportano l’egemonia di quel che resta della classe dirigente del PCI e della sinistra DC.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.