Crisi e dopo-crisi
L’illusione ottica degli aumenti salariali
Un ritardo strutturale che ha radici antiche e colpisce produttività e competitività del sistema Paesedi Davide Giacalone - 16 settembre 2009
Il 2009 sarà ricordato come l’anno in cui gli economisti persero l’aurea degli scienziati e dovettero rimettere i piedi per terra. Sono giorni che si rincorrono le proiezioni sul decremento del prodotto interno lordo, cioè della ricchezza creata nel corso di quest’anno: i più ottimisti immaginano un crollo. Il paradosso è che, secondo i dati Istat, nel mentre il pil precipita le retribuzioni di fatto sono cresciute (di un buon 1% nel secondo trimestre 2009, rispetto allo stesso trimestre 2008, e di un sostanzioso 4,6% su base annua). Come è possibile, e cosa accadrà?
La “retribuzione di fatto” è un concetto che comprende i salari e gli stipendi, più ogni altro beneficio, in soldi e natura, a qualsiasi titolo incassato dai lavoratori. Si potrebbe dire: i soldi effettivamente presi, al netto di ritenute fiscali e previdenziali. Se si facesse il conto dell’incremento del potere d’acquisto reale, vale a dire di quel che con quei soldi s’è potuto comprare, si scoprirebbe un ancor più significativo passo in avanti. Da qui la prima conclusione: mentre andava in onda lo spettacolo della crisi, i lavoratori italiani, in media, miglioravano la loro posizione. Chi ha perso il posto di lavoro sta assai peggio, specie se giovane e senza contratto stabile, ma chi lo ha conservato, la grande maggioranza, sta meglio. Non così l’azienda Italia. La nostra crisi ha radici antiche, non coincidenti con quelle dell’esplosione finanziaria che ha travolto gli Stati Uniti. Sono quindici o venti anni che perdiamo competitività, sviluppandoci meno dei nostri diretti concorrenti. Per giunta, l’aumento delle retribuzioni di fatto, nel mentre il pil scende, si traduce in un ulteriore colpo alla produttività di ciascuna ora lavorata. Il beneficio dei singoli, insomma, è in gran parte un’illusione ottica, dovuta al ritardo con cui la dinamica salariale registra l’andamento del mercato. E’ un frutto della rigidità e dell’arretratezza, non della dinamicità e della modernità. Se la ripresa, il cielo non voglia (ma il resto lascia supporre), si accompagnerà all’inflazione, allora il vantaggio di questi mesi si dimostrerà effimero e volatile. Da qui la seconda conclusione: c’è il rischio che gli effetti negativi del nostro ritardo si manifestino nel mentre si proietta il film della ripresa. A quel punto i cittadini non ci capiranno più nulla ed avranno l’impressione d’essere guidati da ubriachi. Al governo od in cattedra.
La politica serve a spiegare quel che capita e creare consenso attorno a quel che si deve fare, nel nostro caso mettere mano alle debolezze strutturali (giustizia, scuola, pensioni, mercato del lavoro, fisco, …). Il contrapporsi di ottimisti e pessimisti, invece, rischia d’iscrivere tutti al club degli inutili.
La “retribuzione di fatto” è un concetto che comprende i salari e gli stipendi, più ogni altro beneficio, in soldi e natura, a qualsiasi titolo incassato dai lavoratori. Si potrebbe dire: i soldi effettivamente presi, al netto di ritenute fiscali e previdenziali. Se si facesse il conto dell’incremento del potere d’acquisto reale, vale a dire di quel che con quei soldi s’è potuto comprare, si scoprirebbe un ancor più significativo passo in avanti. Da qui la prima conclusione: mentre andava in onda lo spettacolo della crisi, i lavoratori italiani, in media, miglioravano la loro posizione. Chi ha perso il posto di lavoro sta assai peggio, specie se giovane e senza contratto stabile, ma chi lo ha conservato, la grande maggioranza, sta meglio. Non così l’azienda Italia. La nostra crisi ha radici antiche, non coincidenti con quelle dell’esplosione finanziaria che ha travolto gli Stati Uniti. Sono quindici o venti anni che perdiamo competitività, sviluppandoci meno dei nostri diretti concorrenti. Per giunta, l’aumento delle retribuzioni di fatto, nel mentre il pil scende, si traduce in un ulteriore colpo alla produttività di ciascuna ora lavorata. Il beneficio dei singoli, insomma, è in gran parte un’illusione ottica, dovuta al ritardo con cui la dinamica salariale registra l’andamento del mercato. E’ un frutto della rigidità e dell’arretratezza, non della dinamicità e della modernità. Se la ripresa, il cielo non voglia (ma il resto lascia supporre), si accompagnerà all’inflazione, allora il vantaggio di questi mesi si dimostrerà effimero e volatile. Da qui la seconda conclusione: c’è il rischio che gli effetti negativi del nostro ritardo si manifestino nel mentre si proietta il film della ripresa. A quel punto i cittadini non ci capiranno più nulla ed avranno l’impressione d’essere guidati da ubriachi. Al governo od in cattedra.
La politica serve a spiegare quel che capita e creare consenso attorno a quel che si deve fare, nel nostro caso mettere mano alle debolezze strutturali (giustizia, scuola, pensioni, mercato del lavoro, fisco, …). Il contrapporsi di ottimisti e pessimisti, invece, rischia d’iscrivere tutti al club degli inutili.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.