Nel merito, al di là delle questioni giudiziarie
L’errore di Fazio
Il Governatore ha scambiato l’indipendenza di Bankitalia per la sua insindacabilità. Sbagliandodi Davide Giacalone - 01 agosto 2005
Per prima cosa si sgomberi il campo dalla robaccia giudiziaria. La definisco così non perché i pubblici ministeri non abbiano il diritto, ed il dovere, d’indagare, ma perché le intercettazioni telefoniche, così come ogni altro indizio raccolto nel corso d’indagini preliminari, non dovrebbero mai, mai, finire sui giornali. Non me ne occupo, quindi.
Il guaio è che Antonio Fazio continua a parlare con l’aria di chi non intende parlare, a replicare con l’atteggiamento di chi lascia correre con superiorità, e sostiene due cose: d’essere sereno e tranquillo, deciso a non fare un passo indietro, e di non riconoscere alcun suo errore sulle cose che contano. Ha frainteso, insomma, interpretando il mandato a vita (che era garanzia d’indipendenza) come scudo d’insindacabilità. Sbaglia.
La Banca d’Italia si mostrò inerte ed incapace quando alcune banche italiane rifilarono ai propri clienti titoli che non potevano essere loro venduti. Vi fu, al tempo stesso, una violazione delle regole ed un grave danno per i risparmiatori, ma la Banca d’Italia sostenne che andava bene così e che la vigilanza aveva funzionato. Quando Fazio lo disse scrissi subito che era gravemente in errore. Lui ripete di non aver cambiato idea, di riconoscere ancora la correttezza ed opportunità di quelle parole. A me continuano a sembrare un errore, grave.
Fazio si è poi messo a difendere l’italianità delle banche. Una difesa che non condivido, ma che ha pur sempre un senso, se accompagnata dalla creazione di un ambiente realmente competitivo, che porti vantaggi ai clienti ed al mercato. Ma ha commesso un nuovo errore, credendo che ogni strumento fosse utilizzabile allo scopo di conseguire quel risultato. Insomma, l’era dei patti di sindacato e dei salotti buoni, affollati da gente che prospera grazie ai soldi pubblici, è tramontata ed è bene che non risorga, ma l’idea che quel mondo possa essere sostituito da banche che concedono soldi ai propri azionisti, rendendoli strumenti nelle mani del leader demiurgo, conduttore di operazioni al di là dei propri mezzi, artefice di avventure con enormi margini d’incertezza, è un’idea da rigettare e combattere.
Tutto questo è accaduto sotto gli occhi di Fazio, e grazie anche al suo silenzio ed alla sua benevolenza. E’ escluso che questo non pesi sulla sua persona e, alla lunga, sull’istituzione che egli oggi rappresenta. Che, poi, in queste condizioni, taluni suoi familiari abbiano tratto o cercato di trarre personale utile è cosa irrilevante. E’ irrilevante perché quel che conta non è ciò su cui taluni indagano, ma quel che è visibile a tutti. Ed ancora una volta l’Italia è lì, ferma impalata ed incapace di fare i conti con la realtà, autocondannandosi a leggere la propria storia nella malaletteratura giudiziaria.
Il guaio è che Antonio Fazio continua a parlare con l’aria di chi non intende parlare, a replicare con l’atteggiamento di chi lascia correre con superiorità, e sostiene due cose: d’essere sereno e tranquillo, deciso a non fare un passo indietro, e di non riconoscere alcun suo errore sulle cose che contano. Ha frainteso, insomma, interpretando il mandato a vita (che era garanzia d’indipendenza) come scudo d’insindacabilità. Sbaglia.
La Banca d’Italia si mostrò inerte ed incapace quando alcune banche italiane rifilarono ai propri clienti titoli che non potevano essere loro venduti. Vi fu, al tempo stesso, una violazione delle regole ed un grave danno per i risparmiatori, ma la Banca d’Italia sostenne che andava bene così e che la vigilanza aveva funzionato. Quando Fazio lo disse scrissi subito che era gravemente in errore. Lui ripete di non aver cambiato idea, di riconoscere ancora la correttezza ed opportunità di quelle parole. A me continuano a sembrare un errore, grave.
Fazio si è poi messo a difendere l’italianità delle banche. Una difesa che non condivido, ma che ha pur sempre un senso, se accompagnata dalla creazione di un ambiente realmente competitivo, che porti vantaggi ai clienti ed al mercato. Ma ha commesso un nuovo errore, credendo che ogni strumento fosse utilizzabile allo scopo di conseguire quel risultato. Insomma, l’era dei patti di sindacato e dei salotti buoni, affollati da gente che prospera grazie ai soldi pubblici, è tramontata ed è bene che non risorga, ma l’idea che quel mondo possa essere sostituito da banche che concedono soldi ai propri azionisti, rendendoli strumenti nelle mani del leader demiurgo, conduttore di operazioni al di là dei propri mezzi, artefice di avventure con enormi margini d’incertezza, è un’idea da rigettare e combattere.
Tutto questo è accaduto sotto gli occhi di Fazio, e grazie anche al suo silenzio ed alla sua benevolenza. E’ escluso che questo non pesi sulla sua persona e, alla lunga, sull’istituzione che egli oggi rappresenta. Che, poi, in queste condizioni, taluni suoi familiari abbiano tratto o cercato di trarre personale utile è cosa irrilevante. E’ irrilevante perché quel che conta non è ciò su cui taluni indagano, ma quel che è visibile a tutti. Ed ancora una volta l’Italia è lì, ferma impalata ed incapace di fare i conti con la realtà, autocondannandosi a leggere la propria storia nella malaletteratura giudiziaria.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.