Riforme istituzionale
Inutile piangere sul federalismo versato
Inversione di rotta dell'opinione generale sul decentramento. Ci sono voluti 20 anni e innumerevoli prove. E adesso?di Enrico Cisnetto - 13 settembre 2013
Meglio tardi che mai. Finalmente, la classe dirigente italiana si è resa conto che il federalismo, o quantomeno quello fin qui realizzato, non è cosa buona. Così, almeno, riferiscono le cronache da Cernobbio, dove imprenditori e manager hanno mostrato evidenti segni di irritazione nei confronti dei costi, delle inefficienze e delle complicazioni burocratiche che il decentramento amministrativo ha fin qui prodotto per le imprese e si sono espressi a favore di un ritiro di tutte le deleghe oggi ad appannaggio delle Regioni, sanità in primis. Peccato, però, che nel frattempo siano passati ben vent’anni e che fino a poco tempo fa quegli stessi interlocutori si spellassero le mani per applaudire il verbo federalista.
Il Paese intero, salvo poche eccezioni, si è fatto abbindolare dall’idea che il centralismo fosse il problema nazionale numero uno e che si fosse spezzettato il potere decisionale e lo si fosse portato verso il basso, l’Italia federata avrebbe magicamente risolto i suoi atavici ritardi, a cominciare da quello del Mezzogiorno. E non solo non è bastato constatare che il mondo globale andava in tutt’altra direzione – grandi dimensioni, accentramento delle decisioni per favorirne rapidità ed efficacia – per capire che era meglio lasciar perdere certe parole d’ordine, ma neppure la reiterata constatazione che da noi il “federalismo realizzato” aveva comportato un aggravio enorme dei costi, distribuito diritti di veto sul territorio, fatto esplodere il contenzioso tra Stato centrale ed enti locali, è servita ad aprire gli occhi di chi ha voluto credere che la risposta federalista fosse quella giusta.
Ora, a quanto sembra, gli occhi si sono dischiusi. Bene, ma è un po’ piangere sul latte versato. Gli imprenditori, e la classe dirigente nel suo insieme, hanno commesso un peccato mortale nel correre dietro all’idea che il federalismo voluto dalla Lega e realizzato sia da Berlusconi che dal centro-sinistra (vedi titolo V) per ingraziarsi il partito dei voti del Nord (e quindi di molti di quelli che oggi piangono sul latte dopo averlo versato), volesse dire più efficienza e meno tasse. Ora, almeno, il rimedio sia pari all’entità dell’errore commesso.
Il Paese intero, salvo poche eccezioni, si è fatto abbindolare dall’idea che il centralismo fosse il problema nazionale numero uno e che si fosse spezzettato il potere decisionale e lo si fosse portato verso il basso, l’Italia federata avrebbe magicamente risolto i suoi atavici ritardi, a cominciare da quello del Mezzogiorno. E non solo non è bastato constatare che il mondo globale andava in tutt’altra direzione – grandi dimensioni, accentramento delle decisioni per favorirne rapidità ed efficacia – per capire che era meglio lasciar perdere certe parole d’ordine, ma neppure la reiterata constatazione che da noi il “federalismo realizzato” aveva comportato un aggravio enorme dei costi, distribuito diritti di veto sul territorio, fatto esplodere il contenzioso tra Stato centrale ed enti locali, è servita ad aprire gli occhi di chi ha voluto credere che la risposta federalista fosse quella giusta.
Ora, a quanto sembra, gli occhi si sono dischiusi. Bene, ma è un po’ piangere sul latte versato. Gli imprenditori, e la classe dirigente nel suo insieme, hanno commesso un peccato mortale nel correre dietro all’idea che il federalismo voluto dalla Lega e realizzato sia da Berlusconi che dal centro-sinistra (vedi titolo V) per ingraziarsi il partito dei voti del Nord (e quindi di molti di quelli che oggi piangono sul latte dopo averlo versato), volesse dire più efficienza e meno tasse. Ora, almeno, il rimedio sia pari all’entità dell’errore commesso.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.