Le prospettive del governo
Intese larghe & lunghe
Senza un disegno coerente le riforme non servonodi Enrico Cisnetto - 11 giugno 2013
Dalle “larghe” alle “lunghe” intese? Magari, per rilanciare l’economia è quello che ci vuole. L’orizzonte breve (anche 18 mesi è troppo poco) di questa “strana” maggioranza non può che far male al governo. Che come tutti gli esecutivi con qualche ambizione ha bisogno di tempo, ma soprattutto necessita che la sua serenità non venga compromessa da paletti piantati preventivamente. Se a questo si aggiunge la condizione eccezionale gravità della crisi che stiamo vivendo – quella economica, certo, ma pure quella istituzionale – se ne deduce facilmente che più Letta e i ministri si convincono che devono e possono assumere la legislatura come orizzonte temporale, più questa convinzione si trasmetterà ai partiti, inducendoli a non far prevalere gli interessi di bottega (il Pdl i problemi giudiziari di Berlusconi, il Pd lo scontro interno per la leadership), e più il governo potrà durare.
Attenzione, però: durare è una precondizione per ben governare, non un obiettivo in sé. Sopravvivere e non decidere, anzi la non decisione come strumento di allungamento della vita, non solo non è cosa buona per il Paese, ma neppure consigliabile sotto il profilo egoistico, perché gli italiani sono più che diffidenti e non perdonerebbero chi giocasse al “tirarla in lungo”. All’inizio il governo ha mostrato più attenzione per le emergenze che per le strategie di grande respiro, e questo ha fatto maturare in molti la convinzione che la gittata fosse assai corta. Della serie: fatta la nuova legge elettorale, si va a votare. Poi è scattato qualcosa: la dichiarazione di Letta sul fatto che il suo non è un esecutivo “a termine” segna un cambio di marcia. Che ora, però, si deve tradurre in un salto di qualità nella dimensione delle scelte che il governo intende fare.
La partita il governo se la gioca sul terreno dell’economia: saprà bloccare il trend recessivo che dura dal 2008 e imprimere una svolta? Finora, tra Imu e rifinanziamento della cassa integrazione, si è badato a vere e presunte “emergenzine”, senza peraltro riuscire a risolvere velocemente l’emergenza vera che è rappresentata dai crediti delle imprese verso le pubbliche amministrazioni (pagare tutto e subito bloccherebbe il credit crunch in atto). E si è continuato a parlare genericamente di “crescita”, senza neppure evocare la necessità di una cura choc, nonostante sia indispensabile. Fino a quando non si passerà su questo binario, invocare le “intese lunghe” non servirà a nulla.
La verità è che bisogna avere in testa un disegno coerente che colleghi l’efficienza derivante al sistema istituzionale da una sua radicale riforma, cui pure il governo sta lavorando seppure con lo strumento (la bicamerale) più debole tra i tanti che poteva scegliere, con gli interventi strutturali che l’economia in disarmo richiede, passando per una politica europea credibile – cioè né appiattita su chi comanda né inutilmente ostile – se si vuole ottenere risultati duraturi e che i cittadini possono apprezzare. Obama è incappato in mille problemi, politici e d’immagine, ma l’economia Usa è tornata a tirare, la disoccupazione è scesa vistosamente e tanto basta perché gli americani ne siano soddisfatti. O le intese “larghe e lunghe” si nutrono di risultati come quelli conseguiti da Obama, oppure inevitabilmente si riveleranno “strette e corte”. O, peggio, inutilmente “larghe e lunghe”.
Attenzione, però: durare è una precondizione per ben governare, non un obiettivo in sé. Sopravvivere e non decidere, anzi la non decisione come strumento di allungamento della vita, non solo non è cosa buona per il Paese, ma neppure consigliabile sotto il profilo egoistico, perché gli italiani sono più che diffidenti e non perdonerebbero chi giocasse al “tirarla in lungo”. All’inizio il governo ha mostrato più attenzione per le emergenze che per le strategie di grande respiro, e questo ha fatto maturare in molti la convinzione che la gittata fosse assai corta. Della serie: fatta la nuova legge elettorale, si va a votare. Poi è scattato qualcosa: la dichiarazione di Letta sul fatto che il suo non è un esecutivo “a termine” segna un cambio di marcia. Che ora, però, si deve tradurre in un salto di qualità nella dimensione delle scelte che il governo intende fare.
La partita il governo se la gioca sul terreno dell’economia: saprà bloccare il trend recessivo che dura dal 2008 e imprimere una svolta? Finora, tra Imu e rifinanziamento della cassa integrazione, si è badato a vere e presunte “emergenzine”, senza peraltro riuscire a risolvere velocemente l’emergenza vera che è rappresentata dai crediti delle imprese verso le pubbliche amministrazioni (pagare tutto e subito bloccherebbe il credit crunch in atto). E si è continuato a parlare genericamente di “crescita”, senza neppure evocare la necessità di una cura choc, nonostante sia indispensabile. Fino a quando non si passerà su questo binario, invocare le “intese lunghe” non servirà a nulla.
La verità è che bisogna avere in testa un disegno coerente che colleghi l’efficienza derivante al sistema istituzionale da una sua radicale riforma, cui pure il governo sta lavorando seppure con lo strumento (la bicamerale) più debole tra i tanti che poteva scegliere, con gli interventi strutturali che l’economia in disarmo richiede, passando per una politica europea credibile – cioè né appiattita su chi comanda né inutilmente ostile – se si vuole ottenere risultati duraturi e che i cittadini possono apprezzare. Obama è incappato in mille problemi, politici e d’immagine, ma l’economia Usa è tornata a tirare, la disoccupazione è scesa vistosamente e tanto basta perché gli americani ne siano soddisfatti. O le intese “larghe e lunghe” si nutrono di risultati come quelli conseguiti da Obama, oppure inevitabilmente si riveleranno “strette e corte”. O, peggio, inutilmente “larghe e lunghe”.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.