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La scomparsa del manager delle comunicazioni

In memoria di Ernesto Pascale

L'estremo saluto dell'amico Vito Gamberale

di Società Aperta - 18 giugno 2005

Riportiamo, per gentile concessione dell’autore, il testo dell'“estremo saluto” rivolto da Vito Gamberale ad Ernesto Pascale in occasione del suo funerale, svoltosi a Roma il 16 giugno 2005. Oltre che a ricordare uno dei protagonisti dello sviluppo economico del dopoguerra, le parole di Gamberale rappresentano un giudizio importante sulle vicende delle telecomunicazioni e più in generale del (mancato) processo di innovazione tecnologica del nostro Paese.

Porto ad Ernesto il saluto di tutti i colleghi del Gruppo STET/SIP, poi Telecom Italia. Un saluto che abbraccia tutta la sua famiglia.
È il saluto dei Pascale Boys, di quella numerosa schiera di dipendenti di quel gruppo che ha avuto la fortuna di incontrarlo, nel lavoro e nella vita. Di sicuro non farò l’apologia di una persona che non c’è più.
Cercherò solo di riassumere, di ricordare e di condividere, tra di noi, chi è stato Ernesto per noi stessi, per il Gruppo e per il Paese.
Sono certo che Ernesto, a tutti noi che oggi soffriamo per la sua scomparsa, sono certo che ha lasciato lo stesso ricordo, perché prima di tutto rispettava tutti allo stesso modo, riservava a tutti lo stesso stile di comportamento, le stesse sentite attenzioni.
La differenza può averla fatta solo l’intensità di frequentazione, da cui derivava la maggiore confidenza e quindi l’amicizia.
Ernesto prima di tutto è stato un capo riconosciuto da tutti, e di cui tutti siamo stati orgogliosi di essere stati allievi. Non aveva l’atteggiamento severo del “comandante”. Aveva l’autorevolezza del maestro dagli orizzonti larghi, in cui proiettava le sue riflessioni. E in quegli orizzonti, in cui spesso la nostra specifica visione si perdeva, perché appariva piccola ed a volte impropria, emergeva la sua grandezza, la sua intelligenza, la sua guida. La sua particolarità. Partendo dalle relazioni esterne, è stato capace di comprendere tecnologie e sistemi complessi, semplificarne schemi e funzioni e trarne strategie per l’Azienda e risorse per il Paese. Questo lo ha reso l’indiscusso riferimento nazionale per le TLC. Lo ha reso l’unico capo azienda da tutti e da sempre riconosciuto in quel gruppo. E questo ha consentito al nostro Paese, senza che ne fosse consapevole, di trovarsi all’avanguardia in Europa. È un aspetto che va sottolineato, oggi che diamo l’ultimo saluto ad Ernesto. Ernesto ha servito il Paese, l’ha reso grande nel settore delle TLC, il settore che oggi sintetizza e riassume la cosiddetta tecnologia. E il Paese non sempre l’ha capito. Non sempre se ne è accorto. Non sempre volle accorgersene.
Negli 8 anni che guidò Italcable, ne fece il primo esempio italiano di operatore in concorrenza, in casa altrui. Portò il germe della concorrenza in tutti i Paesi in cui ITC veniva a installarsi. Poi nel 91, divenne la grande guida della SIP. Fu allora, e fu lì che ci incontrammo. Fu allora che mi invitò a prendere la delega per la T.M., allora vero microbo nel pianeta SIP.
Fu in quel periodo che in SIP cominciò lo sviluppo impetuoso della T.M. e che la rete fissa avviò piani importanti di sviluppo, di ammodernamento.
Fu allora che Sip aprì la concorrenza nella telefonia creando le migliaia di dealers per la vendita di prodotti e servizi.
E’ una falsità, è una distorsione ciò che è stato scritto da un giornale questa mattina. Ernesto non si oppose all’avvento della concorrenza. Anzi si aprì e aprì alla concorrenza giusta. Si oppose alla prepotenza, che è altra cosa.
Sempre in quel periodo – era il 93/95 – in Europa si cominciò a diffondere la pratica delle alleanze trans-nazionali tra gli operatori nazionali. Tutti furono coinvolti: in Europa, in America e in Giappone.
I profani – fuori, ma anche dentro il Gruppo IRI – denunciavano l’isolamento internazionale di SIP.
Ernesto, con la calma della sicurezza, andava avanti, preconizzando il fallimento di quelle alleanze. Caddero tutte.
Nel frattempo Ernesto concepì il progetto Socrate, ossia la cablatura in fibre ottiche del Paese, per poter dare servizi e accessi avanzati a tutto il Paese.
Procedeva con il coraggio del pioniere e con la serenità della ragione. Anche allora quel progetto fu criticato prima e bloccato poi.
Oggi il Paese ne ha bisogno e non ce l’ha ancora!
Fu coraggioso verso l’estero per le acquisizioni che favorì (Cuba, Cile, Argentina, Austria, Francia). Fu lungimirante per l’ammodernamento, che offrì, gratis, al Paese.
E in azienda fu un capo vero, di quelli che si incontrano una volta nella vita, di quelli che continui a riconoscere come capo anche quando non lo è più. Sì perchè tutti noi che oggi siamo qui, abbiamo continuato a vedere in Ernesto il nostro capo. E oggi lo salutiamo da capo, da maestro, da insostituibile.
Fu un vero capo perché era forte con i suoi superiori, anche Istituzionali, quando c’era da difendere valore e ruolo del Gruppo.
Fu un vero capo perché era protettivo con i collaboratori, sapeva guidarli, consigliarli, tranquillizzarli. Mai meschino, verso nessuno, come ieri qualcuno di noi ricordava. Non conosceva l’invidia, non praticava il rancore.
Fu l’unico vero capo di un Grande Gruppo quando in Italia si abbattè il giustizialismo.
Difese aziende e uomini dalle ingiustificate e immotivate aggressioni giudiziarie. Seppe essere vicino alle famiglie ed a noi. A me in particolare. Seppe battersi per la fine dei nostri sequestri.
Pretese ed ottenne il nostro ritorno, riconsegnandoci l’onore ed il lavoro. Fu unico e unico restò, in quel momento in cui le fughe, le sottomissioni, le delazioni inventate resero codardi i gruppi e i capi in Italia.
STET e SIP, con Pascale, furono i baluardi della resistenza.

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Ernesto cercò di esprimere un suo disegno di grandezza e di realismo anche nelle fasi che precedettero la privatizzazione, quella che doveva essere la madre di tutte le privatizzazioni.
All’improvviso, dopo un bilancio record, con un gruppo proiettato all’espansione e al successo, gli fu chiesto l’esilio. Fu un esempio di dignità anche in quel delicato momento. Obbedì, senza sbavature.
Il Paese è rimasto in debito verso di lui. In 8 anni il Paese non ha pagato questo debito.
Questo Paese si è permesso di tenere in esilio la migliore intelligenza manageriale, di non utilizzarla. Una intelligenza anche politica, visto il piacere che ha sempre avuto di interpretare, commentare, avere fiducia nella politica.
Ci lascia un esempio di grandezza come manager, come uomo, come amico, come servitore del Paese.
Ma il suo esempio è stato grande anche nell’affrontare il “male” che l’aveva colto. “Sono stato estratto a sorte io, questa volta”. Così mi disse quando andai a trovarlo subito dopo l’operazione.
E poi, negli incontri successivi, nelle telefonate frequenti, mai un senso di dolore, di sconforto, di disperazione. Solo dignità e serenità. Ti chiedeva come stai, per evitare di farselo chiedere.
Ora, Ernesto, stiamo tutti male. Ci mancherai. Ciao Ernesto.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.