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Il Governo dei rinvii

Il tempo costa

Si sta perdendo tempo spacciando la “stabilità” come un valore, laddove è un danno se coincide, come fin qui, con l’immobilismo

di Davide Giacalone - 06 settembre 2013

Si sta facendo perdere tempo all’Italia. Tempo che costa e che perpetua l’incapacità di mettere nelle vele i refoli di ripresa. Facciamo finta di credere che basterà, verso il primo o secondo trimestre dell’anno prossimo, rimettere il segno positivo innanzi al prodotto interno lordo, ma è una presa in giro, perché ci servirebbe assai più che qualche decimale. Cosa possibile, se ci si sveglia. Si sta perdendo tempo spacciando la “stabilità” come un valore, laddove è un danno se coincide, come fin qui, con l’immobilismo. Il problema del governo Letta non è stabilire se è finito, ma se è cominciato. E si perde tempo spostando l’attenzione su temi certo rilevanti, di sicuro roventi, ma niente affatto decisivi per il futuro. Questa legislatura è nata morta. Si deve seppellirla, non imbalsamarla.

Sulle cose concrete da farsi richiamiamo l’attenzione giorno dopo giorno, con la sgradevole sensazione di parlare al muro. Vediamo, allora, la condizione in cui si trovano la sinistra e la destra, quel che è opportuno cambiare subito e, quindi, quale potrebbe essere lo sbocco. Tutti dicono di non volere le elezioni, ma stanno creando una condizione in cui saranno gli italiani a non volere più tutti loro.

A sinistra sono al punto in cui erano e in cui sempre saranno, senza una rottura chiara e profonda con il passato. Che Bersani fosse “spompo” se ne erano accorti gli elettori, ma Renzi deve trovarsi qualche cosa di più elegante e interessante da dire. Non era Bersani a essere giù di corda, era il Pd a non riuscire a entrare nell’elettorato riformista e moderato, che voterebbe la sinistra se non ne avvertisse i sentori di comunismo frollato e odio rinfocolato. La sinistra che piace ai militanti e fa scappare i votanti. Renzi è il leader più elettoralmente spendibile che si ritrovano, ma non può correre portandosi appresso l’opposto di quel che rappresenta. Se c’è una sinistra che, non potendosi più dire comunista, si sente socialista, o socialdemocratica, che vada per la sua strada (tanto sono in costante ritardo di mezzo secolo e si accorgeranno con comodo che quelle idee sono entrate in collasso con la crisi dello stato sociale). Vogliono l’unità? Legittimo, ma resteranno quel che sono: inaffidabili per la maggioranza degli elettori.

A destra la smettano di credere che alzando la voce (o abbandonandosi alla logorrea televisiva) riusciranno a confondere le idee: si sentirà più chiaramente che sono in confusione. La campagna dell’Imu è stata rovinosa, perché a fronte di un risultato di bandiera hanno accettato che parte del peso fiscale si spostasse altrove e hanno subito un rinvio della copertura che è perdita di tempo. Su quel fronte sono a un bivio: o chiariscono quale sarà la copertura totale, iva compresa, con il consenso esplicito di Enrico Letta, e lo chiariscono subito, oppure denuncino d’essere stati presi in giro prima che gli italiani pensino che siano loro a prenderli in giro. In quanto alla sorte di Berlusconi, è segnata. Andrà a scontare la pena, almeno inizierà a farlo, cosa rispetto alla quale quella sulla decadenza è una battaglia di retroguardia. Dalla quale può derivare solo danno (a cominciare dalla vergogna per chi quella legge la votò, cioè loro stessi). Hanno tutto il diritto di tenere il nome del leader nel simbolo, ma hanno il dovere di puntare su contenuti concreti e di anteporre qualche faccia che rappresenti una rottura. Ci sono, ne ho in mente almeno un paio, che taccio per risparmiare loro il tiro al piccione.

Se il governo casca ne fanno un altro? Se sarà destinato a reggersi sui voti dei traditori grillini e del senatore castrista: auguri. Chi immagina questi scenari non sa nulla della condizione in cui si trova il Paese reale e suppone che dopo le elezioni tedesche avvenga il contrario di quel che avverrà. Auguri. Il Quirinale s’assumerebbe una responsabilità costituzionalmente eccessiva.

Piuttosto, visto che, al momento, sono al governo assieme, destra e sinistra hanno un dovere che disertano fin dal novembre 2011: cambiare la legge elettorale. Se non vogliono che alle urne si rechi una minoranza di elettori, lo facciano subito. In quale senso lo abbiamo già scritto. E dopo, che succede?

Succede che si vota, che nessuno stravince e che il voto ortottero rimane possente. Meno di ora, ma non trascurabile. Anche perché gli italiani non sgomiteranno per votare. Poi si ricostruiscono le larghe intese, auspicabilmente con una sinistra che non le subisce come scippo del governo proprio e una destra che non le vive come scampagnata propagandistica. Ci servono larghe intese che emulino quelle tedesche: capaci di fare le riforme, non di reggersi ciascuno sull’inconsistenza dell’altro. Con Renzi da una parte e una rottura continuista dall’altra si possono fare. Anche affrontando il dramma della malagiustizia, che non è il problema di uno, ma di tutti.

Prevarranno stabilità e arte del rinvio? Facile. E’ la cosa più probabile. Il governo non sarebbe né finito né cominciato, bensì solo continuato. Ma sarà tempo buttato. Che pagheremo assai caro.

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