Gli schieramenti ignorano la risorsa femminile
Il rosa riparta dal Quirinale
Italia fanalino di coda per occupazione delle donne. E le quote rosa sono sparitedi Paolo Bozzacchi - 01 febbraio 2006
Tanto rumore per nulla. L’appassionato dibattito su come migliorare la scarsa rappresentanza femminile nella politica italiana, si è chiuso senza alcun risultato concreto. Nella migliore delle ipotesi (improbabile in campagna elettorale), il provvedimento che porta la firma del Ministro per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo, incasserà l’approvazione di un solo ramo del Parlamento, e sarebbe comunque rimandato alla prossima legislatura per il sì definitivo.
Sono rimasti quindi inascoltati i numerosi appelli dell’Unfpa, agenzia Onu per la promozione della politica e dei programmi di sviluppo, che ha sottolineato a più riprese come “senza emancipazione femminile non ci può essere sviluppo economico”. Un’opportunità persa, quindi, oltre che un occasione mancata di crescita.
L’affidamento di ruoli istituzionali rilevanti alle donne, torna perciò ad essere relegato al “buon cuore” dei partiti, e il consenso e la rappresentanza femminili devono affrontare l’ulteriore ostacolo di una legge elettorale che prevede liste bloccate create a tavolino dalle segreterie.
Con l’affossamento delle cosiddette “quote rosa”, la politica italiana ha dimostrato di non avere sufficiente volontà di dare sul tema l’esempio (per una volta), alla società civile e alle imprese. La scarsa rappresentanza politica, infatti, è solo la punta dell’iceberg del problema dell’emancipazione femminile, tuttora aperto e mai del tutto superato. Basti pensare che l’occupazione femminile italiana è – dopo Malta– la più bassa dell’Unione europea allargata (42,7% nel 2003), ben dieci punti al di sotto della media.
Snobbando la legge Prestigiacomo, il governo Berlusconi e in particolare Forza Italia (che ha fatto mancare più volte il numero legale necessario all’approvazione), hanno sottovalutato l’impatto elettorale negativo che potrebbe essere provocato dalle promesse mancate tra le donne e non solo. Il premier è apparso più interessato a inglobare il Movimento sociale di Rauti, o a dimostrarsi soddisfatto dell’appoggio “esterno” dei reali di casa Savoia rientrati dall’esilio. Ma non è detto che la scelta si riveli fruttifera.
Nelle file dell’Unione, invece, è il programma a svelare le intenzioni di Prodi e dei suoi sulla condizione delle donne in Italia. Nel corposo documento, l’unico passaggio sul tema è: “Per ridurre la vergognosa esclusione delle donne del Mezzogiorno dal mercato del lavoro saranno messe in atto forme di conciliazione fra i tempi di vita e di lavoro, che si tradurranno in una dotazione di servizi sociali, a cominciare dagli asili-nido”. Al virgolettato pare superfluo aggiungere ogni forma di commento.
Eppure le donne al governo e di governo stanno lavorando a livello internazionale più che bene. Angela Merkel fa già scrivere i giornali di “merkelismo” a pochi mesi dalla sua elezione, Condoleeza Rice è il candidato repubblicano più probabile alla prossima corsa alla Casa Bianca, mentre la Bachelet in Cile ha dimostrato di saper mantenere le promesse, nominando “in rosa” la metà dei ministri (come suggerito da queste pagine lo scorso mese di ottobre). Considerato lo stallo tra gli schieramenti sul prossimo Presidente della Repubblica, perché non recuperare tutto il terreno perduto dall’Italia sulle donne proponendone una per il Colle?
Sono rimasti quindi inascoltati i numerosi appelli dell’Unfpa, agenzia Onu per la promozione della politica e dei programmi di sviluppo, che ha sottolineato a più riprese come “senza emancipazione femminile non ci può essere sviluppo economico”. Un’opportunità persa, quindi, oltre che un occasione mancata di crescita.
L’affidamento di ruoli istituzionali rilevanti alle donne, torna perciò ad essere relegato al “buon cuore” dei partiti, e il consenso e la rappresentanza femminili devono affrontare l’ulteriore ostacolo di una legge elettorale che prevede liste bloccate create a tavolino dalle segreterie.
Con l’affossamento delle cosiddette “quote rosa”, la politica italiana ha dimostrato di non avere sufficiente volontà di dare sul tema l’esempio (per una volta), alla società civile e alle imprese. La scarsa rappresentanza politica, infatti, è solo la punta dell’iceberg del problema dell’emancipazione femminile, tuttora aperto e mai del tutto superato. Basti pensare che l’occupazione femminile italiana è – dopo Malta– la più bassa dell’Unione europea allargata (42,7% nel 2003), ben dieci punti al di sotto della media.
Snobbando la legge Prestigiacomo, il governo Berlusconi e in particolare Forza Italia (che ha fatto mancare più volte il numero legale necessario all’approvazione), hanno sottovalutato l’impatto elettorale negativo che potrebbe essere provocato dalle promesse mancate tra le donne e non solo. Il premier è apparso più interessato a inglobare il Movimento sociale di Rauti, o a dimostrarsi soddisfatto dell’appoggio “esterno” dei reali di casa Savoia rientrati dall’esilio. Ma non è detto che la scelta si riveli fruttifera.
Nelle file dell’Unione, invece, è il programma a svelare le intenzioni di Prodi e dei suoi sulla condizione delle donne in Italia. Nel corposo documento, l’unico passaggio sul tema è: “Per ridurre la vergognosa esclusione delle donne del Mezzogiorno dal mercato del lavoro saranno messe in atto forme di conciliazione fra i tempi di vita e di lavoro, che si tradurranno in una dotazione di servizi sociali, a cominciare dagli asili-nido”. Al virgolettato pare superfluo aggiungere ogni forma di commento.
Eppure le donne al governo e di governo stanno lavorando a livello internazionale più che bene. Angela Merkel fa già scrivere i giornali di “merkelismo” a pochi mesi dalla sua elezione, Condoleeza Rice è il candidato repubblicano più probabile alla prossima corsa alla Casa Bianca, mentre la Bachelet in Cile ha dimostrato di saper mantenere le promesse, nominando “in rosa” la metà dei ministri (come suggerito da queste pagine lo scorso mese di ottobre). Considerato lo stallo tra gli schieramenti sul prossimo Presidente della Repubblica, perché non recuperare tutto il terreno perduto dall’Italia sulle donne proponendone una per il Colle?
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.