Quando le idee collidono con il gioco di parole
Il pericoloso fascino della piazza
Il cocktail di Giuliano Ferrara per infuocare i palati e torcere le budelladi Davide Giacalone - 03 aprile 2008
La faccenda del comizio bolognese, tenuto da Giuliano Ferrara, con relativi insulti, contestazioni, lancio di uova e pomodori, in una piazza in preda alla follia, può essere liquidata in modo semplice, elementare e non per questo sbagliato: da una parte manifestando la solidarietà a chi ha tutto il diritto d’esprimere le proprie opinioni, dall’altra avvertendo che la differenza fra la piazza e la televisione sta proprio nel fatto che nella prima qualcuno può anche risponderti. Ho visto un filmato ed ho potuto apprezzare un Giuliano (ne sono un ammiratore, in odierno dissenso, come dirò?) in grande forma, pronto a sfidare il balbettio conformista, già a partire dal berretto. La piazza gli piace, come piace a me ed a quanti amano la politica vera. Quella bolognese era migliore di una piazza vuota. Solidarietà e realismo, dunque. Ma siamo un po’ troppo in superficie. Approfondendo, le cose si fanno dolorose.
Sono contrario all’aborto. Non conosco nessuna persona assennata che sia favorevole all’aborto. Non sono credente, non uso le categorie del sacro, ma so per certo che la vita comincia al momento del concepimento (in un certo senso, la precede), benché non in quel momento si può già parlare di persona. Quando avviene il passaggio non lo so, e non lo sa nessuno. Le uniche certezze le hanno quelli che non vedono la differenza. Sono favorevole alla legge che regolamenta l’aborto, con ciò stesso ammettendolo. Trovo che sia del tutto legittimo pensarla diversamente e trovo che sia non solo legittimo, ma opportuno che chi considera l’aborto un crimine, sempre e comunque, lo dica e faccia valere nella battaglia politica.
Ed anche in quella elettorale. Ferrara, però, è su una posizione diversa: da una parte dice che la 194 va anche bene, quindi accetta la regolamentazione dell’aborto e ne ammette la condivisa esistenza; dall’altra parla dell’aborto come di un omicidio, e degli aborti come un genocidio. La seconda cosa è inconciliabile con la prima. Chi ama le idee, quindi le parole con le quali prendono corpo, sa che è rischiosissimo usarle per fare i giocolieri. Ferrara ha elaborato un cocktail per infuocare i palati e torcere le budella. La secolarizzazione ecclesiastica ha suggerito alle gerarchie di lasciarlo da solo. A Bologna se la son bevuta.
Quella piazza, però, mette i brividi. Descrive una situazione che con l’aborto ha davvero poco a che fare. In assenza d’idee per cui combattere si cercano simboli contro cui mobilitarsi. Si cerca un rappresentante del male per riuscire a costruirsi un’identità di bene. La battaglia s’accende per ragioni esistenziali, non politiche. Se così non fosse qualcuno si sarebbe accorto che il fenomeno della lista anti abortista non ha alcuna speranza di cambiare di una virgola la realtà, quindi combatterlo non solo è inutile, ma si presta a farne il giuoco. Ma la ragionevolezza ha poco a che vedere con i dilemmi esistenziali. Quei ragazzi urlanti, quei lanciatori di bombe-macchia, somigliano terribilmente alle tifoserie calcistiche agguerrite: in grado di farci scappare il morto, ma incapaci di spiegare cosa cavolo stanno facendo.
La violenza, sempre latente in una società umana, così come sempre latente nell’animo umano, non riesce più ad essere trattenuta, ma non sa trovarsi una ragione per scatenarsi. Così cerca occasioni, pretesti che non macerano un fine nascosto, ma nascondo l’inesistenza di un fine (per quanto bislacco o demenziale).
Quest’anno va di moda celebrare una finta rivoluzione di quaranta anni fa. Un gorgoglio borghesuccio che in Italia (ma anche in Germania e Francia) produsse rutti terroristici, al servizio di una guerra di cui non comprendevano neanche i contorni. Si celebra, così, il falso racconto di una falsa storia, lecchinando anche qualche falso protagonista e mettendo nel conto qualche tardiva, e ridicola, rivisitazione. Ma non si considera che l’avere bruciato un paio di generazioni nella combustione ideologica ha generato un successivo periodo in cui le ceneri hanno soffocato anche le idee. Così il poliziotto muore perché assaltato allo stadio, i tifosi si minacciano negli autogrill e un gruppo di cretinetti pensano di promuovere la libertà bersagliando il comizio di una minoranza.
Per queste ragioni la giornata bolognese ci riguarda tutti, e non possiamo cavarcela solo con il rito della superficialità.
Sono contrario all’aborto. Non conosco nessuna persona assennata che sia favorevole all’aborto. Non sono credente, non uso le categorie del sacro, ma so per certo che la vita comincia al momento del concepimento (in un certo senso, la precede), benché non in quel momento si può già parlare di persona. Quando avviene il passaggio non lo so, e non lo sa nessuno. Le uniche certezze le hanno quelli che non vedono la differenza. Sono favorevole alla legge che regolamenta l’aborto, con ciò stesso ammettendolo. Trovo che sia del tutto legittimo pensarla diversamente e trovo che sia non solo legittimo, ma opportuno che chi considera l’aborto un crimine, sempre e comunque, lo dica e faccia valere nella battaglia politica.
Ed anche in quella elettorale. Ferrara, però, è su una posizione diversa: da una parte dice che la 194 va anche bene, quindi accetta la regolamentazione dell’aborto e ne ammette la condivisa esistenza; dall’altra parla dell’aborto come di un omicidio, e degli aborti come un genocidio. La seconda cosa è inconciliabile con la prima. Chi ama le idee, quindi le parole con le quali prendono corpo, sa che è rischiosissimo usarle per fare i giocolieri. Ferrara ha elaborato un cocktail per infuocare i palati e torcere le budella. La secolarizzazione ecclesiastica ha suggerito alle gerarchie di lasciarlo da solo. A Bologna se la son bevuta.
Quella piazza, però, mette i brividi. Descrive una situazione che con l’aborto ha davvero poco a che fare. In assenza d’idee per cui combattere si cercano simboli contro cui mobilitarsi. Si cerca un rappresentante del male per riuscire a costruirsi un’identità di bene. La battaglia s’accende per ragioni esistenziali, non politiche. Se così non fosse qualcuno si sarebbe accorto che il fenomeno della lista anti abortista non ha alcuna speranza di cambiare di una virgola la realtà, quindi combatterlo non solo è inutile, ma si presta a farne il giuoco. Ma la ragionevolezza ha poco a che vedere con i dilemmi esistenziali. Quei ragazzi urlanti, quei lanciatori di bombe-macchia, somigliano terribilmente alle tifoserie calcistiche agguerrite: in grado di farci scappare il morto, ma incapaci di spiegare cosa cavolo stanno facendo.
La violenza, sempre latente in una società umana, così come sempre latente nell’animo umano, non riesce più ad essere trattenuta, ma non sa trovarsi una ragione per scatenarsi. Così cerca occasioni, pretesti che non macerano un fine nascosto, ma nascondo l’inesistenza di un fine (per quanto bislacco o demenziale).
Quest’anno va di moda celebrare una finta rivoluzione di quaranta anni fa. Un gorgoglio borghesuccio che in Italia (ma anche in Germania e Francia) produsse rutti terroristici, al servizio di una guerra di cui non comprendevano neanche i contorni. Si celebra, così, il falso racconto di una falsa storia, lecchinando anche qualche falso protagonista e mettendo nel conto qualche tardiva, e ridicola, rivisitazione. Ma non si considera che l’avere bruciato un paio di generazioni nella combustione ideologica ha generato un successivo periodo in cui le ceneri hanno soffocato anche le idee. Così il poliziotto muore perché assaltato allo stadio, i tifosi si minacciano negli autogrill e un gruppo di cretinetti pensano di promuovere la libertà bersagliando il comizio di una minoranza.
Per queste ragioni la giornata bolognese ci riguarda tutti, e non possiamo cavarcela solo con il rito della superficialità.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.