Industria e salute
Il metodo Ilva
Il nodo non è venuto al pettine ora, ma c'è da anni. Tocca al governo commissariale, per insipienza, incapacità e cretineria di quelli politici, intervenire. Sarà un decreto doloroso e uno scontro duro. Sottrarsi, però, significa perdere in partenza.di Davide Giacalone - 28 novembre 2012
Non basta più neanche il decreto legge. Né la questione riguarda solo l’Ilva di Taranto. Siamo arrivati al punto che senza una reazione netta, senza un chiarimento ruvido, l’Ilva chiude, l’industria italiana è messa in discussione, la dissennata idea che tutto possa essere affrontato in sede penale, che gli unici poteri veri siano quelli dei pubblici ministeri, che la presunzione di un danno ipotetico sia giustificazione di un disfacimento concreto e immediato si affermano come unica dottrina del nuovo pauperismo. Fin quando, per combattere tale andazzo, si dovrà ricorre ad altra procura, denunciando che il declino industriale nuoce alla salute economica, morale, fisica ed ecologica del Paese.
Non basta il decreto perché il governo sarebbe dovuto intervenire prima, avrebbe dovuto sollevare subito il conflitto d’attribuzione (è ancora possibile, ma infinitamente tardi), avrebbe dovuto mettere in chiaro che non si spezza una produzione e una filiera industriale con le misure cautelari. Perché a Taranto non è la giustizia ad arrestare e sequestrare, è la procura. Solo l’infinita ignoranza del giustizialismo italiota finge di credere che siano sinonimi, che un magistrato valga l’altro. Se ci sono reati e relativi colpevoli lo sapremo fra anni. All’esito dei quali sarà stato consumato il crimine più grosso: la deindustrializzazione d’Italia. Ecco perché non basta il decreto, perché la sua scadenza coinciderebbe con la fine della legislatura, in un caos ingigantito dalla viltà delle forze politiche. Serve il decreto, ma serve anche che sia convertito immediatamente. Per ottenere questo risultato il governo deve uscire dall’attendismo che lo ha fin qui accompagnato, deve abbandonare ogni sogno (incubo) d’inciucio giudiziario, deve accettare lo scontro e deve chiamare i capi dei partiti della maggioranza a condividerlo. Subito. Chi si sottrarrà andrà a farsi campagna elettorale parlando di ecologia, salvo poi spiegarsi con quanti vivranno senza lavoro in un ambiente comunque devastato.
Lo scontro fra poteri (la magistratura non dovrebbe esserlo, secondo la Costituzione, ma oramai chi ci bada più, a quella Carta) sarà durissimo, tant’è che la procura s’è preparata mediante l’ennesima, abominevole, diffusione d’intercettazioni, destinata a far divenire mostro l’indagato.
La faccenda non riguarda solo Taranto. Il problema non è confinabile alla “magistratura tarantina”, come si tenta ipocritamente di sostenere. Ove il “metodo Ilva” prenda piede in Italia chiude tutto. In quanto a investimenti dall’estero, ce li possiamo scordare. Il “metodo Ilva” è in grado di radere al suolo la seconda potenza industriale europea, con gran sollazzo di quanti, in altre parti d’Europa, fanno le medesime cose, ma senza essere arrestati. Poi vivremo d’inchieste e tagliatelle, ma fatte a mano, in casa, che usare i macchinari inquina, richiede energia elettrica, si bruciano fossili, si rende irrespirabile l’aria, muoiono i fiori, s’ammalano le persone. Le faremo con poche uova, ciascuna delle quali costa un occhio, perché altrimenti il signor magistrato arresta quelli che maltrattano le galline e le mettono in batteria, dando loro da magiare schifezze anziché lasciarle pigolare nell’aia. Le dovremo mangiare subito, perché il frigorifero contiene gas che fanno il buco nell’ozono. E siccome queste cose non si fanno solo in Italia, dalla penisola dei pazzi partiranno inchieste contro produttori tedeschi, polacchi, americani. Per non dire dei cinesi, ai quali si potrebbe dedicare una procura specializzata.
Si può barattare la ricchezza con la salute? Posto che la miseria fa ammalare, la risposta è: no. Servono leggi serie, che mettano i competitori europei tutti sullo stesso piano (quindi dobbiamo produrre più energia in Italia, inquinando, altrimenti ci costa di più e andiamo fuori mercato), e serve punire chi le viola. Ma non possiamo barattare nemmeno la giustizia con l’accusa. In tale baratto l’Italia precipita da troppo tempo. Il nodo non è venuto al pettine ora, è che ci stiamo strappando i capelli a ciocche. Da anni. Tocca al governo commissariale, per insipienza, incapacità e cretineria di quelli politici, intervenire. Sarà un decreto doloroso e uno scontro duro. Sottrarsi, però, significa perdere in partenza. Perdendo l’Italia quale potenza economica. Poi certo che c’inviteranno ai pranzi ufficiali, ma senza loden: per cucinare e servire a tavola.
Non basta il decreto perché il governo sarebbe dovuto intervenire prima, avrebbe dovuto sollevare subito il conflitto d’attribuzione (è ancora possibile, ma infinitamente tardi), avrebbe dovuto mettere in chiaro che non si spezza una produzione e una filiera industriale con le misure cautelari. Perché a Taranto non è la giustizia ad arrestare e sequestrare, è la procura. Solo l’infinita ignoranza del giustizialismo italiota finge di credere che siano sinonimi, che un magistrato valga l’altro. Se ci sono reati e relativi colpevoli lo sapremo fra anni. All’esito dei quali sarà stato consumato il crimine più grosso: la deindustrializzazione d’Italia. Ecco perché non basta il decreto, perché la sua scadenza coinciderebbe con la fine della legislatura, in un caos ingigantito dalla viltà delle forze politiche. Serve il decreto, ma serve anche che sia convertito immediatamente. Per ottenere questo risultato il governo deve uscire dall’attendismo che lo ha fin qui accompagnato, deve abbandonare ogni sogno (incubo) d’inciucio giudiziario, deve accettare lo scontro e deve chiamare i capi dei partiti della maggioranza a condividerlo. Subito. Chi si sottrarrà andrà a farsi campagna elettorale parlando di ecologia, salvo poi spiegarsi con quanti vivranno senza lavoro in un ambiente comunque devastato.
Lo scontro fra poteri (la magistratura non dovrebbe esserlo, secondo la Costituzione, ma oramai chi ci bada più, a quella Carta) sarà durissimo, tant’è che la procura s’è preparata mediante l’ennesima, abominevole, diffusione d’intercettazioni, destinata a far divenire mostro l’indagato.
La faccenda non riguarda solo Taranto. Il problema non è confinabile alla “magistratura tarantina”, come si tenta ipocritamente di sostenere. Ove il “metodo Ilva” prenda piede in Italia chiude tutto. In quanto a investimenti dall’estero, ce li possiamo scordare. Il “metodo Ilva” è in grado di radere al suolo la seconda potenza industriale europea, con gran sollazzo di quanti, in altre parti d’Europa, fanno le medesime cose, ma senza essere arrestati. Poi vivremo d’inchieste e tagliatelle, ma fatte a mano, in casa, che usare i macchinari inquina, richiede energia elettrica, si bruciano fossili, si rende irrespirabile l’aria, muoiono i fiori, s’ammalano le persone. Le faremo con poche uova, ciascuna delle quali costa un occhio, perché altrimenti il signor magistrato arresta quelli che maltrattano le galline e le mettono in batteria, dando loro da magiare schifezze anziché lasciarle pigolare nell’aia. Le dovremo mangiare subito, perché il frigorifero contiene gas che fanno il buco nell’ozono. E siccome queste cose non si fanno solo in Italia, dalla penisola dei pazzi partiranno inchieste contro produttori tedeschi, polacchi, americani. Per non dire dei cinesi, ai quali si potrebbe dedicare una procura specializzata.
Si può barattare la ricchezza con la salute? Posto che la miseria fa ammalare, la risposta è: no. Servono leggi serie, che mettano i competitori europei tutti sullo stesso piano (quindi dobbiamo produrre più energia in Italia, inquinando, altrimenti ci costa di più e andiamo fuori mercato), e serve punire chi le viola. Ma non possiamo barattare nemmeno la giustizia con l’accusa. In tale baratto l’Italia precipita da troppo tempo. Il nodo non è venuto al pettine ora, è che ci stiamo strappando i capelli a ciocche. Da anni. Tocca al governo commissariale, per insipienza, incapacità e cretineria di quelli politici, intervenire. Sarà un decreto doloroso e uno scontro duro. Sottrarsi, però, significa perdere in partenza. Perdendo l’Italia quale potenza economica. Poi certo che c’inviteranno ai pranzi ufficiali, ma senza loden: per cucinare e servire a tavola.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.