L'Iran avvia la corsa al nucleare. Il mondo trema
Il dialogo per evitare l’escalation
Evitare errori commessi in passato e parlare con le minoranze iraniane aperte all’ascoltodi Antonio Picasso - 11 gennaio 2006
Per il nucleare iraniano è suonato l’allarme. Il governo di Teheran, infatti, ha deciso di rompere i sigilli della centrale di Natanz e di avviare quella che può essere indicata come un’attività per la produzione di energia atomica. Il mondo, allora, si trova di fronte a nuovi quanto attesi rischi. E cerca di reagire con la dovuta severità. Unito questa volta, a differenza di quello che accadde all’alba della guerra in Iraq. E le parole del direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica, Mohammed al Baradei sono significative. Lecito domandarsi, però se ci si debba aspettare un’escalation, vale a dire un passaggio di consegne del “fascicolo Iran” dalle mani della diplomazia a quelle militari.
La serenità, in questo momento, può essere l’ultimo degli stati d’animo. Ciò non toglie che non si può nemmeno esagerare con le paure. Perché, soprattutto da parte occidentale, ci si guarda bene dal fare mosse azzardate, che rischierebbero di rispondere – nei toni e nell’aggressività – alle provocazioni del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad. Si evita di andare oltre le parole di circostanza e di doverosa recriminazione. Questo è il limite.
Tuttavia, oltre questa facciata dura e accusatoria, bisogna domandarsi fin dove possa arrivare il diritto di ingerenza della comunità internazionale, o di nazioni straniere negli affari interni di uno Stato. A prescindere dal potenziale armamento dell’Iran, che comunque non è da escludere, fino a che punto gli altri governi possono bloccarlo? E poi, se gli obiettivi di Teheran fossero davvero solo economici, di ricerca e quindi pacifici? Non si può negare, infatti, quanto sia un luogo comune considerare l’Iran un paese aggressivo. È un cardine dell’Asse del Male, su questo non c’è dubbio, e il governo di Teheran non fa molto per sgravarsi di dosso questa etichetta. Anzi.
Ma non si possono dimenticare due cose: la tradizione di modernità, che la società iraniana vanta, e il fatto che quelle di Ahmadinejad siano provocazioni rivolte all’interno del Paese. Fin dai tempi dello scià, infatti, l’Iran ha dimostrato di essere un Paese ricco di un’élite disponibile al progresso, ma zittita dal regime di Komeini. Gli strali contro Israele e contro tutto il “male occidentale”, inoltre, devono essere interpretati più come uno strumento di propaganda, piuttosto che vere proprie danze di guerra. Ahmadinejad, infatti, mira a fomentare la rabbia di una maggioranza della popolazione iraniana, che vive una condizione di miseria e di arretratezza. È il vecchio trucco di puntare su chi non ha niente da perdere e scatenarlo contro mondi migliori.
Di fronte a questa realtà, l’Occidente ha due strade possibili da battere. Da una parte rispondere alle istigazioni fanatiche, dall’altra cercare il dialogo con chi ha orecchie per sentire e voce per spiegare. Scegliendo la prima possibilità, non farebbe altro che cadere nell’errore già commesso in Iraq. E cioè muovere guerra contro un paese nemico, convinto che esso sia il male assoluto, oltre che il cuore del terrorismo, e che, una volta sconfitto, saremmo tutti più felici. L’Occidente così facendo, metterebbe tanti elementi in un solo calderone: il governo degli Ayatollah, Al Qaeda e tutto quello che la banalizzazione può includere per combattere una guerra, certo non santa, contro il mondo islamico.
Ma Ahmadinejad non è Osama bin Laden. Teheran ha ben altre mire rispetto all’organizzazione terroristica internazionale. L’Iran è uno stato riconosciuto a livello internazionale, che agisce nell’ambito del diritto internazionale. Al Qaeda non è nulla di tutto questo. Bin Laden e il suo fido al Zawahiri intendono sovvertire un ordine multinazionale e culturale, puntando al cuore dell’Islam, cioè all’Arabia Saudita. L’Iran, invece, mette in discussione, con la violenza, l’equilibrio mondiale poggiante ormai solo su una superpotenza e aspira al multilateralismo. È una sorta di paese non allineato dei tempi moderni che non accetta i dettami di una comunità internazionale sottomessa alla volontà e oggi anche ai vizi di Washington. È vero, però, che non si può escludere una potenziale alleanza tra i due soggetti. Soprattutto perché sarebbe facilitata se l’Occidente lo permettesse. Appunto con errate interpretazioni e generalizzazioni come quelle sopra elencate.
Tuttavia, è anche possibile che se cercassimo in tutti di modi di comunicare con quelle che sono le rappresentanze più disponibili al dialogo, scavalcando quindi le frange fanatiche ed estremiste, si potrebbe trovare una soluzione di compromesso e soprattutto si eviterebbe quella escalation diplomatica, e magari militare, che oggi la stampa di tutto il mondo paventa.
La serenità, in questo momento, può essere l’ultimo degli stati d’animo. Ciò non toglie che non si può nemmeno esagerare con le paure. Perché, soprattutto da parte occidentale, ci si guarda bene dal fare mosse azzardate, che rischierebbero di rispondere – nei toni e nell’aggressività – alle provocazioni del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad. Si evita di andare oltre le parole di circostanza e di doverosa recriminazione. Questo è il limite.
Tuttavia, oltre questa facciata dura e accusatoria, bisogna domandarsi fin dove possa arrivare il diritto di ingerenza della comunità internazionale, o di nazioni straniere negli affari interni di uno Stato. A prescindere dal potenziale armamento dell’Iran, che comunque non è da escludere, fino a che punto gli altri governi possono bloccarlo? E poi, se gli obiettivi di Teheran fossero davvero solo economici, di ricerca e quindi pacifici? Non si può negare, infatti, quanto sia un luogo comune considerare l’Iran un paese aggressivo. È un cardine dell’Asse del Male, su questo non c’è dubbio, e il governo di Teheran non fa molto per sgravarsi di dosso questa etichetta. Anzi.
Ma non si possono dimenticare due cose: la tradizione di modernità, che la società iraniana vanta, e il fatto che quelle di Ahmadinejad siano provocazioni rivolte all’interno del Paese. Fin dai tempi dello scià, infatti, l’Iran ha dimostrato di essere un Paese ricco di un’élite disponibile al progresso, ma zittita dal regime di Komeini. Gli strali contro Israele e contro tutto il “male occidentale”, inoltre, devono essere interpretati più come uno strumento di propaganda, piuttosto che vere proprie danze di guerra. Ahmadinejad, infatti, mira a fomentare la rabbia di una maggioranza della popolazione iraniana, che vive una condizione di miseria e di arretratezza. È il vecchio trucco di puntare su chi non ha niente da perdere e scatenarlo contro mondi migliori.
Di fronte a questa realtà, l’Occidente ha due strade possibili da battere. Da una parte rispondere alle istigazioni fanatiche, dall’altra cercare il dialogo con chi ha orecchie per sentire e voce per spiegare. Scegliendo la prima possibilità, non farebbe altro che cadere nell’errore già commesso in Iraq. E cioè muovere guerra contro un paese nemico, convinto che esso sia il male assoluto, oltre che il cuore del terrorismo, e che, una volta sconfitto, saremmo tutti più felici. L’Occidente così facendo, metterebbe tanti elementi in un solo calderone: il governo degli Ayatollah, Al Qaeda e tutto quello che la banalizzazione può includere per combattere una guerra, certo non santa, contro il mondo islamico.
Ma Ahmadinejad non è Osama bin Laden. Teheran ha ben altre mire rispetto all’organizzazione terroristica internazionale. L’Iran è uno stato riconosciuto a livello internazionale, che agisce nell’ambito del diritto internazionale. Al Qaeda non è nulla di tutto questo. Bin Laden e il suo fido al Zawahiri intendono sovvertire un ordine multinazionale e culturale, puntando al cuore dell’Islam, cioè all’Arabia Saudita. L’Iran, invece, mette in discussione, con la violenza, l’equilibrio mondiale poggiante ormai solo su una superpotenza e aspira al multilateralismo. È una sorta di paese non allineato dei tempi moderni che non accetta i dettami di una comunità internazionale sottomessa alla volontà e oggi anche ai vizi di Washington. È vero, però, che non si può escludere una potenziale alleanza tra i due soggetti. Soprattutto perché sarebbe facilitata se l’Occidente lo permettesse. Appunto con errate interpretazioni e generalizzazioni come quelle sopra elencate.
Tuttavia, è anche possibile che se cercassimo in tutti di modi di comunicare con quelle che sono le rappresentanze più disponibili al dialogo, scavalcando quindi le frange fanatiche ed estremiste, si potrebbe trovare una soluzione di compromesso e soprattutto si eviterebbe quella escalation diplomatica, e magari militare, che oggi la stampa di tutto il mondo paventa.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.