Un improbabile esame di coscienza collettiva
IL Craxi perduto (e ritrovato)
Troppo presto per ricostruire il puzzle italiano?di Elio Di Caprio - 20 gennaio 2010
Craxi perduto e subito (?) ritrovato. A dieci anni dalla morte in un Paese straniero dove si è caparbiamente rintanato per non darla vinta ai suoi “persecutori” si richiede a tutti noi un (ri)esame collettivo di ciò che egli ha rappresentato nel bene e nel male in uno scorcio della storia italiana di quasi 15 anni, fino al fatale 1993. Una riabilitazione postuma e frettolosa? E perché poi questa sorta di revisionismo sarebbe in grado addirittura di darci spiegazioni più convincenti di ciò che è successo dopo, con una concatenazione logica che arriva fino all’attuale epoca berlusconiana contrassegnata anch’essa da un Presidente del Consiglio “perseguitato” dai magistrati rossi? E’ sempre forte la tentazione, che una volta si sarebbe detto marxista, di predeterminare la logica e le tappe dei percorsi storici.
Fa comunque un certo effetto che, a distanza di 10 anni dalla morte dell’ex leader socialista e a quasi venti dalle vicende di Tangentopoli, ex socialisti di tutto rispetto siano ora al governo con Berlusconi e si proclamino orgogliosamente di destra o di centro-destra, quasi avvalorando la percezione che il vero leader che ha compiuto lo spartiacque di questo nostro immaturo bipolarismo sia stato Berlusconi più che il velleitario Craxi: è lui più e meglio di Craxi ad aver messo nell’angolo i vecchi comunisti che sono stati costretti a cambiar nome e ci è riuscito senza bisogno di dotte disquisizioni sulla superiorità del socialismo di Prouhdon rispetto a quello di Marx.. O forse Bettino Craxi non è stato mai socialista (e di sinistra) secondo le accuse di Enrico Berlinguer che lo considerava un fascista travestito destinato a corrompere la democrazia italiana?
Come è successo altre volte nella storia d’Italia il leader prima osannato e messo sugli altari, quando cade in disgrazia viene impietosamente condannato da tutti, anche da coloro che gli hanno fatto da corona per anni, anche da coloro che ne hanno tratto tutti i vantaggi politici possibili. Il “latitante” Craxi viene sostanzialmente lasciato solo ad Hammamet e la latitanza politica dei suoi ex amici dura quel tanto che basta per trovare nuove sponde e nuove accoglienze nel quadro apparentemente mutato dell’eterno trasformismo italiano, dove tutto cambia perché nulla cambi.
E’ una storia vecchia e risaputa che puntualmente si riaffaccia ad ogni cambio di regime e ad ogni svolta storica originata da fatti esterni. Guido Crainz nel suo saggio recente sull’ “Autobiografia di una repubblica” richiama la disincantata analisi che già nel 1994, faceva Sergio Romano: gli italiani dopo aver rifiutato di considerare il fascismo un peccato nazionale e dopo essersi assolti per non aver commesso il fatto stanno addebitando Tangentopoli a Bettino Craxi e a qualche centinaio di uomini politici, imprenditori, funzionari.
Sanno che è una bugia, dice Romano, ma cederanno probabilmente alla tentazione di credervi per assolversi in tal modo anche da questo peccato. Ancora un vizietto nazionale, ancora una grande bugia collettiva e dunque una grande rimozione collettiva? Può essere, ma non è tutto evidentemente.
Si po’ essere statisti “ma anche” boss del proprio partito, dei socialisti, per farsi largo con tutti i mezzi politici- anche la corruzione- pur di arrivare primi al traguardo del potere. Il profilo “storico” di Craxi contiene tutte e due questi aspetti e non c’è bisogno di essere seguaci di Machiavelli per riconoscere la valenza di questo ennesimo “ma anche” che dovrebbe rendere tutti più accorti e prudenti nel giudicare i comportamenti dei maggiori leaders.
Ma quando parlando dell’Italia del dopo guerra fino all’89 si dice tranquillamente che non c’è da scandalizzarsi se i socialisti di Craxi provvedevano a finanziarsi in proprio con tangenti e mazzette e non potevano fare diversamente visti gli abbondanti finanziamenti dell’unione Sovietica al partito comunista e degli americani alla Democrazia Cristiana, si riconosce e si confessa implicitamente che il nostro Paese è stato a sovranità limitata per tanti e troppi anni. E’ una verità scomoda che andrebbe sempre richiamata per capire il quadro complessivo in cui hanno operato in Italia i partiti per più di quaranta anni.
Dai tanti documenti non più secretati negli ultimi tempi- altri ne usciranno ancora- apprendiamo che parecchie ambasciate dei Paesi europei seguivano con apprensione quanto succedeva in Italia, segnalavano ai loro governi, alla Nato e agli americani, la fragilità della situazione specie e non solo negli anni del tentato compromesso storico tra Moro e Berlinguer, ci trattavano come un Paese a sorveglianza speciale. Non è mai successo il contrario, che ad esempio l’Italia avesse motivo o potere di interferire su quanto succedeva negli altri Paesi dell’Europa Occidentale, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna.
In tale obiettiva situazione di debolezza del nostro Paese di frontiera tra Est ed Ovest siamo tanto sicuri che tutti i partiti di allora siano stati all’altezza di assicurare la nostra indipendenza da poteri esterni? Non certo il partito comunista dalla lealtà divisa verso l’Italia e l’Unione Sovietica, non certo la DC accetta agli americani, ma nemmeno il Partito Socialista che non riuscì mai a farsi largo tra i partiti più potenti di allora ed a prevalere.
Il nostro debito pubblico raddoppiato negli anni ‘80 – e ne paghiamo ancora le conseguenze- ora si dice con la connivenza di tutti, governo, opposizione comunista e sindacati , non è un ulteriore fattore che ha indebolito l’indipendenza italiana?
La verità è che è mancato quello che è di moda ora invocare, il “patriottismo repubblicano”, come unico (e residuo) elemento di coesione nazionale oltre le persistenti divisioni tra guelfi e ghibellini. Non c’è stato patriottismo repubblicano né da parte del principale partito al potere si allora, né da parte dei comunisti e tanto meno da parte dei socialisti, interessati all’atto pratico più al potere e ai comitati d’affari che alla riforme.
Il tramonto dei partiti “storici” non è solo avvenuto per una maldestra operazione giudiziaria magari guidata da una “manina straniera”, come ora si dice. Serve a questo punto riabilitare Craxi o è solo propaganda? E’ sempre più difficile decifrare il puzzle italiano, da Craxi a Berlusconi, se consideriamo che un personaggio “immacolato” come Giulio Andreotti, senatore a vita, sia stato messo fuori da qualunque processo di riabilitazione o di condanna postuma con il plauso di tutti, mentre l’ultima difesa di Bettino Craxi è lasciata agli (ex) socialisti diventati di centro-destra all’ombra del Cavaliere.
Fa comunque un certo effetto che, a distanza di 10 anni dalla morte dell’ex leader socialista e a quasi venti dalle vicende di Tangentopoli, ex socialisti di tutto rispetto siano ora al governo con Berlusconi e si proclamino orgogliosamente di destra o di centro-destra, quasi avvalorando la percezione che il vero leader che ha compiuto lo spartiacque di questo nostro immaturo bipolarismo sia stato Berlusconi più che il velleitario Craxi: è lui più e meglio di Craxi ad aver messo nell’angolo i vecchi comunisti che sono stati costretti a cambiar nome e ci è riuscito senza bisogno di dotte disquisizioni sulla superiorità del socialismo di Prouhdon rispetto a quello di Marx.. O forse Bettino Craxi non è stato mai socialista (e di sinistra) secondo le accuse di Enrico Berlinguer che lo considerava un fascista travestito destinato a corrompere la democrazia italiana?
Come è successo altre volte nella storia d’Italia il leader prima osannato e messo sugli altari, quando cade in disgrazia viene impietosamente condannato da tutti, anche da coloro che gli hanno fatto da corona per anni, anche da coloro che ne hanno tratto tutti i vantaggi politici possibili. Il “latitante” Craxi viene sostanzialmente lasciato solo ad Hammamet e la latitanza politica dei suoi ex amici dura quel tanto che basta per trovare nuove sponde e nuove accoglienze nel quadro apparentemente mutato dell’eterno trasformismo italiano, dove tutto cambia perché nulla cambi.
E’ una storia vecchia e risaputa che puntualmente si riaffaccia ad ogni cambio di regime e ad ogni svolta storica originata da fatti esterni. Guido Crainz nel suo saggio recente sull’ “Autobiografia di una repubblica” richiama la disincantata analisi che già nel 1994, faceva Sergio Romano: gli italiani dopo aver rifiutato di considerare il fascismo un peccato nazionale e dopo essersi assolti per non aver commesso il fatto stanno addebitando Tangentopoli a Bettino Craxi e a qualche centinaio di uomini politici, imprenditori, funzionari.
Sanno che è una bugia, dice Romano, ma cederanno probabilmente alla tentazione di credervi per assolversi in tal modo anche da questo peccato. Ancora un vizietto nazionale, ancora una grande bugia collettiva e dunque una grande rimozione collettiva? Può essere, ma non è tutto evidentemente.
Si po’ essere statisti “ma anche” boss del proprio partito, dei socialisti, per farsi largo con tutti i mezzi politici- anche la corruzione- pur di arrivare primi al traguardo del potere. Il profilo “storico” di Craxi contiene tutte e due questi aspetti e non c’è bisogno di essere seguaci di Machiavelli per riconoscere la valenza di questo ennesimo “ma anche” che dovrebbe rendere tutti più accorti e prudenti nel giudicare i comportamenti dei maggiori leaders.
Ma quando parlando dell’Italia del dopo guerra fino all’89 si dice tranquillamente che non c’è da scandalizzarsi se i socialisti di Craxi provvedevano a finanziarsi in proprio con tangenti e mazzette e non potevano fare diversamente visti gli abbondanti finanziamenti dell’unione Sovietica al partito comunista e degli americani alla Democrazia Cristiana, si riconosce e si confessa implicitamente che il nostro Paese è stato a sovranità limitata per tanti e troppi anni. E’ una verità scomoda che andrebbe sempre richiamata per capire il quadro complessivo in cui hanno operato in Italia i partiti per più di quaranta anni.
Dai tanti documenti non più secretati negli ultimi tempi- altri ne usciranno ancora- apprendiamo che parecchie ambasciate dei Paesi europei seguivano con apprensione quanto succedeva in Italia, segnalavano ai loro governi, alla Nato e agli americani, la fragilità della situazione specie e non solo negli anni del tentato compromesso storico tra Moro e Berlinguer, ci trattavano come un Paese a sorveglianza speciale. Non è mai successo il contrario, che ad esempio l’Italia avesse motivo o potere di interferire su quanto succedeva negli altri Paesi dell’Europa Occidentale, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna.
In tale obiettiva situazione di debolezza del nostro Paese di frontiera tra Est ed Ovest siamo tanto sicuri che tutti i partiti di allora siano stati all’altezza di assicurare la nostra indipendenza da poteri esterni? Non certo il partito comunista dalla lealtà divisa verso l’Italia e l’Unione Sovietica, non certo la DC accetta agli americani, ma nemmeno il Partito Socialista che non riuscì mai a farsi largo tra i partiti più potenti di allora ed a prevalere.
Il nostro debito pubblico raddoppiato negli anni ‘80 – e ne paghiamo ancora le conseguenze- ora si dice con la connivenza di tutti, governo, opposizione comunista e sindacati , non è un ulteriore fattore che ha indebolito l’indipendenza italiana?
La verità è che è mancato quello che è di moda ora invocare, il “patriottismo repubblicano”, come unico (e residuo) elemento di coesione nazionale oltre le persistenti divisioni tra guelfi e ghibellini. Non c’è stato patriottismo repubblicano né da parte del principale partito al potere si allora, né da parte dei comunisti e tanto meno da parte dei socialisti, interessati all’atto pratico più al potere e ai comitati d’affari che alla riforme.
Il tramonto dei partiti “storici” non è solo avvenuto per una maldestra operazione giudiziaria magari guidata da una “manina straniera”, come ora si dice. Serve a questo punto riabilitare Craxi o è solo propaganda? E’ sempre più difficile decifrare il puzzle italiano, da Craxi a Berlusconi, se consideriamo che un personaggio “immacolato” come Giulio Andreotti, senatore a vita, sia stato messo fuori da qualunque processo di riabilitazione o di condanna postuma con il plauso di tutti, mentre l’ultima difesa di Bettino Craxi è lasciata agli (ex) socialisti diventati di centro-destra all’ombra del Cavaliere.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.