Quello che la Carta non dice
Il Colle politico
Costituzione formale vs Costituzione materialedi Davide Giacalone - 06 dicembre 2011
La distanza fra la Costituzione scritta e quella praticata è, oramai, così grande da far sì che l’una non si riconosca nell’altra. Si crede che sia tema da poco? Un lusso per tempi diversi? Sbagliato: se saltano le regole non ci sono conti che tengano, perché con loro salta il resto del Paese. Da questo difficile momento usciremo.
Le scelte operate dal governo non sono tutte condivisibili, anzi: alla fine, anziché tagli e privatizzazioni ci ritroviamo con tasse e allargamento della mano pubblica (si pensi alla garanzia offerta alle banche). Ma ne usciremo, perché ribadisco la mia convinzione: il quadro sarà chiaro dopo il Consiglio europeo del 9 dicembre. Prima di allora siamo solo alle parole. Nelle parole, però, c’è qualche cosa di stonato. E pericoloso. In particolare il ruolo della presidenza della Repubblica è assai diverso da quello che disegnarono i Costituenti.
Nel presentare il decreto “di salvezza nazionale” (la retorica, come vedete, e anche la furbizia politica, non è affatto estranea ai tecnici) Mario Monti ha detto: “… il capo dello Stato e il Parlamento hanno chiesto a questo governo …”. Nella nostra Costituzione, però, non si trova traccia alcuna di direttive, o anche solo richieste, che il Quirinale possa far valere sul governo. Monti sa bene quel che dice, e ha ragione: lui il mandato lo ha ricevuto dal Colle. Si tratta di una procedura niente affatto normale, che ha preceduto la crisi di governo e non s’è limitata a quel che la Costituzione stabilisce, è andata assai oltre, al punto che, realisticamente, chi guida l’esecutivo possa ancora far appello a quel mandato per riassumerne sia la funzione che la legittimità. Non è normale.
Siccome gli uomini passano, ma le istituzioni restano, sarà bene far attenzione a non giustificare, in nome del (presunto) bene collettivo, condotte che possano, domani, rivelarsi pericolose. Il New York Times ha utilizzato un ragionamento piuttosto elementare, potendosi permettere di dire, senza troppi giri di parole, quel che in Italia sappiamo tutti, ma non diciamo per pudore: Giorgio Napolitano è stato un protagonista grandioso nell’avversare Silvio Berlusconi. Aspettate, non precipitiamoci ancora nel vizio della faziosità: non intendo solleticare chi abbia amato o ami l’ex presidente del Consiglio, né compiacermi con chi lo ha detestato e detesta. Non è questo il punto. Anzi: chi se ne importa. Il tema è diverso: da molto tempo abbiamo inquilini del Colle che sono antagonisti della maggioranza elettorale, e questo è l’esatto contrario di quel che si volle alla Costituente.
Mera questione estetica? Non direi, perché i poteri del Colle sono elastici e da tempo tesi fino al punto di rottura. Esempio: il presidente firmerà il decreto preparato dal governo Monti. E farà bene. Ma è lo stesso che rifiutò di firmare quello preparato dal governo precedente, sostenendo che non era vero l’Europa ce lo avesse chiesto o che ci fosse fretta. Sostenendo, a ragione, che i decreti devono essere tematicamente omogenei, non delle insalate miste. Disse: non ne firmerò più. Adesso firma. Non è questione di parte. Chi ci legge sa che consideravo finito il governo Berlusconi molti mesi prima che implodesse. Né mi hanno mai appassionato quelle parti.
Ma le regole del gioco non possono essere a geometria variabile, cangiando al mutar della squadra che vince. Specialmente ora, perché questo è il quadro che vedo: il Colle aiuta il governo, e fa bene; l’esecutivo dei tecnici, a dispetto dei durissimi scontri interni, finge che la politica sia superflua, ove non dannosa; in Parlamento le forze maggiori non saranno in grado di dire quel che pensano, commissariate per propria insipienza e paura, speranzose che sia la parte avversa a interrompere l’incubo (salvo riprecipitare in quello precedente); mentre forze minori si scateneranno; le misure varate saranno approvate per mancanza d’alternative; dopo di che, prima o dopo, si va a votare e gli elettori potranno scegliere fra acquiescenti e ciarliere amebe o riottosi e vocianti oppositori. Quel giorno le regole saranno preziose.
Ci si accorgerà che confondere le istituzioni con le persone, subordinando il funzionamento delle prime alle proprie simpatie personali e politiche, non porta lontano. E dove porta, porta male.
Le scelte operate dal governo non sono tutte condivisibili, anzi: alla fine, anziché tagli e privatizzazioni ci ritroviamo con tasse e allargamento della mano pubblica (si pensi alla garanzia offerta alle banche). Ma ne usciremo, perché ribadisco la mia convinzione: il quadro sarà chiaro dopo il Consiglio europeo del 9 dicembre. Prima di allora siamo solo alle parole. Nelle parole, però, c’è qualche cosa di stonato. E pericoloso. In particolare il ruolo della presidenza della Repubblica è assai diverso da quello che disegnarono i Costituenti.
Nel presentare il decreto “di salvezza nazionale” (la retorica, come vedete, e anche la furbizia politica, non è affatto estranea ai tecnici) Mario Monti ha detto: “… il capo dello Stato e il Parlamento hanno chiesto a questo governo …”. Nella nostra Costituzione, però, non si trova traccia alcuna di direttive, o anche solo richieste, che il Quirinale possa far valere sul governo. Monti sa bene quel che dice, e ha ragione: lui il mandato lo ha ricevuto dal Colle. Si tratta di una procedura niente affatto normale, che ha preceduto la crisi di governo e non s’è limitata a quel che la Costituzione stabilisce, è andata assai oltre, al punto che, realisticamente, chi guida l’esecutivo possa ancora far appello a quel mandato per riassumerne sia la funzione che la legittimità. Non è normale.
Siccome gli uomini passano, ma le istituzioni restano, sarà bene far attenzione a non giustificare, in nome del (presunto) bene collettivo, condotte che possano, domani, rivelarsi pericolose. Il New York Times ha utilizzato un ragionamento piuttosto elementare, potendosi permettere di dire, senza troppi giri di parole, quel che in Italia sappiamo tutti, ma non diciamo per pudore: Giorgio Napolitano è stato un protagonista grandioso nell’avversare Silvio Berlusconi. Aspettate, non precipitiamoci ancora nel vizio della faziosità: non intendo solleticare chi abbia amato o ami l’ex presidente del Consiglio, né compiacermi con chi lo ha detestato e detesta. Non è questo il punto. Anzi: chi se ne importa. Il tema è diverso: da molto tempo abbiamo inquilini del Colle che sono antagonisti della maggioranza elettorale, e questo è l’esatto contrario di quel che si volle alla Costituente.
Mera questione estetica? Non direi, perché i poteri del Colle sono elastici e da tempo tesi fino al punto di rottura. Esempio: il presidente firmerà il decreto preparato dal governo Monti. E farà bene. Ma è lo stesso che rifiutò di firmare quello preparato dal governo precedente, sostenendo che non era vero l’Europa ce lo avesse chiesto o che ci fosse fretta. Sostenendo, a ragione, che i decreti devono essere tematicamente omogenei, non delle insalate miste. Disse: non ne firmerò più. Adesso firma. Non è questione di parte. Chi ci legge sa che consideravo finito il governo Berlusconi molti mesi prima che implodesse. Né mi hanno mai appassionato quelle parti.
Ma le regole del gioco non possono essere a geometria variabile, cangiando al mutar della squadra che vince. Specialmente ora, perché questo è il quadro che vedo: il Colle aiuta il governo, e fa bene; l’esecutivo dei tecnici, a dispetto dei durissimi scontri interni, finge che la politica sia superflua, ove non dannosa; in Parlamento le forze maggiori non saranno in grado di dire quel che pensano, commissariate per propria insipienza e paura, speranzose che sia la parte avversa a interrompere l’incubo (salvo riprecipitare in quello precedente); mentre forze minori si scateneranno; le misure varate saranno approvate per mancanza d’alternative; dopo di che, prima o dopo, si va a votare e gli elettori potranno scegliere fra acquiescenti e ciarliere amebe o riottosi e vocianti oppositori. Quel giorno le regole saranno preziose.
Ci si accorgerà che confondere le istituzioni con le persone, subordinando il funzionamento delle prime alle proprie simpatie personali e politiche, non porta lontano. E dove porta, porta male.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.