Bisogna colmare il gap di governance
Il “caso Europa dell’Est”
Servono misure sovranazionali arrestare una crisi sempre più dilagante con misuredi Enrico Cisnetto - 19 febbraio 2009
Come se il piatto della crisi finanziaria e della conseguente recessione non fosse già abbastanza ricco, ecco risuonare l’allarme secondo cui nell’Europa dell’Est stanno per scoppiare guai seri. Non sono state solo le analisi di Moody’s arrivate due giorni fa. Ci si sono messi anche il Ministro delle Finanze tedesco Peer Steinbrueck, il supercommissario Almunia e il premier britannico Gordon Brown, secondo i quali qualcosa sta seriamente scricchiolando nelle economie delle varie Ucraina, Serbia, Croazia e Romania.
Ciò che preoccupa tutti è il combinato disposto tra queste traballanti economie nazionali (l’Ucraina ha già dichiarato il “default”, chiedendo l’intervento del Fondo Monetario) e la questione dei cosiddetti titoli tossici, che diverse banche europee si troverebbero sul groppone dopo aver investito in istituti “oltrecortina” (a questo pericolo si fa risalire, per esempio, la caduta in Borsa di Unicredit). Due elementi che s’intrecciano, dando vita a una situazione esplosiva, che mette a nudo, ancora una volta, le debolezze di un’Unione Europea costruita sull’argilla. E’ evidente, infatti, che anche questa nuova fase della crisi economica è sovranazionale ma non riesce a trovare che risposte nazionali (se non nazionalistiche), rivolte più alle conseguenze che alle sue cause, e dunque inefficaci o nel migliore dei casi limitate.
E non è solo la questione dei titoli tossici nascosti nei bilanci delle banche. E chiaro, infatti, che le difficoltà di questi Stati dell’Est Europa rischiano il comparto bancario ma le stesse economie di molti paesi dell’Ovest europeo: basti pensare ai sistemi dei pagamenti e ai rischi di default dei titoli di Stato detenuti a livello internazionale. In questo scenario, non solo manca ancora quella riscrittura delle regole del gioco a livello globale che dovrebbero ridefinire vigilanza e controllo e ruolo delle varie istituzioni come il Fondo Monetario.
E’ proprio nel Vecchio Continente che emerge questo gap di governance in maniera più evidente. Stupiscono, in particolare, da una parte la sostanziale inattività della Commissione Europea, dall’altra l’inconsistenza dei vari vertici tra ministri economici. Nonostante gli allarmi non manchino – tanto che lo stesso Governatore Draghi ha detto solo pochi giorni fa dal G7 di Roma che serve un’azione congiunta e rapida – nessuna risposta è giunta da Bruxelles. A cominciare dal caso dei titoli tossici, in queste ore oggetto di una ridda di ipotesi sulla loro consistenza che hanno alimentato le indiscrezioni più inquietanti, come quella secondo cui nei bilanci delle banche europee vi sarebbero addirittura 18 mila miliardi di euro di titoli incriminati.
Col risultato che, è lecito crederlo, anche su questa vicenda alla fine sarà ciascuno Stato a decidere per sé così come è già successo con gli aiuti al settore auto o i cosiddetti piani anti-crisi. Con una duplice conseguenza. Prima di tutto saranno favoriti quegli istituti appartenenti a paesi che hanno preso più sul serio la crisi (fino ad arrivare al caso-limite della Germania, che ieri ha annunciato di pensare ad una nazionalizzazione delle banche esposte ai titoli tossici), dando vita così ad un mercato continentale asimmetrico, come già è successo per l’auto.
Da questo presupposto nasce la seconda conseguenza, e cioè che verrà meno uno dei pilastri fondativi della stessa costruzione europea, il libero mercato comune. E questo assesterà un ulteriore colpo a quell’Europa a 27 sorta trionfalmente due anni fa, e che fin qui aveva già dato ampia prova di inconsistenza a livello politico. Se adesso emergesse davvero in tutta la sua virulenza un “caso Europa dell’Est”, con 18 trilioni di euro di titoli tossici in possesso delle banche, l’inconsistenza degli assetti dell’Unione Europea potrebbe costarci davvero molto cara. Si verificherà, insomma, la profezia lanciata proprio ieri da un osservatore acuto come Jacques Attali, il quale ha detto che per l’Europa quella presente, più che una crisi economica, è soprattutto una crisi politica e di leadership. Una crisi che – non a caso – esplode all’Est. Lì dove, solamente due anni fa, si era deciso di allargare ulteriormente una coperta europea già rappezzata e fatiscente.
Ciò che preoccupa tutti è il combinato disposto tra queste traballanti economie nazionali (l’Ucraina ha già dichiarato il “default”, chiedendo l’intervento del Fondo Monetario) e la questione dei cosiddetti titoli tossici, che diverse banche europee si troverebbero sul groppone dopo aver investito in istituti “oltrecortina” (a questo pericolo si fa risalire, per esempio, la caduta in Borsa di Unicredit). Due elementi che s’intrecciano, dando vita a una situazione esplosiva, che mette a nudo, ancora una volta, le debolezze di un’Unione Europea costruita sull’argilla. E’ evidente, infatti, che anche questa nuova fase della crisi economica è sovranazionale ma non riesce a trovare che risposte nazionali (se non nazionalistiche), rivolte più alle conseguenze che alle sue cause, e dunque inefficaci o nel migliore dei casi limitate.
E non è solo la questione dei titoli tossici nascosti nei bilanci delle banche. E chiaro, infatti, che le difficoltà di questi Stati dell’Est Europa rischiano il comparto bancario ma le stesse economie di molti paesi dell’Ovest europeo: basti pensare ai sistemi dei pagamenti e ai rischi di default dei titoli di Stato detenuti a livello internazionale. In questo scenario, non solo manca ancora quella riscrittura delle regole del gioco a livello globale che dovrebbero ridefinire vigilanza e controllo e ruolo delle varie istituzioni come il Fondo Monetario.
E’ proprio nel Vecchio Continente che emerge questo gap di governance in maniera più evidente. Stupiscono, in particolare, da una parte la sostanziale inattività della Commissione Europea, dall’altra l’inconsistenza dei vari vertici tra ministri economici. Nonostante gli allarmi non manchino – tanto che lo stesso Governatore Draghi ha detto solo pochi giorni fa dal G7 di Roma che serve un’azione congiunta e rapida – nessuna risposta è giunta da Bruxelles. A cominciare dal caso dei titoli tossici, in queste ore oggetto di una ridda di ipotesi sulla loro consistenza che hanno alimentato le indiscrezioni più inquietanti, come quella secondo cui nei bilanci delle banche europee vi sarebbero addirittura 18 mila miliardi di euro di titoli incriminati.
Col risultato che, è lecito crederlo, anche su questa vicenda alla fine sarà ciascuno Stato a decidere per sé così come è già successo con gli aiuti al settore auto o i cosiddetti piani anti-crisi. Con una duplice conseguenza. Prima di tutto saranno favoriti quegli istituti appartenenti a paesi che hanno preso più sul serio la crisi (fino ad arrivare al caso-limite della Germania, che ieri ha annunciato di pensare ad una nazionalizzazione delle banche esposte ai titoli tossici), dando vita così ad un mercato continentale asimmetrico, come già è successo per l’auto.
Da questo presupposto nasce la seconda conseguenza, e cioè che verrà meno uno dei pilastri fondativi della stessa costruzione europea, il libero mercato comune. E questo assesterà un ulteriore colpo a quell’Europa a 27 sorta trionfalmente due anni fa, e che fin qui aveva già dato ampia prova di inconsistenza a livello politico. Se adesso emergesse davvero in tutta la sua virulenza un “caso Europa dell’Est”, con 18 trilioni di euro di titoli tossici in possesso delle banche, l’inconsistenza degli assetti dell’Unione Europea potrebbe costarci davvero molto cara. Si verificherà, insomma, la profezia lanciata proprio ieri da un osservatore acuto come Jacques Attali, il quale ha detto che per l’Europa quella presente, più che una crisi economica, è soprattutto una crisi politica e di leadership. Una crisi che – non a caso – esplode all’Est. Lì dove, solamente due anni fa, si era deciso di allargare ulteriormente una coperta europea già rappezzata e fatiscente.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.