Occorrono segnali forti e convincenti
Il “caso ellenico”
L’Europa non è affatto terza e l’Unione non può abbassare la guardiadi Angelo De Mattia - 02 febbraio 2010
L’Europa non è il convitato di pietra. C’è una realtà apparente nel caso greco che si snoda nelle dichiarazioni “ ufficiali” del commissario Almunia ( nessun salvataggio della Grecia ) e quelle del primo ministro ellenico, Papandreu ( non chiederemo aiuti o salvataggi ) e una effettiva, dura, dietro le quinte, che evidenzia l’Eurosistema e la Comunità nella necessità di affrontare una prova delicatissima. E i paesi che ne fanno parte – soprattutto quelli più deboli – verificano l’avverarsi della “profezia” dell’allora presidente della Bundesbank, Hanz Tietmeyer , secondo la quale l’adesione all’euro non sarebbe stata di certo il paradiso ( al più, aggiunse Antonio Fazio, il purgatorio, nel quale espiare il mancato superamento degli squilibri strutturali).
Il nuovo governo greco ha ereditato una situazione difficilissima con la finanza pubblica fuori dai parametri e fuori controllo – il rapporto deficit/ pil , in particolare, a circa il 13 per cento – forte evasione fiscale, squilibri nella previdenza e nella sanità, disfunzioni gravi nella pubblica amministrazione, problemi di regolazione degli stipendi, etc. A condimento di tutto ciò – e che condimento – ci sarebbe, oltre alle voci su richieste di prestiti alla Cina, la non veridicità di alcune statistiche ufficiali, un bis in idem rispetto a quando furono presentati i conti alterati proprio per l’ammissione all’euro.
Questa miscela di irrisolti nodi strutturali e di forzata rappresentazione dei principali indicatori economici e di finanza pubblica potrebbe costituire il classico brodo di coltura di dubbi sulla capacità dello Stato di onorare il suo debito. Il peggio che può accadere. Ne sappiamo, anche noi, qualcosa se riandiamo al 1992. Di qui il rischioso allargarsi, in questi giorni oltre i 400 punti base, dei differenziali dei rendimenti dei titoli pubblici greci e quelli dei bund tedeschi. Un vero segnale di pericolo. Ma di qui anche il verosimile intervento della speculazione che ha pensato di utilizzare la Grecia – questa volta come cavallo di Troia non ideato da un Ulisse ellenico – per tentare attacchi pure ad altri paesi dell’Eurozona in non floride condizioni, come Portogallo, Irlanda e la stessa Spagna: in definitiva, alla moneta unica direttamente. Ecco perché il limitato peso dell’economia greca non deve certo indurre l’Unione ad abbassare la guardia: tutt’altro. “ Graecia capta”, in questo caso, non rivincerebbe, ma sarebbe la via per altre scorribande. Perderebbe l’Europa.
Che fare? Molto, ovviamente, spetta al governo ellenico lungo la strada che ha iniziato a percorrere, sia pure in modo non del tutto soddisfacente, promuovendo una drastica operazione di riequilibrio della finanza pubblica, una serissima strategia anti-evasione fiscale, l’avvio di riforme di struttura, in particolare nella previdenza,nella pubblica amministrazione, nei mercati dei beni e servizi, nei rapporti di lavoro, insieme con il varo della piena trasparenza delle effettive condizioni dell’economia. Occorrono segnali forti e convincenti. Deve essere chiaro che le autorità hanno il pieno controllo della situazione.
Ma ciò non basta. L’Europa non è affatto terza. Non è vero che il Trattato CE impedisce di intervenire. Se ne legga l’art.100 relativo all’assistenza finanziaria che può essere decisa dal Consiglio per uno Stato che sia seriamente minacciato da circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo. Se ne può dare una interpretazione non formalistica. In effetti, una cosa è il non voler dare dei segnali che favoriscano il moral hazard degli Stati e rallentino i necessari aggiustamenti della finanza pubblica, altra cosa sarebbe il non intervenire in attesa che la cura autonoma del paese interessato dia i suoi frutti.
Si potrebbe verificare la classica riuscita dell’ operazione chirurgica, con il paziente che fa la nota fine, se non si apprestano le necessarie terapie di emergenza. Si assumano, allora, tutte le credibili (e dure) condizionalità dell’intervento, ma l’assistenza finanziaria, nelle forme tecniche possibili, va erogata subito.
Principiis obsta. E, purtroppo, il tempo si è fatto breve. Si potrebbe, anzi, dire che il mancato ricorso alla previsione dell’art.100 sarebbe quasi una omissione, potendosi configurare, per gli intrecci di questa vicenda, per gli effetti di contagio e i potenziali rischi sistemici, un obbligo di avvalersi di una facoltà messa a disposizione del Trattato. Un comportamento a la Bundesbank oggi sarebbe un boomerang. Non per un’indulgenza alla Grecia, ma per il bene comune.
Il nuovo governo greco ha ereditato una situazione difficilissima con la finanza pubblica fuori dai parametri e fuori controllo – il rapporto deficit/ pil , in particolare, a circa il 13 per cento – forte evasione fiscale, squilibri nella previdenza e nella sanità, disfunzioni gravi nella pubblica amministrazione, problemi di regolazione degli stipendi, etc. A condimento di tutto ciò – e che condimento – ci sarebbe, oltre alle voci su richieste di prestiti alla Cina, la non veridicità di alcune statistiche ufficiali, un bis in idem rispetto a quando furono presentati i conti alterati proprio per l’ammissione all’euro.
Questa miscela di irrisolti nodi strutturali e di forzata rappresentazione dei principali indicatori economici e di finanza pubblica potrebbe costituire il classico brodo di coltura di dubbi sulla capacità dello Stato di onorare il suo debito. Il peggio che può accadere. Ne sappiamo, anche noi, qualcosa se riandiamo al 1992. Di qui il rischioso allargarsi, in questi giorni oltre i 400 punti base, dei differenziali dei rendimenti dei titoli pubblici greci e quelli dei bund tedeschi. Un vero segnale di pericolo. Ma di qui anche il verosimile intervento della speculazione che ha pensato di utilizzare la Grecia – questa volta come cavallo di Troia non ideato da un Ulisse ellenico – per tentare attacchi pure ad altri paesi dell’Eurozona in non floride condizioni, come Portogallo, Irlanda e la stessa Spagna: in definitiva, alla moneta unica direttamente. Ecco perché il limitato peso dell’economia greca non deve certo indurre l’Unione ad abbassare la guardia: tutt’altro. “ Graecia capta”, in questo caso, non rivincerebbe, ma sarebbe la via per altre scorribande. Perderebbe l’Europa.
Che fare? Molto, ovviamente, spetta al governo ellenico lungo la strada che ha iniziato a percorrere, sia pure in modo non del tutto soddisfacente, promuovendo una drastica operazione di riequilibrio della finanza pubblica, una serissima strategia anti-evasione fiscale, l’avvio di riforme di struttura, in particolare nella previdenza,nella pubblica amministrazione, nei mercati dei beni e servizi, nei rapporti di lavoro, insieme con il varo della piena trasparenza delle effettive condizioni dell’economia. Occorrono segnali forti e convincenti. Deve essere chiaro che le autorità hanno il pieno controllo della situazione.
Ma ciò non basta. L’Europa non è affatto terza. Non è vero che il Trattato CE impedisce di intervenire. Se ne legga l’art.100 relativo all’assistenza finanziaria che può essere decisa dal Consiglio per uno Stato che sia seriamente minacciato da circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo. Se ne può dare una interpretazione non formalistica. In effetti, una cosa è il non voler dare dei segnali che favoriscano il moral hazard degli Stati e rallentino i necessari aggiustamenti della finanza pubblica, altra cosa sarebbe il non intervenire in attesa che la cura autonoma del paese interessato dia i suoi frutti.
Si potrebbe verificare la classica riuscita dell’ operazione chirurgica, con il paziente che fa la nota fine, se non si apprestano le necessarie terapie di emergenza. Si assumano, allora, tutte le credibili (e dure) condizionalità dell’intervento, ma l’assistenza finanziaria, nelle forme tecniche possibili, va erogata subito.
Principiis obsta. E, purtroppo, il tempo si è fatto breve. Si potrebbe, anzi, dire che il mancato ricorso alla previsione dell’art.100 sarebbe quasi una omissione, potendosi configurare, per gli intrecci di questa vicenda, per gli effetti di contagio e i potenziali rischi sistemici, un obbligo di avvalersi di una facoltà messa a disposizione del Trattato. Un comportamento a la Bundesbank oggi sarebbe un boomerang. Non per un’indulgenza alla Grecia, ma per il bene comune.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.