Dopo berlusconi
Il bipolarismo perirà. Il berlusconismo no
La politica ha abdicato dall'essere faro e guida, e si regge solo su un patologico viagra elettorale: il premio di maggioranzadi Davide Giacalone - 30 agosto 2013
Che nel dopo Silvio Berlusconi (quando arriverà) non ci sarà più il berlusconismo è affermazione piuttosto scontata, ma non necessariamente fondata. Anzi. Che dopo e senza Berlusconi non ci sarà più il centro destra è anche questa una sensazione assai diffusa, ma ancor meno fondata. Entrambe queste affermazioni, talmente ripetute da essere assorbite come verità, mettono in luce l’incapacità di comprendere non solo la storia degli ultimi diciannove anni (suggestiva l’idea del “ventennio”, ma non è ancora scoccato), ma tutta intera la storia della Repubblica italiana. Forse anche dell’Italia, dalla sua unità in poi.
Circa il “berlusconismo”, vorrei fare osservare che il gollismo, in Francia, giunse al suo pieno compimento con l’arrivo all’Eliseo di François Mitterrand, che di Charles de Gaulle fu originario e tenace oppositore. Solo che il gollismo fu (fra le altre cose) la riaffermazione del potere della politica sulle forze dell’economia e degli equilibri internazionali. Mentre da noi, dopo la distruzione della prima Repubblica e il colpo allo Stato per via giudiziaria, assistiamo a una continua e umiliante resa della politica innanzi a quale che sia conflitto d’idee e interessi. Per il resto, scusate, ma nei trionfali annunci relativi alla “fine dei precari” e alla “cancellazione dell’Imu”, vedo l’apoteosi di un certo berlusconismo, inteso come dominio della parola sui fatti e la realtà. Insomma, Enrico Letta è un buon candidato alla sopravvivenza di quello stile, sebbene senza i colori sgargianti e fantasiosi, nonché privo di leadership. Sia naturale che indotta. Matteo Renzi, invece, è un candidato più simile allo schema francese, se non fosse che per arrivare a capo della sinistra (dove Mitterrand si trovò di già) gli stanno progressivamente imponendo di negare sé stesso. Insomma: il berlusconismo minaccia d’essere pianta dalle radici diffuse.
Circa la sorte del centro destra, mi preme ricordare che l’azzardo e la genialità di Berlusconi (quello originale e originario) consisté nell’occupare uno spazio che s’era vuotato di rappresentanza. Non inventò lo spazio, lo occupò. Con non previsto (se non da lui stesso) successo. Ciò per dire che l’elettorato di centro destra preesisteva a Forza Italia e sopravvivrà alla sua eventuale scomparsa. Così come si era incarnato nella Democrazia cristiana e nei suoi alleati laici, sopravvivendo alla loro soppressione cruenta. Mai dimenticare che quei partiti riscossero, nel 1992, la maggioranza assoluta dei consensi, e che nel 1994 non persero le elezioni, ma furono cancellati dalla scheda. Quanti ancora ripetono stupidaggini sul “partito personale” o “di plastica” sono gli arcieri miopi di una colpevole superficialità, che pretende di giustificarsi con una superiorità etica che occulta l’immoralità profondissima della storia politica nella quale crebbero, si nutrirono e ancora pascolano.
Quel che non sopravviverà è il bipolarismo che non nacque nel 1994, ma nel 1996. Ovvero quando la sinistra si presentò alle urne totalmente berlusconizzata. E non sopravviverà perché, in diciassette anni, non ha saputo darsi altro contenuto che non fosse il berlusconismo e la sua versione di supporto e accompagnamento: l’antiberlusconismo. Vedo che, da una parte e dall’altra, chi ancora crede in quello schema prova disperatamente a fermare la legislatura dei rinvii e delle attese, molto beckettiana, ma non riuscendo a porre seriamente il tema delle riforme costituzionali, non trovando convergenze per consolidare quel modello, s’attacca all’unica cosa che ancora fa da collante: il premio di maggioranza. Una specie di viagra elettorale, da usarsi con bambole gonfiabili.
Tutto questo, però, è uno sfinente esercizio d’onanismo politicista, perché nel mentre la politica ha rinunciato a esercitare influenza sulla realtà quest’ultima ci ha condotto in un mondo migliore, in cui i sistemi-paese si confrontano sul terreno della produttività e della competitività. Solo che quelli fra noi che ci provano devono fare i conti con un credito troppo caro (quando c’è), un fisco troppo esoso e uno Stato inesistente in quel che serve (la giustizia) e burocraticamente defatigante e costoso in quel che non serve.
Quando parlare di come cambiare questo Stato non sarà parlare al muro, quando si aprirà un dibattito serio sulle idee che si hanno del futuro e dell’identità dell’Italia, e non del passato e del trasformismo di quattro politicanti sopravvissuti, fatemi un fischio. Fino a quel momento rivendico il diritto d’annoiarmi e assopirmi.
www.davidegiacalone.it
@DavideGiac
Pubblicato da Libero
Circa il “berlusconismo”, vorrei fare osservare che il gollismo, in Francia, giunse al suo pieno compimento con l’arrivo all’Eliseo di François Mitterrand, che di Charles de Gaulle fu originario e tenace oppositore. Solo che il gollismo fu (fra le altre cose) la riaffermazione del potere della politica sulle forze dell’economia e degli equilibri internazionali. Mentre da noi, dopo la distruzione della prima Repubblica e il colpo allo Stato per via giudiziaria, assistiamo a una continua e umiliante resa della politica innanzi a quale che sia conflitto d’idee e interessi. Per il resto, scusate, ma nei trionfali annunci relativi alla “fine dei precari” e alla “cancellazione dell’Imu”, vedo l’apoteosi di un certo berlusconismo, inteso come dominio della parola sui fatti e la realtà. Insomma, Enrico Letta è un buon candidato alla sopravvivenza di quello stile, sebbene senza i colori sgargianti e fantasiosi, nonché privo di leadership. Sia naturale che indotta. Matteo Renzi, invece, è un candidato più simile allo schema francese, se non fosse che per arrivare a capo della sinistra (dove Mitterrand si trovò di già) gli stanno progressivamente imponendo di negare sé stesso. Insomma: il berlusconismo minaccia d’essere pianta dalle radici diffuse.
Circa la sorte del centro destra, mi preme ricordare che l’azzardo e la genialità di Berlusconi (quello originale e originario) consisté nell’occupare uno spazio che s’era vuotato di rappresentanza. Non inventò lo spazio, lo occupò. Con non previsto (se non da lui stesso) successo. Ciò per dire che l’elettorato di centro destra preesisteva a Forza Italia e sopravvivrà alla sua eventuale scomparsa. Così come si era incarnato nella Democrazia cristiana e nei suoi alleati laici, sopravvivendo alla loro soppressione cruenta. Mai dimenticare che quei partiti riscossero, nel 1992, la maggioranza assoluta dei consensi, e che nel 1994 non persero le elezioni, ma furono cancellati dalla scheda. Quanti ancora ripetono stupidaggini sul “partito personale” o “di plastica” sono gli arcieri miopi di una colpevole superficialità, che pretende di giustificarsi con una superiorità etica che occulta l’immoralità profondissima della storia politica nella quale crebbero, si nutrirono e ancora pascolano.
Quel che non sopravviverà è il bipolarismo che non nacque nel 1994, ma nel 1996. Ovvero quando la sinistra si presentò alle urne totalmente berlusconizzata. E non sopravviverà perché, in diciassette anni, non ha saputo darsi altro contenuto che non fosse il berlusconismo e la sua versione di supporto e accompagnamento: l’antiberlusconismo. Vedo che, da una parte e dall’altra, chi ancora crede in quello schema prova disperatamente a fermare la legislatura dei rinvii e delle attese, molto beckettiana, ma non riuscendo a porre seriamente il tema delle riforme costituzionali, non trovando convergenze per consolidare quel modello, s’attacca all’unica cosa che ancora fa da collante: il premio di maggioranza. Una specie di viagra elettorale, da usarsi con bambole gonfiabili.
Tutto questo, però, è uno sfinente esercizio d’onanismo politicista, perché nel mentre la politica ha rinunciato a esercitare influenza sulla realtà quest’ultima ci ha condotto in un mondo migliore, in cui i sistemi-paese si confrontano sul terreno della produttività e della competitività. Solo che quelli fra noi che ci provano devono fare i conti con un credito troppo caro (quando c’è), un fisco troppo esoso e uno Stato inesistente in quel che serve (la giustizia) e burocraticamente defatigante e costoso in quel che non serve.
Quando parlare di come cambiare questo Stato non sarà parlare al muro, quando si aprirà un dibattito serio sulle idee che si hanno del futuro e dell’identità dell’Italia, e non del passato e del trasformismo di quattro politicanti sopravvissuti, fatemi un fischio. Fino a quel momento rivendico il diritto d’annoiarmi e assopirmi.
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