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Idee. Non facce o allenaze

da un grilliano “vaffa” dovranno far la fatica di cancellare lustri di tempo perso, tornando a piegare la testa sulle cose che contano.

di Davide Giacalone - 25 maggio 2012

Non hanno capito, non ce la fanno. I gruppi dirigenti delle due forze politiche più grosse, dei pretesi protagonisti di un bipolarismo sommando i cui poli non si raggiunge la metà dell’elettorato, sono lì che s’interrogano su due questioni: a. le alleanze; b. il capo, la faccia da proporre agli italiani. Sono ancora affetti da berlusconismo, nel mentre il detentore del copyright già pensa a forme commerciali politicamente più aggiornate, come il franchising movimentista che a Parma ha umiliato gli uni e gli altri (nella stessa città, però, già s’è aperta la diatriba fra franchisor, l’affiliante, e franchisee, l’affiliato, circa la titolarità della vittoria). Non si rendono conto, quei gruppi dirigenti, che tali rovelli appassionano solo loro. Coalizzarsi per vincere, senza far grande attenzione a chi si arruola, è la formula con cui, nel 1994, Silvio Berlusconi ribaltò l’annunciata vittoria della sinistra. Il suo merito innegabile. Da allora è divenuta dottrina, capace di gramsciano egemonismo. Ne è ancora esponente Pier Luigi Bersani, che senza il mitico ufficio elettorale del Pci s’è ridotto a utilizzare gli istogrammi prelevati dall’editoria borghese, commettendo l’aggiuntivo errore di crederci, o immolandosi nel far finta di crederci. Ciò lo porta a dire che la sinistra ha la vittoria in tasca, mancando d’osservare che quella vittoria passa per la sconfitta del suo partito. Vuol presentarsi alle elezioni con la devastante foto di Vasto? Faccia pure, confermi che il berlusconismo è entrato nelle ossa della sinistra, ma non dominerà né chi gli porta via i sindaci né chi trionfa sull’annientamento della sinistra. Vale la stessa cosa per chi cerca un capo vincente, un leader attraente, una faccia spendibile. Se cerchi le facce trovi le ghigne. Se pensi sia un problema di faccia te ne ritrovi molteplici che dietro lo sguardo accattivante e il sorriso ammaliante non hanno altro che ambizione inquietante e vuoto dilagante. La sconfitta elettorale del centro destra, la brutale piallatura, deriva dall’incapacità politica, dal tradimento di quanto annunciato, dal naufragio nel grottesco, dall’avere esposto una classe dirigente che era una classe differenziale. Certo che devono dimettersi, ma devono anche capire. E sembra che la seconda cosa risulti loro più ostica della prima. Se non vogliono tutti essere travolti da un grilliano “vaffa” dovranno far la fatica di cancellare lustri di tempo perso, tornando a piegare la testa sulle cose che contano. Destra e sinistra si chiedano: perché si coprì di ludibrio chi considerava l’Italia ben posizionata, dopo la crisi del 2009, dato che il bilancio pubblico era in avanzo primario (ovvero al netto degli interessi sul debito pubblico, che dipendono dalla congiuntura) e ci si complimenta oggi con chi annuncia, per il 2013, un avanzo strutturale (vale a dire depurato dagli interventi congiunturali) e la primazia italica? Sono vere entrambe le cose, ma riflettono un’idea tutta bilancistica e parametrale sia dell’economia che dell’Europa. In realtà l’Italia perde competitività da più di quindici anni e continuiamo a sguazzare nella recessione, questi sono i problemi. Chi, da destra, pensa che il riscatto passi per la cacciata di Monti, artefice di manovre a sfondo fiscale, ricordi che gli strumenti che il governo usa sono stati approntati dagli stessi che oggi se ne vergognano. Chi, da sinistra, inneggia al ritrovato rigore, ma chiede sviluppo e occupazione, sappia di star vaneggiando, perché le rigidità del mondo del lavoro vanno in direzione opposta. In queste condizioni possono allearsi a piacimento e farsi capeggiare da chi vince concorsi di bellezza, saranno comunque tritati. Le soluzioni sono: dismissione di patrimonio pubblico, abbattimento del debito, liberazione del mercato e diminuzione delle tasse. L’opposto di quel che praticano, separatamente assieme. Occorre cambiare il sistema elettorale, adottando un maggioritario che non contenga l’obbrobrio del premio di maggioranza, e occorre cambiare la Costituzione, rendendo effettivo il potere del governo, frutto di libere elezioni, chiudendo l’interminabile stagione della Repubblica impotente. Se hanno la forza di proporlo gli alleati verranno, e chi non ci sta vada pure al suo destino. Se hanno paura, se temono più le spaccature delle sepolture, si passi per l’elezione di una Costituente, subito, designando, la prossima primavera, un capo dello Stato che abbia la dignità di dimettersi non appena quella (entro un anno) avrà terminato i lavori e la nuova Costituzione sarà entrata in vigore. Troppo? Facile, quasi certo, ma anche un solo dito in meno e le facce, vecchie e nuove, come le alleanze, passate e future, le troverete assieme. Nella palta.

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