L’Italia a due velocità tra politici e impolitici
I valori e la Costituzione inviolabile
Le riforme per dare nuovo ossigeno e ancora più forza ai valori della Carta fondamentaledi Elio Di Caprio - 17 maggio 2006
Dopo la vittoria del centrosinistra alle ultime elezioni ritorna la retorica della “costituzione intoccabile” – ne ha parlato anche Romano Prodi in occasione delle celebrazioni del 25 aprile –, come se non fosse stata già abbondantemente toccata e male, con le due riforme unilaterali messe in campo prima dal centrosinistra e poi dal centrodestra.
Ammesso che il prossimo appuntamento referendario riesca ad affondare la riforma del centrodestra, bisogna pur sempre fare i conti con gli effetti negativi della riforma del titolo V della Costituzione, tuttora in vigore, approvata in tutta fretta dal centrosinistra l"8 marzo 2001 agli sgoccioli della legislatura, con l"intento scoperto di attrarre le frange federaliste che, si pensava, avrebbero potuto essere determinanti per una riconferma della coalizione di governo. Quella riforma “federalista” sottoposta a referendum confermativo l"8 ottobre dello stesso anno, è stata un attentato al buon senso più che alla Costituzione – ora lo riconosce lo stesso centrosinistra – avendo moltiplicato a dismisura il contenzioso sulle competenze tra Stato e Regioni davanti alla Consulta nei settori più svariati, dal restauro degli edifici storici, agli asili nido, alle infrastrutture energetiche. Il referendum sulla riforma federalista del centrodestra, certamente di carattere più vasto della precedente, va via via assumendo un carattere puramente elettoralistico, quasi si trattasse di una gara surreale a chi ha più o meno violato l"attuale Costituzione, se la riforma precedente o quella attuale. Ambedue scontano il peccato originale di essere state imposte dalla maggioranza governativa del momento, senza ricercare alcun accordo con l"opposizione.
Ma a prescindere dal destino della riforma costituzionale del centrodestra, non si possono lasciare le cose come stanno, bisogna per forza intervenire: lo sanno tutti, a destra come a sinistra.
Ora è il centro-sinistra a trincerarsi nell"intoccabilità della costituzione e dei suoi articoli fondamentali relativi alla Repubblica una e indivisibile ed all"indipendenza e autonomia della magistratura. Ma dimentica che fu proprio il governo di centrosinistra di Dini del 1995, con Scalfaro capo dello Stato, a consentire alla Lega secessionista il primo vulnus simbolico alla Costituzione attraverso la convocazione di un “Parlamento padano” alternativo a quello nazionale. E come la mettiamo con il dogma dell"indipendenza della magistratura se persino il Presidente dei Ds, Piero Fassino, per far digerire la candidatura di D"Alema alla carica di Presidente della Repubblica, ha nelle scorse settimane offerto all"opposizione un accordo di programma che ambiva a precludere ogni cortocircuito tra politica e magistratura? Non è un"ammissione indiretta che esiste il problema di regolare in qualche modo la discrezionalità dell"intervento giudiziario?
Se volgiamo lo sguardo oltre le polemiche contingenti tra i due poli, dobbiamo tener conto che la Costituzione italiana, mai riformata nonostante le tante commissioni bicamerali che si sono via via succedute, era già stata criticata e discussa dai lontani anni "60, non certo per i suoi principii generali da tutti accettati, quanto per gli evidenti difetti di funzionamento del sistema politico da essa regolato. Gli esecutivi erano troppo deboli e i governi troppo brevi, la partitocrazia era diventata un mostro tentacolare, i processi legislativi erano rallentati dal doppio esame di Camera e Senato, eletti con i medesimi requisiti ed aventi le medesime funzioni.
Poco è cambiato da allora almeno per quanto riguarda il percorso lungo e farraginoso di leggi importanti che giungono in dirittura d"arrivo solo a fine legislatura, come se i cinque anni precedenti non fossero mai sufficienti alle maggioranze parlamentari ad elaborare e accordarsi sui provvedimenti da approvare.
Non riuscendo le forze politiche a trovare mai un accordo su cosa e come riformare, la forza d"inerzia è stata interrotta solo dalla scossa della riforma elettorale maggioritaria che, se non altro, ha determinato una maggiore stabilità delle coalizioni di governo. Ma, a dimostrazione che le sole riforme elettorali non bastano a modernizzare un sistema politico, ci troviamo ora con un ibrido proporzionale-maggioritario che non dà stabilità all"esecutivo e in più ha restituito fiato e potere a quella partitocrazia che si tentava di ridimensionare da più di 50 anni.
La realtà è che ci stiamo avviando ad essere un Paese a due velocità, non solo per ciò che riguarda il divario crescente nei redditi e nelle aspettative di nord e sud, ma per la sempre più visibile divaricazione tra un sistema politico che non sa decidere e si autoalimenta nei suoi giochi di potere e una collettività sempre più distante e scettica che la politica riesca a risolvere i suoi problemi.
Non possiamo dunque rinchiuderci nell"intoccabilità del santuario costituzionale per non andare avanti, come se non esistesse un effettivo problema di modernizzazione del nostro sistema politico di rappresentanza.
I “valori della Costituzione” a questo punto si difendono meglio con una riforma coraggiosa e condivisa che non con i soprassalti di natura conservatrice a difesa dell"esistente che non funziona.
Ammesso che il prossimo appuntamento referendario riesca ad affondare la riforma del centrodestra, bisogna pur sempre fare i conti con gli effetti negativi della riforma del titolo V della Costituzione, tuttora in vigore, approvata in tutta fretta dal centrosinistra l"8 marzo 2001 agli sgoccioli della legislatura, con l"intento scoperto di attrarre le frange federaliste che, si pensava, avrebbero potuto essere determinanti per una riconferma della coalizione di governo. Quella riforma “federalista” sottoposta a referendum confermativo l"8 ottobre dello stesso anno, è stata un attentato al buon senso più che alla Costituzione – ora lo riconosce lo stesso centrosinistra – avendo moltiplicato a dismisura il contenzioso sulle competenze tra Stato e Regioni davanti alla Consulta nei settori più svariati, dal restauro degli edifici storici, agli asili nido, alle infrastrutture energetiche. Il referendum sulla riforma federalista del centrodestra, certamente di carattere più vasto della precedente, va via via assumendo un carattere puramente elettoralistico, quasi si trattasse di una gara surreale a chi ha più o meno violato l"attuale Costituzione, se la riforma precedente o quella attuale. Ambedue scontano il peccato originale di essere state imposte dalla maggioranza governativa del momento, senza ricercare alcun accordo con l"opposizione.
Ma a prescindere dal destino della riforma costituzionale del centrodestra, non si possono lasciare le cose come stanno, bisogna per forza intervenire: lo sanno tutti, a destra come a sinistra.
Ora è il centro-sinistra a trincerarsi nell"intoccabilità della costituzione e dei suoi articoli fondamentali relativi alla Repubblica una e indivisibile ed all"indipendenza e autonomia della magistratura. Ma dimentica che fu proprio il governo di centrosinistra di Dini del 1995, con Scalfaro capo dello Stato, a consentire alla Lega secessionista il primo vulnus simbolico alla Costituzione attraverso la convocazione di un “Parlamento padano” alternativo a quello nazionale. E come la mettiamo con il dogma dell"indipendenza della magistratura se persino il Presidente dei Ds, Piero Fassino, per far digerire la candidatura di D"Alema alla carica di Presidente della Repubblica, ha nelle scorse settimane offerto all"opposizione un accordo di programma che ambiva a precludere ogni cortocircuito tra politica e magistratura? Non è un"ammissione indiretta che esiste il problema di regolare in qualche modo la discrezionalità dell"intervento giudiziario?
Se volgiamo lo sguardo oltre le polemiche contingenti tra i due poli, dobbiamo tener conto che la Costituzione italiana, mai riformata nonostante le tante commissioni bicamerali che si sono via via succedute, era già stata criticata e discussa dai lontani anni "60, non certo per i suoi principii generali da tutti accettati, quanto per gli evidenti difetti di funzionamento del sistema politico da essa regolato. Gli esecutivi erano troppo deboli e i governi troppo brevi, la partitocrazia era diventata un mostro tentacolare, i processi legislativi erano rallentati dal doppio esame di Camera e Senato, eletti con i medesimi requisiti ed aventi le medesime funzioni.
Poco è cambiato da allora almeno per quanto riguarda il percorso lungo e farraginoso di leggi importanti che giungono in dirittura d"arrivo solo a fine legislatura, come se i cinque anni precedenti non fossero mai sufficienti alle maggioranze parlamentari ad elaborare e accordarsi sui provvedimenti da approvare.
Non riuscendo le forze politiche a trovare mai un accordo su cosa e come riformare, la forza d"inerzia è stata interrotta solo dalla scossa della riforma elettorale maggioritaria che, se non altro, ha determinato una maggiore stabilità delle coalizioni di governo. Ma, a dimostrazione che le sole riforme elettorali non bastano a modernizzare un sistema politico, ci troviamo ora con un ibrido proporzionale-maggioritario che non dà stabilità all"esecutivo e in più ha restituito fiato e potere a quella partitocrazia che si tentava di ridimensionare da più di 50 anni.
La realtà è che ci stiamo avviando ad essere un Paese a due velocità, non solo per ciò che riguarda il divario crescente nei redditi e nelle aspettative di nord e sud, ma per la sempre più visibile divaricazione tra un sistema politico che non sa decidere e si autoalimenta nei suoi giochi di potere e una collettività sempre più distante e scettica che la politica riesca a risolvere i suoi problemi.
Non possiamo dunque rinchiuderci nell"intoccabilità del santuario costituzionale per non andare avanti, come se non esistesse un effettivo problema di modernizzazione del nostro sistema politico di rappresentanza.
I “valori della Costituzione” a questo punto si difendono meglio con una riforma coraggiosa e condivisa che non con i soprassalti di natura conservatrice a difesa dell"esistente che non funziona.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.