Le elezioni necessarie che nessuno puo' (o vuole) farle
I pasticci di Palazzo Grazioli
Come superare i danni prodotti dal "porcellum"?di Elio Di Caprio - 24 ottobre 2011
Le elezioni sarebbero necessarie e auspicabili, lo dicono anche i sondaggi, e se non si fanno è perché con questa legge elettorale elaborata da Calderoli & company a palazzo Grazioli si può cadere in una situazione peggiore della precedente.
Ne deriva uno stallo sempre più preoccupante. E’ uno stallo politico speculare allo stallo economico, anche se quest’ultimo è ben più pericoloso per il nostro futuro.
Non ci sono più euro in cassa, le promesse (elettorali) non possono essere mantenute e sembra che debba farsi marcia indietro persino sull’abolizione dell’ICI sulla prima casa o mettere in conto una tassa patrimoniale progressiva per il futuro prossimo. Se basta. Le riforme a costo zero sono impossibili e non resta che ricorrere alle solite litanie: più liberalizzazioni, più privatizzazioni, tagliare la spesa pubblica improduttiva (quale nessuno lo dice), concentrare le poche risorse rimaste su ricerca e sviluppo… Ma chi ci crede più? E’ l’ultimo inganno contro noi stessi pensare che si possa uscire dalla lunga emergenza del debito pubblico in questo modo quando nessuna forza politica sa di potersi impegnare in riforme (ma la parola sarebbe troppo grossa, meglio parlare di provvedimenti) impopolari in prossimità di elezioni che comunque prima o poi andrebbero fatte.
A scadenza ravvicinata dovremo trovare 35 miliardi di euro al mese per servire il nostro debito pubblico e non sappiamo a quale maggior onere andremo incontro in futuro visto che siamo in concorrenza sul mercato dei titoli di Stato con le economie sfibrate di altri paesi europei anch’esse oberate da un crescente debito pubblico per far fronte alla crisi finanziaria ancora in corso.
Non è un quadro rassicurante per un Paese come l’Italia che ha fatto da battistrada da 30 anni alla spesa pubblica in deficit non per investimenti produttivi o in infrastrutture secondo i canoni del “deficit spending” di memoria keinesiana, ma per mantenere le rendite e un tenore di vita complessivo che da anni non potevamo più permetterci. Non ci è rimasta che la speranza che l’Europa ci aiuti nel suo interesse, per non mettere a repentaglio la stessa moneta unica visto che neppure le pacche sulle spalle di Belusconi agli altri leaders europei sono riusciti a convincerli che la nostra situazione è addirittura più solida degli altri paesi perché non abbiamo un debito privato enorme come loro e abbiamo salvato insieme le banche e la coesione sociale.
I mercati non ci hanno creduto, il famoso spread con i bund tedeschi non è stato frenato, siamo diventati l’anello più debole dell’Europa, un Paese che non ce la fa da solo e quasi dovrebbe ringraziare per essere commissariato o per essere sotto sorveglianza speciale. Per aggiungere difficoltà a difficoltà l’Europa chiamata in aiuto è messa a sua volta sotto schiaffo dall’Amministrazione Obama - quella stessa messa sotto processo negli ultimi tre anni proprio dagli Europei come il focolaio principale da cui si è diramata la crisi finanziaria globale – perché non fa abbastanza per uscire dalla crisi.
Siamo ben piccoli in un contesto così complicato e interdipendente tanto che sembrerebbe persino inutile o riduttivo far dipendere il nostro futuro dall’ennesima ordalia elettorale tra berlusconiani (senza Berlusconi) e antiberlusconiani divisi su tutto al di là dell’individuazione del nemico principale nella persona del Cavaliere.
Ci auguriamo che le prossime elezioni siano cosa diversa ma certo i segnali non sono incoraggianti. Ai mercati interessa poco del processo Mills o del processo Mediatrade, di Ruby ruibacuori, o dei Bisignani o dei Lavitola, ma a noi interessa lo stallo politico oltre che economico in cui ci siamo cacciati a cui avrebbe potuto porre parziale rimedio solo un governo di emergenza e di solidarietà nazionale che smentisse il falso bipolarismo elettorale responsabile delle incertezze che contribuiscono a commissariare ulteriormente l’Italia commissariata.
Qualcosa bisogna pur fare per uscire da una situazione politica ed economica sempre più deteriorata. Bastano le elezioni tra sei mesi o tra un anno? Dovrebbe però essere chiaro a tutti che le elezioni non risolvono nulla con questa legge elettorale : avremmo come risultato una divisione ancor più codificata delle fazioni in campo come è successo con il governo Prodi oppure un nuovo governo blindato a cinque anni magari non più assediato dalla Magistratura e premiato solo perchè maggiore minoranza nel Paese A questo punto chi farebbe mai le famose riforme, ammesso che all’interno dei Poli si raggiungesse un accordo? E’ la legge elettorale il vero problema, quella legge che se non cambiata può produrre ulteriori inganni collettivi che, una volta smascherati, sono destinati ad esasperare ancor più o a “indignare” il clima generale. Ed allora perché riandare alle prossime elezioni con una legge così? Lo stallo politico attuale non è figlio di nessuno, dipende principalmente ( ma no solo) da quella legge che ha svilito nei fatti ogni spirito costituzionale nonostante l’ossequio formale continuamente richiamato alle norme di una Carta superata che andrebbe riformata per questa ed altre ragioni. Il vulnus principale all’espressione della volontà popolare non è solo l’abolizione secca del sistema delle preferenze e non a caso i partiti di governo cercano ora di tirare la volata almeno ad una modifica che le reintroduca per evitare il referendum.
Ma non è così. Si dimenticano le altre disposizioni o prassi che l’hanno accompagnata, dall’indicazione (irreversibile) sulla scheda del nome del Presidente del Consiglio al premio di maggioranza che premia la minoranza più forte. La legge porcata non a caso così apertamente chiamata dallo statista Calderoli come ulteriore sberleffo all’opinione pubblica, ha determinato il contrario della stabilità, non ha impedito la nascita di mille correnti all’interno dei Poli, non ha certo reso facile la permanenza di una stessa maggioranza nel corso di cinque anni di legislatura, ha emarginato la presenza in Parlamento di significative forze politiche che non hanno più canali di rappresentanza, impedisce qualunque elasticità di governo con un Presidente del Consiglio inamovibile eletto dal popolo che non ha neppure il potere di cambiare un Ministro. Bel capolavoro, si potrebbe dire, con l’acquiescenza dei supremi garanti della Costituzione!
Ma se il bipolarismo (all’italiana) non crea stabilità e non è neppure una garanzia conoscere in anticipo chi ci potrà governare e con quali alleati e con quale programma (di carta), se basta uno Scilipoti qualsiasi eletto da una parte e passato all’altra a superare qualunque volontà espressa dal parlamento dei nominati, se il bipolarismo ha semplificato solo in apparenza e non riesce neppure in tempi di crisi epocale come l’attuale a presentare all’opinione pubblica un blocco compatto ed omogeneo, non è meglio accordarsi dopo le elezioni doppiando il bluff che c’è più democrazia quando si sanno le cose in anticipo? Non sarebbe questo un ritorno al passato- anche le esperienze più disastrose insegnano qualcosa- ma semplicemente una presa d’atto che questo bipolarismo è fallito proprio nel momento in cui si è preteso di renderlo plebiscitario con una legge elettorale addomesticata.
Lo stallo e l’impotenza economica preoccupano di più della legge elettorale, è vero, siamo sotto osservazione speciale e i mercati stanno a guardare pronti a ridurre o allargare lo spread dell’Italia con i bund tedeschi. Ma è possibile che con questo bipolarismo e con questa legge elettorale ci siamo legate le mani da noi stessi e non sappiamo dire altro che non c’è un euro in cassa per fare alcunché?
Non ci sono più euro in cassa, le promesse (elettorali) non possono essere mantenute e sembra che debba farsi marcia indietro persino sull’abolizione dell’ICI sulla prima casa o mettere in conto una tassa patrimoniale progressiva per il futuro prossimo. Se basta. Le riforme a costo zero sono impossibili e non resta che ricorrere alle solite litanie: più liberalizzazioni, più privatizzazioni, tagliare la spesa pubblica improduttiva (quale nessuno lo dice), concentrare le poche risorse rimaste su ricerca e sviluppo… Ma chi ci crede più? E’ l’ultimo inganno contro noi stessi pensare che si possa uscire dalla lunga emergenza del debito pubblico in questo modo quando nessuna forza politica sa di potersi impegnare in riforme (ma la parola sarebbe troppo grossa, meglio parlare di provvedimenti) impopolari in prossimità di elezioni che comunque prima o poi andrebbero fatte.
A scadenza ravvicinata dovremo trovare 35 miliardi di euro al mese per servire il nostro debito pubblico e non sappiamo a quale maggior onere andremo incontro in futuro visto che siamo in concorrenza sul mercato dei titoli di Stato con le economie sfibrate di altri paesi europei anch’esse oberate da un crescente debito pubblico per far fronte alla crisi finanziaria ancora in corso.
Non è un quadro rassicurante per un Paese come l’Italia che ha fatto da battistrada da 30 anni alla spesa pubblica in deficit non per investimenti produttivi o in infrastrutture secondo i canoni del “deficit spending” di memoria keinesiana, ma per mantenere le rendite e un tenore di vita complessivo che da anni non potevamo più permetterci. Non ci è rimasta che la speranza che l’Europa ci aiuti nel suo interesse, per non mettere a repentaglio la stessa moneta unica visto che neppure le pacche sulle spalle di Belusconi agli altri leaders europei sono riusciti a convincerli che la nostra situazione è addirittura più solida degli altri paesi perché non abbiamo un debito privato enorme come loro e abbiamo salvato insieme le banche e la coesione sociale.
I mercati non ci hanno creduto, il famoso spread con i bund tedeschi non è stato frenato, siamo diventati l’anello più debole dell’Europa, un Paese che non ce la fa da solo e quasi dovrebbe ringraziare per essere commissariato o per essere sotto sorveglianza speciale. Per aggiungere difficoltà a difficoltà l’Europa chiamata in aiuto è messa a sua volta sotto schiaffo dall’Amministrazione Obama - quella stessa messa sotto processo negli ultimi tre anni proprio dagli Europei come il focolaio principale da cui si è diramata la crisi finanziaria globale – perché non fa abbastanza per uscire dalla crisi.
Siamo ben piccoli in un contesto così complicato e interdipendente tanto che sembrerebbe persino inutile o riduttivo far dipendere il nostro futuro dall’ennesima ordalia elettorale tra berlusconiani (senza Berlusconi) e antiberlusconiani divisi su tutto al di là dell’individuazione del nemico principale nella persona del Cavaliere.
Ci auguriamo che le prossime elezioni siano cosa diversa ma certo i segnali non sono incoraggianti. Ai mercati interessa poco del processo Mills o del processo Mediatrade, di Ruby ruibacuori, o dei Bisignani o dei Lavitola, ma a noi interessa lo stallo politico oltre che economico in cui ci siamo cacciati a cui avrebbe potuto porre parziale rimedio solo un governo di emergenza e di solidarietà nazionale che smentisse il falso bipolarismo elettorale responsabile delle incertezze che contribuiscono a commissariare ulteriormente l’Italia commissariata.
Qualcosa bisogna pur fare per uscire da una situazione politica ed economica sempre più deteriorata. Bastano le elezioni tra sei mesi o tra un anno? Dovrebbe però essere chiaro a tutti che le elezioni non risolvono nulla con questa legge elettorale : avremmo come risultato una divisione ancor più codificata delle fazioni in campo come è successo con il governo Prodi oppure un nuovo governo blindato a cinque anni magari non più assediato dalla Magistratura e premiato solo perchè maggiore minoranza nel Paese A questo punto chi farebbe mai le famose riforme, ammesso che all’interno dei Poli si raggiungesse un accordo? E’ la legge elettorale il vero problema, quella legge che se non cambiata può produrre ulteriori inganni collettivi che, una volta smascherati, sono destinati ad esasperare ancor più o a “indignare” il clima generale. Ed allora perché riandare alle prossime elezioni con una legge così? Lo stallo politico attuale non è figlio di nessuno, dipende principalmente ( ma no solo) da quella legge che ha svilito nei fatti ogni spirito costituzionale nonostante l’ossequio formale continuamente richiamato alle norme di una Carta superata che andrebbe riformata per questa ed altre ragioni. Il vulnus principale all’espressione della volontà popolare non è solo l’abolizione secca del sistema delle preferenze e non a caso i partiti di governo cercano ora di tirare la volata almeno ad una modifica che le reintroduca per evitare il referendum.
Ma non è così. Si dimenticano le altre disposizioni o prassi che l’hanno accompagnata, dall’indicazione (irreversibile) sulla scheda del nome del Presidente del Consiglio al premio di maggioranza che premia la minoranza più forte. La legge porcata non a caso così apertamente chiamata dallo statista Calderoli come ulteriore sberleffo all’opinione pubblica, ha determinato il contrario della stabilità, non ha impedito la nascita di mille correnti all’interno dei Poli, non ha certo reso facile la permanenza di una stessa maggioranza nel corso di cinque anni di legislatura, ha emarginato la presenza in Parlamento di significative forze politiche che non hanno più canali di rappresentanza, impedisce qualunque elasticità di governo con un Presidente del Consiglio inamovibile eletto dal popolo che non ha neppure il potere di cambiare un Ministro. Bel capolavoro, si potrebbe dire, con l’acquiescenza dei supremi garanti della Costituzione!
Ma se il bipolarismo (all’italiana) non crea stabilità e non è neppure una garanzia conoscere in anticipo chi ci potrà governare e con quali alleati e con quale programma (di carta), se basta uno Scilipoti qualsiasi eletto da una parte e passato all’altra a superare qualunque volontà espressa dal parlamento dei nominati, se il bipolarismo ha semplificato solo in apparenza e non riesce neppure in tempi di crisi epocale come l’attuale a presentare all’opinione pubblica un blocco compatto ed omogeneo, non è meglio accordarsi dopo le elezioni doppiando il bluff che c’è più democrazia quando si sanno le cose in anticipo? Non sarebbe questo un ritorno al passato- anche le esperienze più disastrose insegnano qualcosa- ma semplicemente una presa d’atto che questo bipolarismo è fallito proprio nel momento in cui si è preteso di renderlo plebiscitario con una legge elettorale addomesticata.
Lo stallo e l’impotenza economica preoccupano di più della legge elettorale, è vero, siamo sotto osservazione speciale e i mercati stanno a guardare pronti a ridurre o allargare lo spread dell’Italia con i bund tedeschi. Ma è possibile che con questo bipolarismo e con questa legge elettorale ci siamo legate le mani da noi stessi e non sappiamo dire altro che non c’è un euro in cassa per fare alcunché?
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.