Armare o non armare?
I grandi dilemmi...
Le ipocrisie italiane in fatto di guerra e di pacedi Paola Nania - 11 ottobre 2010
Quanto ci piace l’ipocrisia! Ci piace così tanto che passiamo il tempo a fare salti mortali pur di infiocchettare la realtà. In Afghanistan è guerra? Ma quando mai. In Afghanistan siamo in missione di pace. O al massimo affianchiamo – a debita distanza - il resto delle truppe Nato. Loro sì che fanno il lavoro sporco. Noi no. Noi siamo i benefattori, tant’è vero che i nostri caccia non sono armati: niente bombe per evitare di sbagliare mira e ammazzare qualche decina di civili innocenti.
Sacrosanto. Peccato che nei fatti le cose vadano diversamente. Nei fatti il nostro contingente gestisce zone complicate. Si sposta da Herat al confine con Helmand, nell’area in cui si rifugiano i talebani che scappano dalla pressione delle truppe statunitensi. Sono bersagli sempre più frequenti di attacchi ben organizzati e i morti aumentano.
Le vittime sono 34 da quando siamo andati a portare la pace, nel 2004. Dieci nel solo 2010, il che significa che la situazione si aggrava, diventa più pericolosa e si vede, sulla pelle dei militari.
Nonostante tutto, facciamo fatica a dirci la verità. Ci accontentiamo del limbo e qualcuno urla allo scandalo quando il ministro della Difesa ipotizza di armare i caccia. Apriti cielo! Così andiamo a fare la guerra! E finora, si scusi la brutalità, cosa abbiamo fatto e subito?
Cosa fa l’italianissima Task force 45, sotto il diretto comando Nato, che va a scovare i ribelli per “neutralizzarli”? E le truppe che si trovano nel mezzo di battaglie che durano due, tre, quattro giorni, per il controllo del territorio?
Nella melma ci siamo dentro: si può discutere se sia il caso di ritirarsi o di continuare, ma per favore basta ipocrisie. In fondo, come ha detto l’ex ministro della Difesa, Arturo Parisi, “è possibile continuare a partecipare a quella che altri definiscono guerra, alla sola condizione di farlo ma non di dirlo?”
Sacrosanto. Peccato che nei fatti le cose vadano diversamente. Nei fatti il nostro contingente gestisce zone complicate. Si sposta da Herat al confine con Helmand, nell’area in cui si rifugiano i talebani che scappano dalla pressione delle truppe statunitensi. Sono bersagli sempre più frequenti di attacchi ben organizzati e i morti aumentano.
Le vittime sono 34 da quando siamo andati a portare la pace, nel 2004. Dieci nel solo 2010, il che significa che la situazione si aggrava, diventa più pericolosa e si vede, sulla pelle dei militari.
Nonostante tutto, facciamo fatica a dirci la verità. Ci accontentiamo del limbo e qualcuno urla allo scandalo quando il ministro della Difesa ipotizza di armare i caccia. Apriti cielo! Così andiamo a fare la guerra! E finora, si scusi la brutalità, cosa abbiamo fatto e subito?
Cosa fa l’italianissima Task force 45, sotto il diretto comando Nato, che va a scovare i ribelli per “neutralizzarli”? E le truppe che si trovano nel mezzo di battaglie che durano due, tre, quattro giorni, per il controllo del territorio?
Nella melma ci siamo dentro: si può discutere se sia il caso di ritirarsi o di continuare, ma per favore basta ipocrisie. In fondo, come ha detto l’ex ministro della Difesa, Arturo Parisi, “è possibile continuare a partecipare a quella che altri definiscono guerra, alla sola condizione di farlo ma non di dirlo?”
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.