Un'azienda verso il risanamento
I conti di <i>Casa Rai</i>
La strada da fare è ancora lunga, ma si può guardare alla privatizzazionedi Enrico Cisnetto - 04 luglio 2010
L’ennesimo rinvio (al 7 luglio) di una serie nomine interne, tra cui la presidenza della potente Sipra, con l’inevitabile strascico di polemiche, è l’ultimo dei motivi per cui la Rai è finita sotto i riflettori della “cattiva luce”. Ci siamo così abituati che non ci si fa più caso.
Eppure, la Rai, che con 3,2 miliardi di fatturato consolidato rappresenta una delle poche “grandi” del capitalismo italiano, è ben altro che una nave inevitabilmente destinata ad andare a fondo. Anzi, è un’azienda che pur patendo come tutti la crisi, incrementa i suoi ascolti, batte spesso la concorrenza e marcia verso il risanamento. Certo, Casa Rai è anche la più complicata delle vecchie industrie di Stato, paludata da quel cda espressione diretta dei partiti e zavorrata dal fatto di essere diventata negli anni il simbolo sempre più dei vizi e sempre meno delle virtù patrie.
Ma questo non toglie valore – anzi, semmai lo aumenta – ai numeri che recentemente il direttore generale Mauro Masi ha presentato. E non si tratta solo del fatto che nel primo quadrimestre 2010 l’azienda di viale Mazzini abbia vinto per la quattordicesima volta consecutiva la “garanzia” nel prime time e la dodicesima nell’intera giornata (le garanzie sono i periodi dell’anno in cui si misura l’ascolto in relazione agli investimenti pubblicitari).
Oppure, del primato di ascolti nella stagione televisiva 2009/2010 con un aumento del vantaggio su Mediaset di mezzo punto di share in entrambe le fasce orarie. Cose importanti, certo, ma il punto vero è che queste performance sono arrivate attraverso il successo dei canali specializzati del bouquet digitale (+2,7% di share a livello nazionale e molto di più nelle sei aree all digital). Infatti, di fronte alla continua erosione della leadership nel campo generalista e di fronte al mutamento epocale del mercato televisivo favorito dalla rivoluzione tecnologica delle piattaforme, l’attuale dirigenza Rai ha fatto del digitale terrestre e dunque dell’offerta “specifica” una scelta strategica, abbandonando di conseguenza i vecchi modelli di business basati sulla pubblicità tabellare come unica fonte di ricavo (d’altra parte la pubblicità tv è passata da 4,7 miliardi del 2007 a 4,3 miliardi del 2009).
In questo scenario si possono vedere con luce diversa alcune scelte controverse dell’attuale gestione Rai come quella, un anno fa, di non rinnovare il contratto con Sky che ha causato una perdita di 50 milioni già pienamente recuperati proprio grazie al digitale. E anche i conti di Casa Rai, che certo non sono un trionfo con una perdita prevista in 120 milioni per l’esercizio 2010 (ma la perdita tendenziale era di 260) e una previsione di 200 milioni per il 2012, in realtà diventano più che buoni alla luce di un piano industriale che grazie ad una serie di tagli molto decisi – secondo Mediobanca, un dipendente Rai pur costando in media 89mila euro contro gli 81mila di Mediaset e i 50mila di Sky, produce 278mila euro di fatturato contro rispettivamente 659mila e 673mila – e grazie al nuovo modello pubblicitario più orientato all’offerta specializzata.
Un pareggio realizzabile anche senza il supporto di un aumento del canone (che è il più basso d’Europa) e senza il recupero della sua evasione record (28%). Certo, la strada da fare è ancora lunga, ma se questi “numeri” fossero la premessa per privatizzare il condominio più rissoso d’Italia a chi li ha fatti andrebbe assegnato il Nobel.
Eppure, la Rai, che con 3,2 miliardi di fatturato consolidato rappresenta una delle poche “grandi” del capitalismo italiano, è ben altro che una nave inevitabilmente destinata ad andare a fondo. Anzi, è un’azienda che pur patendo come tutti la crisi, incrementa i suoi ascolti, batte spesso la concorrenza e marcia verso il risanamento. Certo, Casa Rai è anche la più complicata delle vecchie industrie di Stato, paludata da quel cda espressione diretta dei partiti e zavorrata dal fatto di essere diventata negli anni il simbolo sempre più dei vizi e sempre meno delle virtù patrie.
Ma questo non toglie valore – anzi, semmai lo aumenta – ai numeri che recentemente il direttore generale Mauro Masi ha presentato. E non si tratta solo del fatto che nel primo quadrimestre 2010 l’azienda di viale Mazzini abbia vinto per la quattordicesima volta consecutiva la “garanzia” nel prime time e la dodicesima nell’intera giornata (le garanzie sono i periodi dell’anno in cui si misura l’ascolto in relazione agli investimenti pubblicitari).
Oppure, del primato di ascolti nella stagione televisiva 2009/2010 con un aumento del vantaggio su Mediaset di mezzo punto di share in entrambe le fasce orarie. Cose importanti, certo, ma il punto vero è che queste performance sono arrivate attraverso il successo dei canali specializzati del bouquet digitale (+2,7% di share a livello nazionale e molto di più nelle sei aree all digital). Infatti, di fronte alla continua erosione della leadership nel campo generalista e di fronte al mutamento epocale del mercato televisivo favorito dalla rivoluzione tecnologica delle piattaforme, l’attuale dirigenza Rai ha fatto del digitale terrestre e dunque dell’offerta “specifica” una scelta strategica, abbandonando di conseguenza i vecchi modelli di business basati sulla pubblicità tabellare come unica fonte di ricavo (d’altra parte la pubblicità tv è passata da 4,7 miliardi del 2007 a 4,3 miliardi del 2009).
In questo scenario si possono vedere con luce diversa alcune scelte controverse dell’attuale gestione Rai come quella, un anno fa, di non rinnovare il contratto con Sky che ha causato una perdita di 50 milioni già pienamente recuperati proprio grazie al digitale. E anche i conti di Casa Rai, che certo non sono un trionfo con una perdita prevista in 120 milioni per l’esercizio 2010 (ma la perdita tendenziale era di 260) e una previsione di 200 milioni per il 2012, in realtà diventano più che buoni alla luce di un piano industriale che grazie ad una serie di tagli molto decisi – secondo Mediobanca, un dipendente Rai pur costando in media 89mila euro contro gli 81mila di Mediaset e i 50mila di Sky, produce 278mila euro di fatturato contro rispettivamente 659mila e 673mila – e grazie al nuovo modello pubblicitario più orientato all’offerta specializzata.
Un pareggio realizzabile anche senza il supporto di un aumento del canone (che è il più basso d’Europa) e senza il recupero della sua evasione record (28%). Certo, la strada da fare è ancora lunga, ma se questi “numeri” fossero la premessa per privatizzare il condominio più rissoso d’Italia a chi li ha fatti andrebbe assegnato il Nobel.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.