Cosa fatta che capo non ha
I conti che non tornano
Fiducia sì, ma chi scommette sul futuro(e libertà)?di Elio Di Caprio - 04 ottobre 2010
Una volta, nella troppo presto dimenticata Prima Repubblica ad egemonia democristiana si parlava di governo della non sfiducia, una formula arzigogolata che consentiva di andare avanti comunque in attesa di una nuova maggioranza di governo o di elezioni anticipate.
Nel sistema dell’alternanza siamo arrivati più o meno allo stesso punto, c’è la non sfiducia o la fiducia con riserva o a termine dei finiani , con l’aggravante che il gioco si svolge nel Parlamento blindato dei nominati dalle segreterie di partito, Ma poi di quali partiti si tratta se a metà legislatura già si calcolano circa 100 transfughi che vanno e vengono tra i poli che si presumevano monolitici? A pensarci bene che differenza c’è, a parte l’ovvia riprovazione morale per i primi, fa tra chi cambia casacca e bandiera al primo o all’ultimo momento e chi invece gioca alla fiducia e se la dà, la dà con riserva, riservandosi appunto libertà d’azione per il prossimo futuro? Sono ambedue i comportamenti indice di un’ instabilità oggettiva.
Di chi la colpa? Di un sistema elettorale fasullo o di un’eccessiva concentrazione di poteri nella stessa persona, Silvio Berlusconi, ad un tempo capo del Governo e capo-partito? Forse di entrambi.
Ma c’è qualcosa di più , ci sono simboli, suggestioni e comportamenti che rendono la misura di una crisi che va al di là del conflitto iniziale e non ancora risolto tra Berlusconi e Fini, entrambi investiti delle più importanti cariche istituzionali, non dimentichiamolo, grazie al medesimo sistema che li ha fatti emergere. Non c’è solo l’improvvisa notorietà del Carneade di turno, lo sconosciuto Giancarlo Tulliani che ora è sulla bocca di tutti, non ci sono solo gli improbabili duelli rusticani dei giornalisti d’assalto che si espongono (anche a rischio della vita come è successo a Maurizio Belpietro) in nome e per conto dei loro padrini di turno.
Ci sono altri passaggi simbolici, a partire dal dito alzato dal Presidente della Camera contro il Presidente del Consiglio - Davide contro Golia? - a testimoniare di un clima che non preannuncia niente di buono.
Le roboanti invettive dei bossiani contro Roma ladrona, gli spericolati insulti alla Di Pietro o le stesse litanie berlusconiane sul governo stabile e duraturo non fanno che da contorno e sottofondo ad una situazione politica ingovernabile che neppure lo stucchevole cartone (in)animato di Daniele Capezzone, onnipresente nelle apparizioni televisive, riesce a rendere comprensibile.
Il gruppo minoritario creato da Gianfranco Fini in procinto di diventare un nuovo soggetto politico ha anch’esso una valenza simbolica che va oltre la sua consistenza numerica : dallo schema del partito-azienda che ha fatto la fortuna di Forza Italia si è passati in sedici anni alla trasformazione delle Fondazioni-cenacolo in partiti. Per ora si preannuncia quello di “Futuro e libertà”, ma nessuno si meraviglierebbe se Luca di Montezemolo trasformasse la sua Fondazione “Italia futura” in un altro agglomerato politico.
Dobbiamo per questo appiccicare l’etichetta da Prima Repubblica – come da più parti è stato già fatto- alle mosse del Presidente della Camera per creare un suo gruppo autonomo, quasi fosse una regressione rispetto alla “modernità” del grande partito-azienda diventato, sotto la guida di un capo presuntamene carismatico, nientedimeno il grande contenitore del Popolo della Libertà ? O non si tratta piuttosto di un tentativo di sottrarsi al giogo del populismo berlusconiano?
In tale contesto di spinte centrifughe i ricorsi alla piazza dei “no B day” o degli arrabbiati grillini sembrano esercitazioni senza eco rispetto ai veri giochi che ancora contano, quelli di potere della casta. La realtà è che sta finendo un’intera stagione che ha fatto il suo tempo e non riesce ad adeguarsi alla realtà mutata.
Parlare di regole a fronte di problemi annosi e pressocchè irrisolvibili – dal debito pubblico, all’evasione, alla criminalità organizzata, al lavoro precario- sembrerebbe a questo punto un esercizio vano ed astratto.
E invece stiamo pagando proprio questo, la mancanza di nuove ( e chiare) regole costituzionali ed elettorali. I rattoppi non sono serviti finora a niente e meno serviranno in futuro. Se riformare la Costituzione sembra un compito sempre più lontano e irraggiungibile, non resta che porre rimedio almeno al fallimento della legge elettorale che riguarda le regole del consenso, basilari in ogni democrazia se si vuole raggiungere un minimo di identificazione tra governanti e governati. La nefasta legge elettorale del 2005, proposta ed approvata dal centro-destra allora al governo è servita solo a preparare la strada alle crisi successive, prima quella del governo Prodi costretto a vivacchiare per reggersi su una miriade di piccoli partiti e ora quella annunciata del governo Berlusconi, forte sulla carta di un consenso elettorale fortissimo, ma minato fin dall’inizio da una eccessiva concentrazione di potere nella persona del Presidente del Consiglio e nei suoi collaboratori.
I conti aritmetici della fiducia nelle aule parlamentari si sono fatti e tornano, sì, ma tornano solo quelli quando una classe politica si scredita da sola. Come ha affermato causticamente ( e impietosamente) Sergio Marchionne, a proposito dell’attuale crisi politica e sociale che sembra senza vie d’uscita, si è lasciato che dalle porte dello zoo scappassero in troppi . Ma di chi la colpa? Forse della sola legge elettorale?
Certamente no, ma quando i cittadini votanti vengono trattati come un parco-buoi a cui si può propinare di tutto, anche il bipartitismo obbligatorio che risale alla riforma del 2005, come meravigliarsi che tracimi fuori dallo zoo qualcosa di non previsto?
Nel sistema dell’alternanza siamo arrivati più o meno allo stesso punto, c’è la non sfiducia o la fiducia con riserva o a termine dei finiani , con l’aggravante che il gioco si svolge nel Parlamento blindato dei nominati dalle segreterie di partito, Ma poi di quali partiti si tratta se a metà legislatura già si calcolano circa 100 transfughi che vanno e vengono tra i poli che si presumevano monolitici? A pensarci bene che differenza c’è, a parte l’ovvia riprovazione morale per i primi, fa tra chi cambia casacca e bandiera al primo o all’ultimo momento e chi invece gioca alla fiducia e se la dà, la dà con riserva, riservandosi appunto libertà d’azione per il prossimo futuro? Sono ambedue i comportamenti indice di un’ instabilità oggettiva.
Di chi la colpa? Di un sistema elettorale fasullo o di un’eccessiva concentrazione di poteri nella stessa persona, Silvio Berlusconi, ad un tempo capo del Governo e capo-partito? Forse di entrambi.
Ma c’è qualcosa di più , ci sono simboli, suggestioni e comportamenti che rendono la misura di una crisi che va al di là del conflitto iniziale e non ancora risolto tra Berlusconi e Fini, entrambi investiti delle più importanti cariche istituzionali, non dimentichiamolo, grazie al medesimo sistema che li ha fatti emergere. Non c’è solo l’improvvisa notorietà del Carneade di turno, lo sconosciuto Giancarlo Tulliani che ora è sulla bocca di tutti, non ci sono solo gli improbabili duelli rusticani dei giornalisti d’assalto che si espongono (anche a rischio della vita come è successo a Maurizio Belpietro) in nome e per conto dei loro padrini di turno.
Ci sono altri passaggi simbolici, a partire dal dito alzato dal Presidente della Camera contro il Presidente del Consiglio - Davide contro Golia? - a testimoniare di un clima che non preannuncia niente di buono.
Le roboanti invettive dei bossiani contro Roma ladrona, gli spericolati insulti alla Di Pietro o le stesse litanie berlusconiane sul governo stabile e duraturo non fanno che da contorno e sottofondo ad una situazione politica ingovernabile che neppure lo stucchevole cartone (in)animato di Daniele Capezzone, onnipresente nelle apparizioni televisive, riesce a rendere comprensibile.
Il gruppo minoritario creato da Gianfranco Fini in procinto di diventare un nuovo soggetto politico ha anch’esso una valenza simbolica che va oltre la sua consistenza numerica : dallo schema del partito-azienda che ha fatto la fortuna di Forza Italia si è passati in sedici anni alla trasformazione delle Fondazioni-cenacolo in partiti. Per ora si preannuncia quello di “Futuro e libertà”, ma nessuno si meraviglierebbe se Luca di Montezemolo trasformasse la sua Fondazione “Italia futura” in un altro agglomerato politico.
Dobbiamo per questo appiccicare l’etichetta da Prima Repubblica – come da più parti è stato già fatto- alle mosse del Presidente della Camera per creare un suo gruppo autonomo, quasi fosse una regressione rispetto alla “modernità” del grande partito-azienda diventato, sotto la guida di un capo presuntamene carismatico, nientedimeno il grande contenitore del Popolo della Libertà ? O non si tratta piuttosto di un tentativo di sottrarsi al giogo del populismo berlusconiano?
In tale contesto di spinte centrifughe i ricorsi alla piazza dei “no B day” o degli arrabbiati grillini sembrano esercitazioni senza eco rispetto ai veri giochi che ancora contano, quelli di potere della casta. La realtà è che sta finendo un’intera stagione che ha fatto il suo tempo e non riesce ad adeguarsi alla realtà mutata.
Parlare di regole a fronte di problemi annosi e pressocchè irrisolvibili – dal debito pubblico, all’evasione, alla criminalità organizzata, al lavoro precario- sembrerebbe a questo punto un esercizio vano ed astratto.
E invece stiamo pagando proprio questo, la mancanza di nuove ( e chiare) regole costituzionali ed elettorali. I rattoppi non sono serviti finora a niente e meno serviranno in futuro. Se riformare la Costituzione sembra un compito sempre più lontano e irraggiungibile, non resta che porre rimedio almeno al fallimento della legge elettorale che riguarda le regole del consenso, basilari in ogni democrazia se si vuole raggiungere un minimo di identificazione tra governanti e governati. La nefasta legge elettorale del 2005, proposta ed approvata dal centro-destra allora al governo è servita solo a preparare la strada alle crisi successive, prima quella del governo Prodi costretto a vivacchiare per reggersi su una miriade di piccoli partiti e ora quella annunciata del governo Berlusconi, forte sulla carta di un consenso elettorale fortissimo, ma minato fin dall’inizio da una eccessiva concentrazione di potere nella persona del Presidente del Consiglio e nei suoi collaboratori.
I conti aritmetici della fiducia nelle aule parlamentari si sono fatti e tornano, sì, ma tornano solo quelli quando una classe politica si scredita da sola. Come ha affermato causticamente ( e impietosamente) Sergio Marchionne, a proposito dell’attuale crisi politica e sociale che sembra senza vie d’uscita, si è lasciato che dalle porte dello zoo scappassero in troppi . Ma di chi la colpa? Forse della sola legge elettorale?
Certamente no, ma quando i cittadini votanti vengono trattati come un parco-buoi a cui si può propinare di tutto, anche il bipartitismo obbligatorio che risale alla riforma del 2005, come meravigliarsi che tracimi fuori dallo zoo qualcosa di non previsto?
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.