Unione Europa
I compromessi sono troppi
I tempi lenti della politica e la tendenza al ribasso su qualunque intesa stanno mettendo a rischio il progetto di una vera Unione Europeadi Enrico Cisnetto - 21 ottobre 2012
Basta. Mi sono stancato dell’ennesimo compromesso europeo, per di più al ribasso. Ma soprattutto, non ne posso più del rimpallo delle responsabilità (che pure ci sono, sia chiaro) sulla Merkel da parte di chi – francesi in primo luogo, ma anche noi – non ha fatto nulla per mettere con le spalle al muro i tedeschi. La signora Merkel chiede di istituire un commissario europeo che non solo controlli i bilanci degli Stati dell’eurosistema, ma possa anche intervenire su di essi con pieni poteri? Ha ragione: se la moneta comune rende interdipendenti e dunque l’errore di uno procura conseguenze a tutti, non si vede perché ciascuno possa essere libero di fare come gli pare, scaricando i costi anche sui virtuosi.
Si dice: ma Berlino non propone una cessione omogenea di sovranità, bensì asimmetrica, per cui taluni la perdono e altri dominano. Vero. Ma allora, perché chi è destinato a soccombere non propone uno schema federativo più equilibrato invece di inseguire obiettivi specifici, come la vigilanza bancaria in capo alla Bce o gli eurobond, che peraltro non risolvono, se non parzialmente, la crisi europea? Hollande ogni volta che si è parlato di integrazione politica ha sdegnosamente fatto sapere – in perfetta continuità con Sarkozy, evidentemente lo sciovinismo transalpino è bipartisan – che la sovranità di Parigi non si tocca. E allora, perché il governo tedesco dovrebbe calarsi le brache? E Spagna e Italia, che sono i paesi “bisognosi” di aiuto, come mai non hanno preso un’iniziativa politica forte nella direzione degli Stati Uniti d’Europa?
Se la Merkel, sempre più preoccupata dell’approssimarsi delle elezioni tedesche, tenta di svicolare dall’unione bancaria – per sottrarre alla vigilanza centralizzata le sue casse di risparmio e banche cooperative, veri centri di potere politico – rilanciando sull’unione fiscale, bisogna risponderle che ci vogliono entrambe, e che la seconda non può consistere nella mera creazione di un poliziotto fiscale europeo, ma deve necessariamente includere un gettito tributario e un debito pubblico comuni. Andare avanti a spizzichi e bocconi non funziona, e alla fine tutti, a turno, sono frenatori. La Bce ha “comprato tempo”, e il ribasso (seppure ancora troppo contenuto) degli spread conferma che ha fatto bene, ma se questo vantaggio viene sprecato sull’altare di vertici europei che producono poco o nulla, e che per di più certificano la frattura tra i tempi (maledettamente lenti) della politica e quelli (sempre più veloci) della crisi continentale, allora si sarà buttata via anche l’ultima occasione per evitare l’eurodisastro.
Io non so se l’alternativa a questa impasse eterna sia l’idea lanciata da Lucio Caracciolo di un referendum pro Stati Uniti d’Europa, che sposti la sede delle decisioni dai trattati fra nazioni ai cittadini. È affascinante ma nello stesso tempo pericolosa, perché la crescita di un sentimento anti-europeo oggi serpeggia sia negli stati forti (che hanno paura di pagare i conti altrui) sia in quelli deboli (ove prevale la tentazione di scaricare la colpa dei propri disagi sui primi) rischia di mettere una pietra tombale sull’euro e sull’Europa unita. Ma qualcosa dovrà pur essere fatta. È troppo chiedere che nell’ormai incipiente campagna elettorale italiana trovi posto anche e soprattutto questo tema?
Si dice: ma Berlino non propone una cessione omogenea di sovranità, bensì asimmetrica, per cui taluni la perdono e altri dominano. Vero. Ma allora, perché chi è destinato a soccombere non propone uno schema federativo più equilibrato invece di inseguire obiettivi specifici, come la vigilanza bancaria in capo alla Bce o gli eurobond, che peraltro non risolvono, se non parzialmente, la crisi europea? Hollande ogni volta che si è parlato di integrazione politica ha sdegnosamente fatto sapere – in perfetta continuità con Sarkozy, evidentemente lo sciovinismo transalpino è bipartisan – che la sovranità di Parigi non si tocca. E allora, perché il governo tedesco dovrebbe calarsi le brache? E Spagna e Italia, che sono i paesi “bisognosi” di aiuto, come mai non hanno preso un’iniziativa politica forte nella direzione degli Stati Uniti d’Europa?
Se la Merkel, sempre più preoccupata dell’approssimarsi delle elezioni tedesche, tenta di svicolare dall’unione bancaria – per sottrarre alla vigilanza centralizzata le sue casse di risparmio e banche cooperative, veri centri di potere politico – rilanciando sull’unione fiscale, bisogna risponderle che ci vogliono entrambe, e che la seconda non può consistere nella mera creazione di un poliziotto fiscale europeo, ma deve necessariamente includere un gettito tributario e un debito pubblico comuni. Andare avanti a spizzichi e bocconi non funziona, e alla fine tutti, a turno, sono frenatori. La Bce ha “comprato tempo”, e il ribasso (seppure ancora troppo contenuto) degli spread conferma che ha fatto bene, ma se questo vantaggio viene sprecato sull’altare di vertici europei che producono poco o nulla, e che per di più certificano la frattura tra i tempi (maledettamente lenti) della politica e quelli (sempre più veloci) della crisi continentale, allora si sarà buttata via anche l’ultima occasione per evitare l’eurodisastro.
Io non so se l’alternativa a questa impasse eterna sia l’idea lanciata da Lucio Caracciolo di un referendum pro Stati Uniti d’Europa, che sposti la sede delle decisioni dai trattati fra nazioni ai cittadini. È affascinante ma nello stesso tempo pericolosa, perché la crescita di un sentimento anti-europeo oggi serpeggia sia negli stati forti (che hanno paura di pagare i conti altrui) sia in quelli deboli (ove prevale la tentazione di scaricare la colpa dei propri disagi sui primi) rischia di mettere una pietra tombale sull’euro e sull’Europa unita. Ma qualcosa dovrà pur essere fatta. È troppo chiedere che nell’ormai incipiente campagna elettorale italiana trovi posto anche e soprattutto questo tema?
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.