Da Schröder a Merkel, nuove strategie tedesche
Grosse Koalition: cambia il risiko
Nuovo dialogo con gli Usa e conseguente chiusura a Est. Collaborazione totale con l’Uedi Antonio Picasso - 25 novembre 2005
Chi si aspettava una Frau Merkel sul modello di Lady Thatcher al momento dovrà ricredersi. Nessuno Sturm und Drang nella visione planetaria dell’appena insediata cancelliera tedesca Angela Merkel. Anzi, a quanto pare, l’arma scelta è la prudenza. Tant’è vero che il giro di visite ufficiali, che la neoeletta sta compiendo in Europa – Parigi, Bruxelles e Londra; non è in programma Roma, ma questo è un altro discorso – è tutto impostato su circospezione e galanteria. Jacques Chirac che si prodiga nel baciamano, Manuel Barroso e Tony Blair che non risparmiano sorrisi. Ovviamente la gentilezza è protocollare in queste circostanze.
Tuttavia, la discontinuità tra il governo di Gerard Schröder e la Grosse Koalition è un fatto. E risulta evidente soprattutto in politica estera.
L’ex cancelliere, infatti, aveva impostato la rotta irrobustendo i rapporti con Parigi. Un tempo si sarebbe detto che l’Eliseo era divenuto l’interlocutore favorito della Wilhelmstrasse. Era nato, così, l’asse Parigi-Berlino che evitò a Francia e Germania la compartecipazione nel conflitto a fianco di Stati Uniti e Gran Bretagna nella guerra in Iraq.
Verso est, poi, Schröder aveva tessuto solidi rapporti di partnership con la Russia di Vladimir Putin. Orientamento che faceva tremare le gambe ai Paesi dell’Europa orientale, Polonia in primis, i quali, anacronisticamente, vi intravedevano un ritorno di quel Drang nach Ost degli anni Trenta e che era sfociato nella Seconda guerra mondiale.
Ma il disegno tedesco aspirava a obiettivi di ben maggiore portata. Vale a dire l’ottenimento di un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Germania di Schroeder, dopo mezzo secolo di purgatorio, si sentiva abbastanza forte, soprattutto economicamente, per tornare a pieno titolo nel novero delle grandi potenze. Ambizione solo formale, in realtà, perché, la Germania è già una grande potenza. E comunque, vista la scarsa influenza a disposizione dell’Onu in merito alle grandi decisioni del mondo, poco importa esserci o meno. Berlino, comunque, insieme a Brasile, Giappone e India, costituì quella lobby di pressione chiamata G4, votata alla riforma delle Nazioni Unite in proprio favore. Un disegno al quale l’Italia aveva presentato un piano alternativo, più aperto a tutti i Paesi Ue.
Sappiamo, però, come andò a finire all’inizio di ottobre. Qualunque tentativo di mettere mano al Consiglio di sicurezza fu cassato da chi effettivamente valeva – e vale tuttora – sul palcoscenico internazionale. Stati Uniti, Russia e Cina non hanno né l’interesse né l’intenzione di avere potenze minori che gli ronzano intorno. Non vogliono “seccature” di questo genere. In fumo la riforma, in fumo il grande disegno di Schroeder, allora, che pochi giorni dopo cedette lo scettro alla Merkel.
Oggi la cancelliera, che tanto di ferro pare non sia – ma è ancora presto per dirlo e comunque, se così fosse, non sarebbe un dramma – ha un altro piano in mente. E cioè ridurre l’intensità del legame con la Francia, per compensarlo con una più costante politica di dialogo con tutti i partner europei. Non tanto perché con Parigi ci siano degli attriti, ma perché si è resa conto che, se l’Ue vuole continuare a esistere, o meglio, se l’Ue pretende di essere una grande potenza – economica, politica e strategica – il dialogo a due non basta. Perché gli altri si sentirebbero esclusi e volgerebbero lo sguardo altrove.
E alla linea europeista appartiene anche la modalità di comportamento verso Tony Blair. Sicura che sia la terra ferma e non un’isola a essere il cuore del Vecchio continente, Angela Merkel sta valutando l’opportunità di stuzzicare i piccoli e impercettibili sentimenti pro-unione del Primo ministro inglese. C’è la farà? Forse questa è l’incognita maggiore nel progetto tedesco.
Il quale prevede, infine, una ricucitura con Washington – ammesso che George Bush la voglia – a discapito di Mosca. Questo, ovviamente, non farebbe che comodo ai timorosi Paesi dell’Est.
Un piano di ampio respiro, non c’è dubbio. Dal quale potrebbero guadagnarci tutti. Una rinnovata collaborazione tra le due sponde dell’Atlantico non sarebbe male. Il dialogo interno all’Ue è quel che ci vuole per rivitalizzarla, data la crisi di consensi, l’assenza di una politica estera e di difesa comune e l’economia tanto zoppicante. E pure nell’ambito delle Nazioni Unite, si avrebbero dei vantaggi. Perché, a quel punto, si potrebbe riprendere l’idea italiana di un seggio europeo al Palazzo di vetro. Una modifica che veramente costituirebbe una valida riforma della politica internazionale.
Tuttavia, la discontinuità tra il governo di Gerard Schröder e la Grosse Koalition è un fatto. E risulta evidente soprattutto in politica estera.
L’ex cancelliere, infatti, aveva impostato la rotta irrobustendo i rapporti con Parigi. Un tempo si sarebbe detto che l’Eliseo era divenuto l’interlocutore favorito della Wilhelmstrasse. Era nato, così, l’asse Parigi-Berlino che evitò a Francia e Germania la compartecipazione nel conflitto a fianco di Stati Uniti e Gran Bretagna nella guerra in Iraq.
Verso est, poi, Schröder aveva tessuto solidi rapporti di partnership con la Russia di Vladimir Putin. Orientamento che faceva tremare le gambe ai Paesi dell’Europa orientale, Polonia in primis, i quali, anacronisticamente, vi intravedevano un ritorno di quel Drang nach Ost degli anni Trenta e che era sfociato nella Seconda guerra mondiale.
Ma il disegno tedesco aspirava a obiettivi di ben maggiore portata. Vale a dire l’ottenimento di un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Germania di Schroeder, dopo mezzo secolo di purgatorio, si sentiva abbastanza forte, soprattutto economicamente, per tornare a pieno titolo nel novero delle grandi potenze. Ambizione solo formale, in realtà, perché, la Germania è già una grande potenza. E comunque, vista la scarsa influenza a disposizione dell’Onu in merito alle grandi decisioni del mondo, poco importa esserci o meno. Berlino, comunque, insieme a Brasile, Giappone e India, costituì quella lobby di pressione chiamata G4, votata alla riforma delle Nazioni Unite in proprio favore. Un disegno al quale l’Italia aveva presentato un piano alternativo, più aperto a tutti i Paesi Ue.
Sappiamo, però, come andò a finire all’inizio di ottobre. Qualunque tentativo di mettere mano al Consiglio di sicurezza fu cassato da chi effettivamente valeva – e vale tuttora – sul palcoscenico internazionale. Stati Uniti, Russia e Cina non hanno né l’interesse né l’intenzione di avere potenze minori che gli ronzano intorno. Non vogliono “seccature” di questo genere. In fumo la riforma, in fumo il grande disegno di Schroeder, allora, che pochi giorni dopo cedette lo scettro alla Merkel.
Oggi la cancelliera, che tanto di ferro pare non sia – ma è ancora presto per dirlo e comunque, se così fosse, non sarebbe un dramma – ha un altro piano in mente. E cioè ridurre l’intensità del legame con la Francia, per compensarlo con una più costante politica di dialogo con tutti i partner europei. Non tanto perché con Parigi ci siano degli attriti, ma perché si è resa conto che, se l’Ue vuole continuare a esistere, o meglio, se l’Ue pretende di essere una grande potenza – economica, politica e strategica – il dialogo a due non basta. Perché gli altri si sentirebbero esclusi e volgerebbero lo sguardo altrove.
E alla linea europeista appartiene anche la modalità di comportamento verso Tony Blair. Sicura che sia la terra ferma e non un’isola a essere il cuore del Vecchio continente, Angela Merkel sta valutando l’opportunità di stuzzicare i piccoli e impercettibili sentimenti pro-unione del Primo ministro inglese. C’è la farà? Forse questa è l’incognita maggiore nel progetto tedesco.
Il quale prevede, infine, una ricucitura con Washington – ammesso che George Bush la voglia – a discapito di Mosca. Questo, ovviamente, non farebbe che comodo ai timorosi Paesi dell’Est.
Un piano di ampio respiro, non c’è dubbio. Dal quale potrebbero guadagnarci tutti. Una rinnovata collaborazione tra le due sponde dell’Atlantico non sarebbe male. Il dialogo interno all’Ue è quel che ci vuole per rivitalizzarla, data la crisi di consensi, l’assenza di una politica estera e di difesa comune e l’economia tanto zoppicante. E pure nell’ambito delle Nazioni Unite, si avrebbero dei vantaggi. Perché, a quel punto, si potrebbe riprendere l’idea italiana di un seggio europeo al Palazzo di vetro. Una modifica che veramente costituirebbe una valida riforma della politica internazionale.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.