Civitavecchia: una contromanistazione pacifica
Greenpeace e gli ecobugiardi
In attesa di una nuova politica energetica non ci resta che ringraziare gli operaidi Enrico Cisnetto - 27 novembre 2007
E"un segnale di straordinaria saggezza quello lanciato ieri dai dipendenti della centrale Enel di Civitavecchia, che hanno reagito all’ultima “prodezza” degli ambientalisti del “no a tutto” – in questo caso quelli di Greenpeace – che si erano arrampicati su una delle gru del cantiere dando vita all’ennesima, stucchevole protesta contro la riconversione a carbone dell’impianto. Lo hanno fatto pacificamente, i lavoratori, organizzando una contromanifestazione spontanea contro quelli che hanno definito senza mezzi termini “ecobuagiardi”, ribattendo ai loro consunti slogan il buonsenso di una semplice constatazione: nel mondo il 40% dell’energia si produce con il carbone, mentre in Italia è meno del 14%; perchè, dunque, dovremmo rinunciare a costruire quella che si preannuncia essere la centrale a carbone tecnologicamente più avanzata e più pulita del mondo?
Forse proprio questa concretezza, questo pragmatismo degli argomenti può costituire un ultimo baluardo contro quell’effetto nimby (not in my back yard, non nel mio giardino) elevato ormai a cultura politica, che permea taluni strati della popolazione e che ha trovato ieri – come è normale che sia, vista l’irresponsabilità di buona parte della nostra classe dirigente – l’ennesima sponda istituzionale nelle parole del ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio. Il quale non ha trovato niente di meglio da fare che elogiare il gesto di Greenpeace, utile, secondo lui, “a riportare al centro del dibattito la questione delle iniziative concrete per fronteggiare l’allarme clima” e il protocollo di Kyoto. Ignorando, quindi, che il problema delle emissioni di anidride carbonica può interessare solo marginalmente l’Italia, visto che Cina, Usa e India da sole producono il 60% di CO2 mondiale. E che, in ogni caso, il blocco della riconversione della centrale di Civitavecchia peggiorerebbe di molto la situazione, visto che il passaggio dall’olio combustibile al carbone pulito porterà benefici all’ambiente: le emissioni di anidride carbonica si ridurranno del 18% e quelle inquinanti dell’80%, arrivando ben al di sotto di quel 50% che è il limite fissato dalla legge a protezione della salute e dell’ambiente. Non solo: grazie alla sostituzione di tecnologie obsolete come quella che ancora oggi regge Torre Valdaliga Nord, verranno ridotte di un terzo anche le emissioni complessive annue di polveri e di anidride solforosa, e saranno ammodernati i sistemi di filtrazione e trattamento dei fumi. Insomma, contestare quella che rimane una delle più avanzate – e quindi meno inquinanti – centrali a carbone del mondo in nome di un integralismo ecologico talebano significa né più che meno che danneggiare quell’ambiente che invece si vorrebbe preservare.
Ed è significativo che questa lezione esemplare, non venendo cda chi avrebbe il dovere di decidere, sia venuta dai lavoratori, un po’ come negli anni Settanta, quando all’entrata delle fabbriche a scacciare a male parole gli studenti figli di papà che li invitavano alla “rivolta proletaria” erano gli operai stessi, i quali contrapponevano la concretezza alle utopie rivoluzionarie da salotto. Ora non rimane che sperare che la politica sia indotta da questo gesto popolare ad una presa di coscienza del fatto che la riduzione della nostra dipendenza da petrolio e gas è un imperativo assoluto per il Paese, che ha bisogno di affrancarsi dai capricci e dalle strategie geopolitiche dei fornitori. E che il “carbone pulito” – così come i rigassificatori, anch’essi visti come il fumo negli occhi dagli “ecobugiardi” – rappresenta un pezzo fondamentale della necessaria diversificazione, un puzzle di cui non può non far parte anche il nucleare (anche perchè siamo vittime dell’absurdum logico per cui l’energia prodotta dall’atomo ci troviamo comunque ad acquistarla a caro prezzo da Francia e Slovenia, che hanno le centrali ai nostri confini). Noi, intanto, nell’attesa che arrivi davvero una nuova politica energetica, cominciamo a ringraziare quegli operai che ieri hanno manifestato a Civitavecchia.
Ed è significativo che questa lezione esemplare, non venendo cda chi avrebbe il dovere di decidere, sia venuta dai lavoratori, un po’ come negli anni Settanta, quando all’entrata delle fabbriche a scacciare a male parole gli studenti figli di papà che li invitavano alla “rivolta proletaria” erano gli operai stessi, i quali contrapponevano la concretezza alle utopie rivoluzionarie da salotto. Ora non rimane che sperare che la politica sia indotta da questo gesto popolare ad una presa di coscienza del fatto che la riduzione della nostra dipendenza da petrolio e gas è un imperativo assoluto per il Paese, che ha bisogno di affrancarsi dai capricci e dalle strategie geopolitiche dei fornitori. E che il “carbone pulito” – così come i rigassificatori, anch’essi visti come il fumo negli occhi dagli “ecobugiardi” – rappresenta un pezzo fondamentale della necessaria diversificazione, un puzzle di cui non può non far parte anche il nucleare (anche perchè siamo vittime dell’absurdum logico per cui l’energia prodotta dall’atomo ci troviamo comunque ad acquistarla a caro prezzo da Francia e Slovenia, che hanno le centrali ai nostri confini). Noi, intanto, nell’attesa che arrivi davvero una nuova politica energetica, cominciamo a ringraziare quegli operai che ieri hanno manifestato a Civitavecchia.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.