Dal 1995 rappresentano la politica italiana
Gli omologhi contrapposti
Berlusconi e Prodi, avversari senza differenze, vittime e artefici di un bipolarismo bastardodi Cesare Greco - 10 giugno 2005
Strano dibattito a sinistra. Dalle polemiche sulla lista unitaria e sul gruppo parlamentare unico dell’Ulivo, tra entusiasmi, nasi arricciati e dissociazioni, spunta un’immagine inedita del Professore. Da bonario, sereno e rassicurante personaggio, sintesi tra il buonsenso popolare emiliano e la solidità della cultura accademica della più antica Università italiana, con una spruzzatina di buonismo che non guasta mai, si è arrivati in questi giorni, nello stesso centro-sinistra, ad assimilarlo nei modi, divenuti bruschi e a detta di alcuni persino autoritari, al suo avversario di sempre: Silvio Berlusconi. Ad accomunarli sarebbe l’insofferenza, mai celata nel Cavaliere e di recente appalesamento nel Professore, verso i partiti politici alleati, pesante fardello e freno alle sicure iniziative dei due capi.
La situazione dei due vecchi contendenti all’interno dei rispettivi schieramenti, però, è totalmente diversa, opposta. Eppure l’insofferenza verso le iniziative politiche “autonome” dei rispettivi alleati, così come la si coglie, è simile.
Berlusconi è il proprietario del proprio partito, l’azionista unico, e detiene congrue partecipazioni anche nei partiti alleati. Non è un segreto che all’interno sia di An che dell’Udc molti siano sospettati di subire, quantomeno, il fascino del tycoon di Arcore. Tanto è proprietario del proprio partito che non si ricorda un solo congresso di Forza Italia, insidioso rito “partitocratrico” sostituito da convention che si risolvono in un one man show, con un programma costante: esaltazione dei risultati (battute e risate), incensamento del Capo (battute e risate), elogi ai collaboratori più efficienti (battute e risate), bacchettate agli alleati non all’altezza (battutacce e risatine), dettatura della linea politica, abbracci, galanterie, applausi.
Prodi non ha un partito. Ha un’alleanza di partiti che lo hanno indicato come leader comune grazie ad un accordo di vertice, non può schierare forze proprie in grado di garantirgli un peso contrattuale autonomo rispetto a chi lo ha indicato agli elettori. Deve riuscire nel difficilissimo compito di mediare e amalgamare posizioni, spesso molto distanti tra di loro, che rispondono ad interessi politici e di rappresentanza che ognuno dei singoli alleati cerca di difendere e affermare, a volte in palese contraddizione con quelli degli altri membri della coalizione.
Partendo da condizioni così diverse, ambedue sono giunti a conclusioni simili: il mantenimento dell’autonomia dei singoli partiti che compongono le coalizioni finisce col minare la tenuta di queste ultime, rendendo di fatto inefficace l’azione di governo, quando non ne provochi addirittura la caduta, come avvenne a Berlusconi nel ’95, per la fuoriuscita della Lega, e a Prodi nel ’98 per la dissociazione di Rifondazione. Inoltre l’esperienza del governo attuale è emblematica. Nonostante una maggioranza schiacciante, l’azione di governo si è trascinata tra polemiche, dispetti, ripicche e sgambetti senza riuscire a realizzare gli ambiziosi progetti del contratto con gli italiani solennemente firmato nel salotto televisivo di Vespa. Da qui il desiderio di porre sotto stretta tutela le autonomie dei singoli partiti, proponendo il partito unico da una parte e la lista unica con unico gruppo parlamentare dall’altra. Ma attenzione, a destra come a sinistra partito unico non può significare una leadership decisa da pochi oligarchi. Si attuerebbe in questo caso una cesura pericolosa tra una classe politica divenuta ancor più autoreferenziale e una base, un popolo di elettori sempre più estranei alle scelte che contano. Partito unico, al contrario, significa primarie vere con programmi contrapposti e linea politica conseguente. Se la sentono leader e leaderini?
In realtà, ciò che sta alla base di queste “insofferenze parallele” non dipende da Lega o Margherita o Udc o Rifondazione, ciò che rende e renderà ingovernabile questo Paese da parte di chiunque, si chiami Berlusconi o Casini, Prodi o Veltroni, è l’orribile mostriciattolo a suo tempo partorito dalla bicamerale e che alcuni chiamano mattarellum e noi chiamiamo bipolarismo bastardo. A causa di quel mostriciattolo le uniche alleanze possibili sono di tipo puramente elettorale, con immangiabili insalate politiche multicolori, in cui i veti reciprochi appaiono più importanti della linea politica, del programma di governo, della strategia complessiva di rilancio del sistema paese, con la creazione di governi che, per l’impossibilità a governare imposta da tali motivi, sono inevitabilmente destinati a presentarsi elle elezioni successive con la quasi certezza di perderle. Così è avvenuto nel 1996 per la Casa delle libertà e nel 2001 per l’Ulivo, e sia Berlusconi che Prodi di questo sono consapevoli. Questo bipolarismo bastardo ha bloccato qualsiasi iniziativa efficace contro il declino in atto, lo sanno bene i due leader designati, avendone in tempi diversi dovuto patire le conseguenze, ma incapaci di proporne il superamento, prigionieri di quelle regole che sembrano comunque garantirne la leadership, anche se più nominale che sostanziale; e con sostanziale non si intende la gestione di poltrone, sedie e strapuntini, ma la capacità di proporre e portare avanti un’azione politica efficace per il Paese.
La situazione dei due vecchi contendenti all’interno dei rispettivi schieramenti, però, è totalmente diversa, opposta. Eppure l’insofferenza verso le iniziative politiche “autonome” dei rispettivi alleati, così come la si coglie, è simile.
Berlusconi è il proprietario del proprio partito, l’azionista unico, e detiene congrue partecipazioni anche nei partiti alleati. Non è un segreto che all’interno sia di An che dell’Udc molti siano sospettati di subire, quantomeno, il fascino del tycoon di Arcore. Tanto è proprietario del proprio partito che non si ricorda un solo congresso di Forza Italia, insidioso rito “partitocratrico” sostituito da convention che si risolvono in un one man show, con un programma costante: esaltazione dei risultati (battute e risate), incensamento del Capo (battute e risate), elogi ai collaboratori più efficienti (battute e risate), bacchettate agli alleati non all’altezza (battutacce e risatine), dettatura della linea politica, abbracci, galanterie, applausi.
Prodi non ha un partito. Ha un’alleanza di partiti che lo hanno indicato come leader comune grazie ad un accordo di vertice, non può schierare forze proprie in grado di garantirgli un peso contrattuale autonomo rispetto a chi lo ha indicato agli elettori. Deve riuscire nel difficilissimo compito di mediare e amalgamare posizioni, spesso molto distanti tra di loro, che rispondono ad interessi politici e di rappresentanza che ognuno dei singoli alleati cerca di difendere e affermare, a volte in palese contraddizione con quelli degli altri membri della coalizione.
Partendo da condizioni così diverse, ambedue sono giunti a conclusioni simili: il mantenimento dell’autonomia dei singoli partiti che compongono le coalizioni finisce col minare la tenuta di queste ultime, rendendo di fatto inefficace l’azione di governo, quando non ne provochi addirittura la caduta, come avvenne a Berlusconi nel ’95, per la fuoriuscita della Lega, e a Prodi nel ’98 per la dissociazione di Rifondazione. Inoltre l’esperienza del governo attuale è emblematica. Nonostante una maggioranza schiacciante, l’azione di governo si è trascinata tra polemiche, dispetti, ripicche e sgambetti senza riuscire a realizzare gli ambiziosi progetti del contratto con gli italiani solennemente firmato nel salotto televisivo di Vespa. Da qui il desiderio di porre sotto stretta tutela le autonomie dei singoli partiti, proponendo il partito unico da una parte e la lista unica con unico gruppo parlamentare dall’altra. Ma attenzione, a destra come a sinistra partito unico non può significare una leadership decisa da pochi oligarchi. Si attuerebbe in questo caso una cesura pericolosa tra una classe politica divenuta ancor più autoreferenziale e una base, un popolo di elettori sempre più estranei alle scelte che contano. Partito unico, al contrario, significa primarie vere con programmi contrapposti e linea politica conseguente. Se la sentono leader e leaderini?
In realtà, ciò che sta alla base di queste “insofferenze parallele” non dipende da Lega o Margherita o Udc o Rifondazione, ciò che rende e renderà ingovernabile questo Paese da parte di chiunque, si chiami Berlusconi o Casini, Prodi o Veltroni, è l’orribile mostriciattolo a suo tempo partorito dalla bicamerale e che alcuni chiamano mattarellum e noi chiamiamo bipolarismo bastardo. A causa di quel mostriciattolo le uniche alleanze possibili sono di tipo puramente elettorale, con immangiabili insalate politiche multicolori, in cui i veti reciprochi appaiono più importanti della linea politica, del programma di governo, della strategia complessiva di rilancio del sistema paese, con la creazione di governi che, per l’impossibilità a governare imposta da tali motivi, sono inevitabilmente destinati a presentarsi elle elezioni successive con la quasi certezza di perderle. Così è avvenuto nel 1996 per la Casa delle libertà e nel 2001 per l’Ulivo, e sia Berlusconi che Prodi di questo sono consapevoli. Questo bipolarismo bastardo ha bloccato qualsiasi iniziativa efficace contro il declino in atto, lo sanno bene i due leader designati, avendone in tempi diversi dovuto patire le conseguenze, ma incapaci di proporne il superamento, prigionieri di quelle regole che sembrano comunque garantirne la leadership, anche se più nominale che sostanziale; e con sostanziale non si intende la gestione di poltrone, sedie e strapuntini, ma la capacità di proporre e portare avanti un’azione politica efficace per il Paese.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.