Giustizie e sicurezza: sempre meno proposte
Gli errori politici sulle intercettazioni
La soluzione? E’ravvisabile in tempi brevi e certi fra l’indagine e la sentenzadi Davide Giacalone - 05 febbraio 2009
Il problema delle intercettazioni telefoniche non si risolverà con leggi specifiche, che s’annunciano sempre più mosce. Governo e Parlamento si stanno avvitando nell’ennesimo scontro forsennato, al termine del quale ci si ritrova in mano un non risultato. Con l’aggravante che il mondo politico avrà, ancora una volta, parlato a lungo di sé e con sé, concludendo poco e confermando l’impressione che del resto gli interessi poco e niente.
Gli italiani baratterebbero volentieri un po’ di riservatezza in meno, quindi un po’ d’intercettazioni in più, con maggiore sicurezza e maggiore pulizia della vita pubblica. Se si ritiene, come è, che in Italia s’intercetti troppo, allora si deve porre il problema in modo diverso: quanto pesa, questo strumento d’indagine, sul risultato finale, vale a dire sulla condanna degli indagati? Poco, perché le condanne o non arrivano o sono fuori tempo massimo. Serve a colpire in modo mirato? No, perché il proliferare delle intercettazioni interagisce con l’obbligatorietà dell’azione penale, talché si busca levante per il ponente, ma senza la fortuna del genovese, che sbagliò strada e scoprì l’America. Sommando la prima cosa con la seconda si ottiene un risultato demenziale: aumentano i procedimenti e si allontanano le sentenze.
La giustizia dovrebbe funzionare esattamente all’opposto: far arrivare in aula meno casi possibile, ma contando di ottenere delle condanne. Le intercettazioni sono utili, eccome, se servono, in questa logica, ad indirizzare velocemente gli inquirenti, a patto che sappiano già cosa cercano. Altrimenti alimentano un processificio senza costrutto, dove l’unica cosa che conta è la pubblicazione anticipata ed illegale, in modo da ottenere verdetti buoni solo per i bar. Morale: cari italiani, così andando si spendono un sacco dei vostri soldi senza offrirvi un solo grammo in più di sicurezza. Le nuove leggi saranno lettera morta, in mano sempre agli stessi, esperti in aggiramenti e privi di controlli.
La soluzione sta in tempi brevi e certi fra l’indagine e la sentenza, e se la politica esistesse proverebbe ad utilizzare un simile ragionamento, lasciando intendere che giustizia e sicurezza sono beni collettivi, destinati a tutti, e non la scusa per evitare che fatti propri, poco commendevoli, diventino di dominio pubblico.
Pubblicato da Libero
Gli italiani baratterebbero volentieri un po’ di riservatezza in meno, quindi un po’ d’intercettazioni in più, con maggiore sicurezza e maggiore pulizia della vita pubblica. Se si ritiene, come è, che in Italia s’intercetti troppo, allora si deve porre il problema in modo diverso: quanto pesa, questo strumento d’indagine, sul risultato finale, vale a dire sulla condanna degli indagati? Poco, perché le condanne o non arrivano o sono fuori tempo massimo. Serve a colpire in modo mirato? No, perché il proliferare delle intercettazioni interagisce con l’obbligatorietà dell’azione penale, talché si busca levante per il ponente, ma senza la fortuna del genovese, che sbagliò strada e scoprì l’America. Sommando la prima cosa con la seconda si ottiene un risultato demenziale: aumentano i procedimenti e si allontanano le sentenze.
La giustizia dovrebbe funzionare esattamente all’opposto: far arrivare in aula meno casi possibile, ma contando di ottenere delle condanne. Le intercettazioni sono utili, eccome, se servono, in questa logica, ad indirizzare velocemente gli inquirenti, a patto che sappiano già cosa cercano. Altrimenti alimentano un processificio senza costrutto, dove l’unica cosa che conta è la pubblicazione anticipata ed illegale, in modo da ottenere verdetti buoni solo per i bar. Morale: cari italiani, così andando si spendono un sacco dei vostri soldi senza offrirvi un solo grammo in più di sicurezza. Le nuove leggi saranno lettera morta, in mano sempre agli stessi, esperti in aggiramenti e privi di controlli.
La soluzione sta in tempi brevi e certi fra l’indagine e la sentenza, e se la politica esistesse proverebbe ad utilizzare un simile ragionamento, lasciando intendere che giustizia e sicurezza sono beni collettivi, destinati a tutti, e non la scusa per evitare che fatti propri, poco commendevoli, diventino di dominio pubblico.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.