Tornare a "fare politica"
Giovani riformisti moderati, ecco come possiamo rilanciarci
di Luca Bolognini * - 04 gennaio 2005
Le colonne politiche di un giornale, generalmente poco lette (roba da amanti della fantascienza, una nicchia da sognatori), sembrano appartenere a, parlare di, criticare, proporre un altro pianeta, diverso da quello in cui studenti universitari o giovani professionisti d'oggi lavorano, si muovono, nuotano o forse, meglio, annaspano. E mi riferisco più che altro alla fascia che ben si collocherebbe in area centrista, una vasta categoria di persone sotto i 35 anni "senza dimora politica", deresponsabilizzate in quanto orfane di spazi e strumenti che le introducano all'approfondimento vivo di teorie, problemi, soluzioni in ambito civile, economico, culturale. I partiti d'area riformista moderata sono pochi, e poveri.
Tra fan club e movimenti annacquati (in cui, annaspando, facilmente s'annega), deboli, dominati da logiche formali dell'intrallazzo che rubano tutta l'aria ai contenuti e al dialogo su temi concreti, la disaffezione alla politica è il meno che possiamo aspettarci. Ma è anche il principale nemico da combattere. Due o tre generazioni di "inappetenti politici" significano incremento degli estremismi (le ali da sempre raccolgono consenso, in tempi di benessere, tra i più giovani), distacco dalla realtà e disimpegno dei potenziali moderati, imprevedibilità di un futuro lasciato al caso e alla completa assenza di selezione e formazione della nuova classe dirigente, fatta salva una certa schiera di tecnici impauriti dalle responsabilità che la materia politica, per sua natura, fortunatamente impone.
Si tratta di risvegliare migliaia di giovani-adulti "momentaneamente assenti", di raccontare loro alcune verità, di aiutarli (aiutarci) a collegare determinati aspetti della nostra vita quotidiana con la dimensione storica attuale, con le scelte politiche e con l'idea di mettersi in gioco. Per farlo, serve analizzare le cause di quest'insensibilità (a volte) o fuga (in altre occasioni, per motivi che potremmo chiamare morali).
Una ragione di tanto silenzio (è scritta sopra) può vedersi nello svilimento dei partiti, che prima rappresentavano il tramite formativo, la trasformazione costruttiva d'ogni individuo da semplicemente pensante a responsabile e partecipativo. Ma più che una causa, a ben guardare, questa dei partiti deboli si rivela un effetto - intermedio, certamente grave - delle stesse, sottili cause di base, vere fonti dell'una e dell'altra questione.
Da cosa derivano allora i tanti problemi, ivi inclusa la disaffezione all'impegno? Qualche ipotesi si deve fare; oppure, se risulteranno ovvie e scontate, qualche idea si deve pur ricordare. Il concetto d'anestesia culturale, applicata a parti del cuore e del cervello sociale, mi fa venire in mente alcune parole-chiave. Ne scrivo a caso cinque: corruzione, guerra, benessere, televisione, lavoro.
Corruzione, con la sfera pubblica vittima di precedenti poco onorevoli che hanno disgustato chi ha venti-trent'anni oggi, passando in endovena la terribile equazione "politica=mani sporche".
Benessere, perché bene stando da un punto di vista tecnologico, ludico, estetico, si tende giocoforza all'amnesia della propria condizione umana. Ci si accontenta. E non è un accontentarsi quasi saggio, di chi non-ha-seppur-vorrebbe-ma-comunque-prosegue nel proprio percorso esistenziale: è l'esatto contrario. Qui si tratta di rimozione inconscia, perché finiamo ad avere il necessario (e più del necessario, informazioni, tortellini, mms, cubalibre che ormai - senza entrare nel merito, per carità - è solo un cocktail) trascurando di coltivare lo spirito - di fatica, impegno, cultura e iniziativa democratica - che a questa "abbondanza di necessario e affini" ha portato le nostre generazioni. Banalmente, è il luogo comune dell'abbiamo tutto tranne le cose fondamentali (non solo importanti, fondamentali, che tengono in piedi il castello-farmhouse).
Non possiamo trascurare, in tempi di formazione continua nelle aziende per una sempre maggior efficienza produttiva, la continuità della motivazione nell'impegno politico, o almeno dei princìpi che lo reggono. Diversamente, è la decadenza, che colpisce in primis il riformismo moderato dell'ora giovane, domani matura popolazione. Guerra. Cioè la guerra perché di guerre non ce n'è mai più di una, e quella che c'è deve essere per forza sotto un cielo diverso, in ogni caso non il nostro.
Ultimamente c'è l'Iraq. L'Africa, la tragica Africa, lotta con le cavallette e sembra quasi uno scontro ad armi pari, di civiltà direbbero alcuni: direbbero, ma non si dicono neanche certe formule, non si fanno questi errori banali, tanto del continente disperato non ci racconta niente nessuno.
Mezzo mondo sanguina, ma i progetti di solidarietà sono spot che durano poco. Anche il sangue è moda. Televisione, che trasmette una sola guerra alla volta, e ha trasformato la politica in divismo e immagine, eliminandone i contenuti complessi e rendendola altra rispetto alla vita quotidiana d'ogni cittadino, peggio ancora se nuovo, neolaureato e svezzato a colpi di Grande Fratello (ottenuta così perfino la divina superiorità dell'inettitudine sul restante non inquadrato).
Lavoro, o meglio disoccupazione e mala-occupazione: fa bene chi, come Enrico Cisnetto, pone l'accento sulla qualità del lavoro prima ancora che sulla quantità. Persone che hanno studiato, hanno seguito percorsi difficili, faticosi e finiscono in mestieri di manovalanza, "a fare le fotocopie" come si usa dire, quando va bene. Non è soltanto un problema di gratificazione: è un problema di sprechi di conoscenze e di competenze che danneggia tutto il sistema, non solo il diretto interessato-frustrato. E quindi bisognerebbe parlare di qualità in termini economici, di futuro dell'Italia industriale, ma non basterebbe lo spazio e fuorvierei.
Erano solo cinque parole, prese a caso fra mille: quello che conta è che sono cause intermedie, effetti che producono effetti a loro volta, come il dato dei partiti deboli. O meglio sono concause, interagiscono e crescono per spinta reciproca. Ma c'è un fondo? Un territorio che causa e risolve, una fonte di problemi e soluzioni (umani, s'intende, bastano quelli)? Il terreno su cui nascono erbacce ed erbe medicinali, veleni e antidoti è solo la Politica. E' la causa di fondo e insieme la possibile soluzione. La soluzione onesta, senza corruzioni, il dialogo utile non per imbrogli, ma per sciogliere nodi senza ricorrere alla violenza. Non significa essere "sognatori di nicchia", se dalla nicchia dipendono i nostri possibili futuri.
Rilanciamo il messaggio, uniamoci: se nascerà la consapevolezza che tra il vuoto alterante televisivo, l'amnesia del dolore sparso nel mondo, le fotocopie, l'assuefazione ed ogni altra questione da una parte, e le riforme, le istituzioni, l'impegno politico dall'altra c'è un nesso diretto, un collegamento preciso e fortissimo, allora avremo e saremo nuove generazioni sveglie, pronte a rimboccarsi le maniche per aggiustare la macchina, farla ripartire e guidarla, prudentemente e nel rispetto delle regole, verso migliori traguardi.
Tra fan club e movimenti annacquati (in cui, annaspando, facilmente s'annega), deboli, dominati da logiche formali dell'intrallazzo che rubano tutta l'aria ai contenuti e al dialogo su temi concreti, la disaffezione alla politica è il meno che possiamo aspettarci. Ma è anche il principale nemico da combattere. Due o tre generazioni di "inappetenti politici" significano incremento degli estremismi (le ali da sempre raccolgono consenso, in tempi di benessere, tra i più giovani), distacco dalla realtà e disimpegno dei potenziali moderati, imprevedibilità di un futuro lasciato al caso e alla completa assenza di selezione e formazione della nuova classe dirigente, fatta salva una certa schiera di tecnici impauriti dalle responsabilità che la materia politica, per sua natura, fortunatamente impone.
Si tratta di risvegliare migliaia di giovani-adulti "momentaneamente assenti", di raccontare loro alcune verità, di aiutarli (aiutarci) a collegare determinati aspetti della nostra vita quotidiana con la dimensione storica attuale, con le scelte politiche e con l'idea di mettersi in gioco. Per farlo, serve analizzare le cause di quest'insensibilità (a volte) o fuga (in altre occasioni, per motivi che potremmo chiamare morali).
Una ragione di tanto silenzio (è scritta sopra) può vedersi nello svilimento dei partiti, che prima rappresentavano il tramite formativo, la trasformazione costruttiva d'ogni individuo da semplicemente pensante a responsabile e partecipativo. Ma più che una causa, a ben guardare, questa dei partiti deboli si rivela un effetto - intermedio, certamente grave - delle stesse, sottili cause di base, vere fonti dell'una e dell'altra questione.
Da cosa derivano allora i tanti problemi, ivi inclusa la disaffezione all'impegno? Qualche ipotesi si deve fare; oppure, se risulteranno ovvie e scontate, qualche idea si deve pur ricordare. Il concetto d'anestesia culturale, applicata a parti del cuore e del cervello sociale, mi fa venire in mente alcune parole-chiave. Ne scrivo a caso cinque: corruzione, guerra, benessere, televisione, lavoro.
Corruzione, con la sfera pubblica vittima di precedenti poco onorevoli che hanno disgustato chi ha venti-trent'anni oggi, passando in endovena la terribile equazione "politica=mani sporche".
Benessere, perché bene stando da un punto di vista tecnologico, ludico, estetico, si tende giocoforza all'amnesia della propria condizione umana. Ci si accontenta. E non è un accontentarsi quasi saggio, di chi non-ha-seppur-vorrebbe-ma-comunque-prosegue nel proprio percorso esistenziale: è l'esatto contrario. Qui si tratta di rimozione inconscia, perché finiamo ad avere il necessario (e più del necessario, informazioni, tortellini, mms, cubalibre che ormai - senza entrare nel merito, per carità - è solo un cocktail) trascurando di coltivare lo spirito - di fatica, impegno, cultura e iniziativa democratica - che a questa "abbondanza di necessario e affini" ha portato le nostre generazioni. Banalmente, è il luogo comune dell'abbiamo tutto tranne le cose fondamentali (non solo importanti, fondamentali, che tengono in piedi il castello-farmhouse).
Non possiamo trascurare, in tempi di formazione continua nelle aziende per una sempre maggior efficienza produttiva, la continuità della motivazione nell'impegno politico, o almeno dei princìpi che lo reggono. Diversamente, è la decadenza, che colpisce in primis il riformismo moderato dell'ora giovane, domani matura popolazione. Guerra. Cioè la guerra perché di guerre non ce n'è mai più di una, e quella che c'è deve essere per forza sotto un cielo diverso, in ogni caso non il nostro.
Ultimamente c'è l'Iraq. L'Africa, la tragica Africa, lotta con le cavallette e sembra quasi uno scontro ad armi pari, di civiltà direbbero alcuni: direbbero, ma non si dicono neanche certe formule, non si fanno questi errori banali, tanto del continente disperato non ci racconta niente nessuno.
Mezzo mondo sanguina, ma i progetti di solidarietà sono spot che durano poco. Anche il sangue è moda. Televisione, che trasmette una sola guerra alla volta, e ha trasformato la politica in divismo e immagine, eliminandone i contenuti complessi e rendendola altra rispetto alla vita quotidiana d'ogni cittadino, peggio ancora se nuovo, neolaureato e svezzato a colpi di Grande Fratello (ottenuta così perfino la divina superiorità dell'inettitudine sul restante non inquadrato).
Lavoro, o meglio disoccupazione e mala-occupazione: fa bene chi, come Enrico Cisnetto, pone l'accento sulla qualità del lavoro prima ancora che sulla quantità. Persone che hanno studiato, hanno seguito percorsi difficili, faticosi e finiscono in mestieri di manovalanza, "a fare le fotocopie" come si usa dire, quando va bene. Non è soltanto un problema di gratificazione: è un problema di sprechi di conoscenze e di competenze che danneggia tutto il sistema, non solo il diretto interessato-frustrato. E quindi bisognerebbe parlare di qualità in termini economici, di futuro dell'Italia industriale, ma non basterebbe lo spazio e fuorvierei.
Erano solo cinque parole, prese a caso fra mille: quello che conta è che sono cause intermedie, effetti che producono effetti a loro volta, come il dato dei partiti deboli. O meglio sono concause, interagiscono e crescono per spinta reciproca. Ma c'è un fondo? Un territorio che causa e risolve, una fonte di problemi e soluzioni (umani, s'intende, bastano quelli)? Il terreno su cui nascono erbacce ed erbe medicinali, veleni e antidoti è solo la Politica. E' la causa di fondo e insieme la possibile soluzione. La soluzione onesta, senza corruzioni, il dialogo utile non per imbrogli, ma per sciogliere nodi senza ricorrere alla violenza. Non significa essere "sognatori di nicchia", se dalla nicchia dipendono i nostri possibili futuri.
Rilanciamo il messaggio, uniamoci: se nascerà la consapevolezza che tra il vuoto alterante televisivo, l'amnesia del dolore sparso nel mondo, le fotocopie, l'assuefazione ed ogni altra questione da una parte, e le riforme, le istituzioni, l'impegno politico dall'altra c'è un nesso diretto, un collegamento preciso e fortissimo, allora avremo e saremo nuove generazioni sveglie, pronte a rimboccarsi le maniche per aggiustare la macchina, farla ripartire e guidarla, prudentemente e nel rispetto delle regole, verso migliori traguardi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.