Così simili a prima vista, in realtà…
Germania e Italia, crescite a confronto
Pil e inflazione: andiamo di pari passo ma loro hanno già fatto riforme strutturalidi Alessandro D'Amato - 19 febbraio 2007
Tra l’economia tedesca e italiana c’è la stessa differenza che corre tra chi vola e chi ha ricominciato a malapena a camminare. Il pil della Germania è cresciuto dello 0,9% nel quarto trimestre dell’anno scorso e del 2,7% nell"intero 2006. Per loro è il miglior risultato dal 2000, mentre l’indice Zew sulla fiducia a sei mesi degli investitori finanziari in Germania è salito in febbraio a +2,9 da -3,6 in gennaio. I disoccupati tedeschi erano in gennaio 3 milioni e 976 mila, in calo dai più di 4 milioni di dicembre: è il livello più basso dal 2002, mentre solo un anno prima era stata superata la soglia dei 5 milioni di senza lavoro. Tutti questi risultati provengono da una politica che si è mossa con una serie di obiettivi chiari in testa. La sua rivoluzione della competitività l’ha già in gran parte portata a compimento: ha puntato sulle imprese di grandi dimensioni, ha ripensato in toto le sue strutture produttive, delocalizzando le attività più mature per ridare competitività al suo export, e sostituendo il made in Germany con il made by Germany. Certo, i tedeschi potevano perché avevano precedentemente pagato il prezzo di una riunificazione che, se era costata molto in termini economici, poi ha consentito loro di vedere come legittimato un diritto di primogenitura all’iniziativa economica nell’Europa dell’Est. Ed è proprio grazie a fondamentali così solidi che il governo si può permettere oggi di aumentare l’Iva senza deprimere i consumi, e ha già varato una riforma della previdenza che porterà tutti in pensione nel 2029 a 67 anni, mentre l’inflazione cresce meno del previsto e l’Ue ha rivisto in rialzo all’1,8% di ben sei decimi il suo pil 2007.
Anche per l’Italia l’anno che si è appena concluso è stato quello di miglior crescita dal 2000: un +2% per di più arrivato in un’annata di elezioni, ma che rimane comunque distante dal 2,7% della Ue . L’inflazione ha rallentato l’anno scorso (2,2%) e la tendenza è in diminuzione anche per il prossimo (1,9%). E anche per noi l’Ue ha rivisto al rialzo – forse troppo ottimisticamente – di sei decimi le previsioni per il prodotto interno lordo, che dovrebbe crescere del 2% anche nel 2007. Anche da noi, pian piano e con fatica, qualcosina inizia a muoversi: le imprese manifatturiere italiane hanno beneficiato dell’incremento della domanda estera, guidata all"interno dell"Ue proprio dagli ordini della Germania. Ma anche da un processo di trasformazione del capitalismo che – seppure partito in ritardo rispetto agli altri – è comunque in atto. Per questo il valore unitario dei nostri prodotti esportati – anche se il deficit della nostra bilancia commerciale al lordo della bolletta energetica è arrivato a 21 miliardi, il peggiore dal ’93 – aumenta: ne sono responsabili quelle (poche) imprese che hanno accettato la sfida del commercio globale. Tre esempi su tutti: tessile, calzaturiero e mobili, che dopo una lunga crisi cominciano a uscire dal tunnel perché le aziende hanno cominciato a scommettere sulla qualità, abbandonando la sfida della quantità ormai persa con chi produce a costi minimi (l’Asia su tutti). Il problema è che queste imprese non sono un’avanguardia che le altre si stanno impegnando a seguire: dietro di loro c’è un apparato produttivo attendista e obsoleto che di cambiare non ha voglia e forse nemmeno capacità. Per smuoverlo ci sarebbe bisogno di una politica industriale in grado di indicare obiettivi e priorità. E questa è la differenza più grande rispetto ai tedeschi.
Anche per l’Italia l’anno che si è appena concluso è stato quello di miglior crescita dal 2000: un +2% per di più arrivato in un’annata di elezioni, ma che rimane comunque distante dal 2,7% della Ue . L’inflazione ha rallentato l’anno scorso (2,2%) e la tendenza è in diminuzione anche per il prossimo (1,9%). E anche per noi l’Ue ha rivisto al rialzo – forse troppo ottimisticamente – di sei decimi le previsioni per il prodotto interno lordo, che dovrebbe crescere del 2% anche nel 2007. Anche da noi, pian piano e con fatica, qualcosina inizia a muoversi: le imprese manifatturiere italiane hanno beneficiato dell’incremento della domanda estera, guidata all"interno dell"Ue proprio dagli ordini della Germania. Ma anche da un processo di trasformazione del capitalismo che – seppure partito in ritardo rispetto agli altri – è comunque in atto. Per questo il valore unitario dei nostri prodotti esportati – anche se il deficit della nostra bilancia commerciale al lordo della bolletta energetica è arrivato a 21 miliardi, il peggiore dal ’93 – aumenta: ne sono responsabili quelle (poche) imprese che hanno accettato la sfida del commercio globale. Tre esempi su tutti: tessile, calzaturiero e mobili, che dopo una lunga crisi cominciano a uscire dal tunnel perché le aziende hanno cominciato a scommettere sulla qualità, abbandonando la sfida della quantità ormai persa con chi produce a costi minimi (l’Asia su tutti). Il problema è che queste imprese non sono un’avanguardia che le altre si stanno impegnando a seguire: dietro di loro c’è un apparato produttivo attendista e obsoleto che di cambiare non ha voglia e forse nemmeno capacità. Per smuoverlo ci sarebbe bisogno di una politica industriale in grado di indicare obiettivi e priorità. E questa è la differenza più grande rispetto ai tedeschi.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.