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Tecnici partiti

Fuga politica

Il governo tecnico ha largheggiato in supponenza, ma ha difettato in concludenza. Inoltre continua a ripetere: abbiamo più consensi dei partiti. Ma questo è un pericolo.

16 novembre 2012

Mentre i partiti s’incartano in un tatticismo stucchevole e inconcludente chi fa il ministro si rende conto che la gestione della crisi non può essere separata dalla costruzione e raccolta del consenso. Fabrizio Barca aveva già avvertito che il governo non poteva essere a lungo tecnico e che la mano, dopo le elezioni, deve passare alla politica. Ora, dopo la non esaltante fuga in elicottero, per evitare le proteste degli operai Sulcis, aggiunge un riflessione preziosa: senza le reti politiche, senza che i partiti esercitino il loro ruolo, governare gli effetti della crisi è impossibile, perché nessuno si fida degli interlocutori, non c’è continuità né affidabilità degli impegni, mentre ciascun amministratore locale resta solo e disperso. Abbandonato. Senza politica è l’insieme della vita collettiva che rischia lo stato d’abbandono.

A spezzare le gambe della politica non sono tanto gli scandali o i lestofanti in essa cresciuti. Pesano, eccome, ma non al punto di paralizzare tutto. A umiliare la politica è il giochicchiare fra presunti furbastri, che si dimostrano, ogni giorno di più, degli sciocchi irresponsabili. L’opinione di Barca è utile, perché chiarisce una cosa evidente anche ai più riottosi: approvata la legge di stabilità, dopo che la si è stravolta, il governo Monti è finito. Credo che lo sia di già, da tempo, ma quell’approdo ne sarà l’ingloriosa certificazione. In una democrazia non suicida, a quel punto, si fa una sola cosa: si va a votare. Invece no, perché ciascuno s’è impiccato al proprio tatticismo.

Il Partito democratico ha tutto l’interesse a votare in fretta e con questo sistema elettorale. Lo negano per ipocrisia e tatticismo, ma quando Pier Luigi Bersani assume il vocabolario berlusconiano, parlando di esito del voto che assicuri la “governabilità”, manifesta il desiderio del premio di maggioranza. Che conta di assicurarsi. Non può spingersi oltre solo perché ha paura che si svegli il commissario politico, colui il quale tolse autonomia al Pd: Giorgio Napolitano. A sua volta immobilizzato dalla tattica, e ci arrivo.

Il Popolo delle libertà, oramai vergognoso anche del proprio nome, sente la dissoluzione in corso e prova a ingannarla con le primarie. Che, invece, la faranno detonare. Le primarie sono una presa in giro, inventata dalla sinistra allorquando si piegò all’egemonia berlusconiana, facendo finta che si elegga il capo del governo. Adottarle a destra non è innovazione, è melina. Il punto politico è chiaro: se viene meno il collante berlusconiano non ha alcun senso tenersi il sistema elettorale che ne era l’incarnazione. Avrebbero dovuto prenderne atto è chiudere la sinistra ad un bivio: o maggioritario a doppio turno o uninominale. Subito. Invece hanno pasticciato sul nulla, massacrandosi in Sicilia. Angelino Alfano ha ragione sulla concentrazione dei vari voti, ma non solo, e non tanto, per il costo economico, bensì per l’enorme costo collettivo di un’interminabile campagna elettorale a rate.

I vari gruppi del centrismo decentrato, che hanno in Pier Ferdinando Casini il loro pendulo riferimento, usano la tattica per far valere la loro unica forza: usare l’inconsistenza altrui per collocare al meglio la propria.

In quanto all’uomo del Colle, ha esitato, rovinando la propria tattica: avrebbe potuto portare l’Italia alle urne, senza sottoporre Mario Monti ad un logoramento eccessivo, in questo modo annettendo a sé la gestione post elettorale, prima dell’elezione del successore (che al Colle si pensa sempre abbia lo stesso volto del predecessore, salvo non riuscirci mai). Siccome la cosa era fin troppo scoperta (ne scrivemmo mesi fa), al Quirinale hanno avuto la bella pensata di condizionare tutto alla riforma elettorale, rintontonendo tutti con continui “moniti” e salutando da lontano la Costituzione, che prevede ben altri metodi (messaggio formale al Parlamento). Se ci sarà riforma al Colle brinderanno, ottenendo due piccioni con una fava. Altrimenti restano prigionieri della furbata.

Mentre quattro presunti professionisti si rotolano da incapaci sulle cartine tattiche di questo misero Risiko, il Paese scivola e sente un dolore non lenito, anzi acuito dalla concreta sensazione che si stia perendo tempo. E, a tal proposito, stia attento Barca (lucido nel ragionare) a non credere che i ministri tecnici vengono contestati perché i partiti non sanno più fare il loro mestiere, giacché le proteste arrivano sia perché non si è capaci di proporre soluzioni, sia perché si pasticcia a vuoto, sia perché s’è avuta la presunzione di potere licenziare la politica e prenderne il posto. S’è largheggiato in supponenza, ma s’è difettato in concludenza. Inoltre si continua a ripetere: abbiamo più consensi dei partiti. Forse non rendendosi conto che quello è un pericolo. Barca provi a spiegarlo ai colleghi.

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