Il nuovo governo
Forza Letta
Monti è stato sia indispensabile che deludente. Ora il momento di Letta. Una legislatura vera?di Enrico Cisnetto - 26 aprile 2013
Una vera e propria disgrazia. Nella settimana che ha segnato una svolta politica con la riconferma di Napolitano e l’incarico al “giovane” Letta, la Borsa italiana ha guadagnato 16 punti e mezzo e lo spread è sceso dalla fatidica “soglia 300” a 282 (ieri) dopo essere stato anche sotto i 270 punti. Sì, avete letto bene, si tratta di una disdetta. Provate a ricordare il clima che c’era nel novembre del 2011, quando Piazza Affari inanellava giornate nere e il differenziale con i tassi tedeschi sui titoli decennali era più del doppio dell’attuale: Monti fu accolto come il salvatore della patria. Adesso, l’Italia di memoria e vista corta, si sente autorizzata a guardare il pelo nell’uovo. Napolitano è un quasi novantenne roso dall’ambizione che ha manovrato per restare dov’era, Letta è il nipote di suo zio, e il suo governo, se nasce, altro non sarà che uno schifoso inciucio che ha impedito ad un non meglio identificato “nuovo” di nascere. Sarà, ma io sento puzza di bruciato e preferivo quando si evocava lo spettro del default e l’Italia se la faceva sotto.
Sia chiaro, non voglio dare i voti prima degli esami. Mi domando, come tutti, quale sarà la politica del nuovo esecutivo riguardo al saldo dei debiti delle pubbliche amministrazioni con le imprese, che il decreto Grilli non ha sanato. Così come sono curioso di sapere quale compromesso si raggiungerà riguardo al deficit corrente – che Bankitalia ha già spiegato occorre manutenere con qualche intervento correttivo se si vuole che resti sotto la soglia del 3% (ma non andava azzerato?) – e dunque che trattamento avrà sia la spesa pubblica che la pressione fiscale. E certo non si potrà esprimere un giudizio sul futuro “governo Letta”, sempre ammesso che parta, prima di aver capito come si atteggerà in Europa e in particolare se e quanto accondiscenderà alle politiche restrittive (per non dire recessive) della Germania. Non solo. Questa volta, rispetto alla sordità di Monti ai temi istituzionali – uno dei suoi errori più gravi (si noti l’uso del plurale…) – ci sono in ballo riforme strutturali e politiche come quelle della legge elettorale, degli assetti del decentramento, della composizione e funzionamento delle Camere, della giustizia. E c’è perfino da decidere se e come mettere mano in modo organico alla Carta (ricordo qui che la convocazione di un’Assemblea Costituente sarebbe la soluzione più saggia). Dunque, solo dopo aver avuto risposte a questi quesiti sarà possibile esprimere un giudizio serio sull’adeguatezza o meno del governo e dei ministri.
Però, sia chiaro fin d’ora che il Paese, nonostante lo spread (che peraltro rimane tre volte tanto il fisiologico), è ancora nel pieno di una crisi senza precedenti e ha quindi tutto da guadagnare dal varo di questa esperienza di governo, e che dunque chi ragiona non per iperboli ma con i piedi piantati per terra non potrà che essere responsabile nel creare le condizioni per farlo nascere e sereno, se non indulgente, nel giudicarlo. Sì, ricordo di aver fatto un analogo discorso a proposito del governo Monti. Ma è proprio perché non ho mai negato quell’asserzione anche quando ho criticato – e non poco – il professore, che ora la ripeto: Monti è stato contemporaneamente “indispensabile” e “deludente”, Letta è altrettanto “indispensabile”, anzi politicamente lo è molto di più, mentre per quanto riguarda le attese il giudizio è rimandato a quando avrà dato prova di sé. Dico che Letta è “assolutamente indispensabile” non solo perché trattasi di ultima spiaggia – e, attenzione, il suo eventuale fallimento non avrebbe come corollario lo scioglimento delle Camere, ma le dimissioni di Napolitano… – ma per altri due motivi importantissimi.
Primo perché esso ha evitato un esperimento politico ad altissima pericolosità, come l’incestuoso connubio tra il Pd e il duo formato dai pentastellari (utili idioti che servono per gli scranni che occupano in parlamento) e dal “partito giustizialista”, connubio che si sarebbe saldato se al Quirinale fosse salito Rodotà. Secondo perché consente, al contrario di Monti che è voluto restare nel limbo dei tecnici pur lamentandosene, di sperimentare un minimo di “larghe intese”, passaggio indispensabile per pacificare il Paese che esce distrutto da vent’anni di guerre politiche insensate – e qui, per favore, Berlusconi e i suoi evitino di fare la morale, perché della stagione del berlusconismo e dell’anti-berlusconismo portano piena responsabilità – e ha bisogno di costruire la Terza Repubblica su basi solide. Ero e resto convinto che ci sia spazio per una fase tutto sommato breve e circoscritta di alleanza politica, cui far seguire elezioni che pongano le basi per una legislatura piena e di vera trasformazione del sistema politico e istituzionale, ma meglio un governo a tempo determinato e con obiettivi limitati capace di lasciare il segno per il dopo, piuttosto che uno con grandi pretese che poi si va a schiantarsi contro il muro delle antiche diffidenze e delle pretese di cambiamento così alte da essere sempre e comunque insoddisfatte. Buon lavoro, caro Enrico. E che i grandi padri, da Alcide a Ugo, veglino su di te.
Sia chiaro, non voglio dare i voti prima degli esami. Mi domando, come tutti, quale sarà la politica del nuovo esecutivo riguardo al saldo dei debiti delle pubbliche amministrazioni con le imprese, che il decreto Grilli non ha sanato. Così come sono curioso di sapere quale compromesso si raggiungerà riguardo al deficit corrente – che Bankitalia ha già spiegato occorre manutenere con qualche intervento correttivo se si vuole che resti sotto la soglia del 3% (ma non andava azzerato?) – e dunque che trattamento avrà sia la spesa pubblica che la pressione fiscale. E certo non si potrà esprimere un giudizio sul futuro “governo Letta”, sempre ammesso che parta, prima di aver capito come si atteggerà in Europa e in particolare se e quanto accondiscenderà alle politiche restrittive (per non dire recessive) della Germania. Non solo. Questa volta, rispetto alla sordità di Monti ai temi istituzionali – uno dei suoi errori più gravi (si noti l’uso del plurale…) – ci sono in ballo riforme strutturali e politiche come quelle della legge elettorale, degli assetti del decentramento, della composizione e funzionamento delle Camere, della giustizia. E c’è perfino da decidere se e come mettere mano in modo organico alla Carta (ricordo qui che la convocazione di un’Assemblea Costituente sarebbe la soluzione più saggia). Dunque, solo dopo aver avuto risposte a questi quesiti sarà possibile esprimere un giudizio serio sull’adeguatezza o meno del governo e dei ministri.
Però, sia chiaro fin d’ora che il Paese, nonostante lo spread (che peraltro rimane tre volte tanto il fisiologico), è ancora nel pieno di una crisi senza precedenti e ha quindi tutto da guadagnare dal varo di questa esperienza di governo, e che dunque chi ragiona non per iperboli ma con i piedi piantati per terra non potrà che essere responsabile nel creare le condizioni per farlo nascere e sereno, se non indulgente, nel giudicarlo. Sì, ricordo di aver fatto un analogo discorso a proposito del governo Monti. Ma è proprio perché non ho mai negato quell’asserzione anche quando ho criticato – e non poco – il professore, che ora la ripeto: Monti è stato contemporaneamente “indispensabile” e “deludente”, Letta è altrettanto “indispensabile”, anzi politicamente lo è molto di più, mentre per quanto riguarda le attese il giudizio è rimandato a quando avrà dato prova di sé. Dico che Letta è “assolutamente indispensabile” non solo perché trattasi di ultima spiaggia – e, attenzione, il suo eventuale fallimento non avrebbe come corollario lo scioglimento delle Camere, ma le dimissioni di Napolitano… – ma per altri due motivi importantissimi.
Primo perché esso ha evitato un esperimento politico ad altissima pericolosità, come l’incestuoso connubio tra il Pd e il duo formato dai pentastellari (utili idioti che servono per gli scranni che occupano in parlamento) e dal “partito giustizialista”, connubio che si sarebbe saldato se al Quirinale fosse salito Rodotà. Secondo perché consente, al contrario di Monti che è voluto restare nel limbo dei tecnici pur lamentandosene, di sperimentare un minimo di “larghe intese”, passaggio indispensabile per pacificare il Paese che esce distrutto da vent’anni di guerre politiche insensate – e qui, per favore, Berlusconi e i suoi evitino di fare la morale, perché della stagione del berlusconismo e dell’anti-berlusconismo portano piena responsabilità – e ha bisogno di costruire la Terza Repubblica su basi solide. Ero e resto convinto che ci sia spazio per una fase tutto sommato breve e circoscritta di alleanza politica, cui far seguire elezioni che pongano le basi per una legislatura piena e di vera trasformazione del sistema politico e istituzionale, ma meglio un governo a tempo determinato e con obiettivi limitati capace di lasciare il segno per il dopo, piuttosto che uno con grandi pretese che poi si va a schiantarsi contro il muro delle antiche diffidenze e delle pretese di cambiamento così alte da essere sempre e comunque insoddisfatte. Buon lavoro, caro Enrico. E che i grandi padri, da Alcide a Ugo, veglino su di te.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.