Rivalutare senza svendere
Follia Bankitalia
Per coprire il buco dell'Imu si vuol far diventare la nostra banca centrale una public company. Sarebbe un disastrodi Davide Giacalone - 18 dicembre 2013
La stiamo perdendo. Stiamo assistendo ad un’operazione che baratta campi di grano, mulino e forno in cambio di un tozzo di pane. Il 23 dicembre si terrà l’Assemblea della Banca d’Italia, per cambiare lo statuto, propedeutica alla rivalutazione e cessione delle quote. Poi il Parlamento, cieco alle conseguenze e accompagnato dal complice silenzio di gran parte della stampa e delle tante coscienze inquiete, solitamente ciarliere, approverà il decreto legge con il quale si dispone l’operazione e la si giustifica con l’immediata necessità di coprire il buco dell’Imu. Dopo di che l’avremo persa.
Metto nel conto l’ipotesi di star dicendo delle sciocchezze, tanto è impressionante l’isolamento in cui queste parole cadono (unico conforto il prof. Francesco Forte). Ma temo di non sbagliare. Per questo comincio dalle obiezioni che mi sono state mosse, riservatamente, dato che di questa storia nessuno vuole parlare. 1. L’idea di trasformare la Bd’I in una public company è una bubbola. E’ vero, lo ha detto il ministro, Fabrizio Saccomanni, ma l’anglicismo deve averlo tradito. Che obiezione è? Il ministro lo ha detto. Una public company non è una società con molti soci, ma una società quotata in cui nessuno esercita il controllo ed è affidata al management. Se si è sbagliato deve ammetterlo chiaramente. E se non lo ammette ogni sospetto non è lecito, ma doveroso. Non una sola banca centrale ha le caratteristiche descritte dal ministro. 2. L’indipendenza della banca centrale non è garantita dall’assetto proprietario, ma dallo statuto e dalle leggi. Vero, ma è una tesi che dimostra troppo: se è così la cosa migliore consiste nel renderla pienamente e totalmente statale (come altre banche centrali) e rivalutarne le quote, patrimonio pubblico.
3. La ricapitalizzazione è vitale per ripatrimonializzare le banche italiane. Questa obiezione apre la strada a una versione grossolana: si tratta di un regalo alle banche. Respinte entrambe le cose: il sistema bancario italiano conta più di 800 banche (troppe), quelle presenti nella proprietà di Bankitalia sono una sessantina (meno, per le fusioni), quindi più di 740 soggetti restano fuori. Sia dal regalo che dalla ricapitalizzazione. Sotto tale profilo, quindi, questo sarebbe il più squilibrato e dissennato rimedio alla sottocapitalizzazione. 4. Il governatore della Bd’I, Ignazio Visco, ha auspicato che i proventi della ricapitalizzazione servano a “favorire il credito”. Ma il credito non è la benevolenza, bensì il mestiere delle banche: se solo alcune ricevono i proventi, potendo anche rivendere le quote in eccedenza, si distorce irrimediabilmente il mercato. 5. Le banche “beneficiate” sono tali perché investirono a suo tempo, sicché non fanno che raccogliere il frutto della loro lungimiranza. Stiamo scherzando? Nel 1936 le quote vennero intestate alle banche pubbliche, che non scelsero un bel niente né investirono: obbedirono. Non c’è alcun merito, in ciò. Da allora a oggi il sistema ha subito una mutazione genetica, quindi l’enorme vantaggio andrebbe in capo a soggetti che nulla hanno a che vedere con quelli “costretti” allora. 6. Perché le banche “escluse” non protestano? Perché dei tre miliardi necessari a coprire il buco Imu 1.2 verrebbe dalla rivalutazione e 1.8 da altre tassazioni sulle banche, pertanto quelle temono di doversi accollare anche l’1.2. Ma è ragionamento di sconfinata miseria e cecità politica.
7. La rivalutazione è comunque necessaria. Verissimo, anche perché siamo gli ultimi a farla, in Europa. Si tenga presente che Bd’I è la banca centrale più patrimonializzata d’Europa (altro primeggiare italiano, umiliato da una classe dirigente inadeguata), ma anche quella con minore capitale. Sempre a causa della legge del 1936. Si rivaluti, dunque. Ma si tenga presente che saremmo anche gli unici a tassarci (12%) nel rivalutare quel che è già collettivo. Tutto per coprire il mancato gettito Imu: il tozzo di pane, per il quale si liquida un patrimonio immenso. 8. La Bundesbank, banca centrale tedesca, obietta circa la rivalutazione per due ragioni: a. perché è mal calcolata; b. perché cerca merce di scambio con la quale mantenere fuori dai controlli della Banca centrale europea le Landesbank. Scambio inaccettabile. Premessa di ulteriore concorrenza sleale. Ragione in più per non fare le cose così male.
Sono un sostenitore della vendita di patrimonio pubblico, al fine di abbattere il debito. Mi sento spesso rispondere che tale dottrina favorisce le svendite. Rispondo come si può e deve evitarle. Mentre si chiacchiera, però, non solo si svende, ma si strasvende, per giunta una cosa, la Bd’I, che si finge sia privata e in realtà è (come tutte le banche centrali) pubblica. E si strasvende consentendo poi di rivendere meglio le quote, portando ricchezza a poche banche private, nonché consentendo l’ingresso nel cuore della sovranità nazionale a investitori non italiani. Può ben darsi che io non abbia capito nulla, ma se ho capito anche solo un friccico c’è, fra i sostenitori di tale operazione, solo una categoria di persone meritevole di un qualche, sebbene lombrosiano, apprezzamento: quelli che ne traggono profitto.
Metto nel conto l’ipotesi di star dicendo delle sciocchezze, tanto è impressionante l’isolamento in cui queste parole cadono (unico conforto il prof. Francesco Forte). Ma temo di non sbagliare. Per questo comincio dalle obiezioni che mi sono state mosse, riservatamente, dato che di questa storia nessuno vuole parlare. 1. L’idea di trasformare la Bd’I in una public company è una bubbola. E’ vero, lo ha detto il ministro, Fabrizio Saccomanni, ma l’anglicismo deve averlo tradito. Che obiezione è? Il ministro lo ha detto. Una public company non è una società con molti soci, ma una società quotata in cui nessuno esercita il controllo ed è affidata al management. Se si è sbagliato deve ammetterlo chiaramente. E se non lo ammette ogni sospetto non è lecito, ma doveroso. Non una sola banca centrale ha le caratteristiche descritte dal ministro. 2. L’indipendenza della banca centrale non è garantita dall’assetto proprietario, ma dallo statuto e dalle leggi. Vero, ma è una tesi che dimostra troppo: se è così la cosa migliore consiste nel renderla pienamente e totalmente statale (come altre banche centrali) e rivalutarne le quote, patrimonio pubblico.
3. La ricapitalizzazione è vitale per ripatrimonializzare le banche italiane. Questa obiezione apre la strada a una versione grossolana: si tratta di un regalo alle banche. Respinte entrambe le cose: il sistema bancario italiano conta più di 800 banche (troppe), quelle presenti nella proprietà di Bankitalia sono una sessantina (meno, per le fusioni), quindi più di 740 soggetti restano fuori. Sia dal regalo che dalla ricapitalizzazione. Sotto tale profilo, quindi, questo sarebbe il più squilibrato e dissennato rimedio alla sottocapitalizzazione. 4. Il governatore della Bd’I, Ignazio Visco, ha auspicato che i proventi della ricapitalizzazione servano a “favorire il credito”. Ma il credito non è la benevolenza, bensì il mestiere delle banche: se solo alcune ricevono i proventi, potendo anche rivendere le quote in eccedenza, si distorce irrimediabilmente il mercato. 5. Le banche “beneficiate” sono tali perché investirono a suo tempo, sicché non fanno che raccogliere il frutto della loro lungimiranza. Stiamo scherzando? Nel 1936 le quote vennero intestate alle banche pubbliche, che non scelsero un bel niente né investirono: obbedirono. Non c’è alcun merito, in ciò. Da allora a oggi il sistema ha subito una mutazione genetica, quindi l’enorme vantaggio andrebbe in capo a soggetti che nulla hanno a che vedere con quelli “costretti” allora. 6. Perché le banche “escluse” non protestano? Perché dei tre miliardi necessari a coprire il buco Imu 1.2 verrebbe dalla rivalutazione e 1.8 da altre tassazioni sulle banche, pertanto quelle temono di doversi accollare anche l’1.2. Ma è ragionamento di sconfinata miseria e cecità politica.
7. La rivalutazione è comunque necessaria. Verissimo, anche perché siamo gli ultimi a farla, in Europa. Si tenga presente che Bd’I è la banca centrale più patrimonializzata d’Europa (altro primeggiare italiano, umiliato da una classe dirigente inadeguata), ma anche quella con minore capitale. Sempre a causa della legge del 1936. Si rivaluti, dunque. Ma si tenga presente che saremmo anche gli unici a tassarci (12%) nel rivalutare quel che è già collettivo. Tutto per coprire il mancato gettito Imu: il tozzo di pane, per il quale si liquida un patrimonio immenso. 8. La Bundesbank, banca centrale tedesca, obietta circa la rivalutazione per due ragioni: a. perché è mal calcolata; b. perché cerca merce di scambio con la quale mantenere fuori dai controlli della Banca centrale europea le Landesbank. Scambio inaccettabile. Premessa di ulteriore concorrenza sleale. Ragione in più per non fare le cose così male.
Sono un sostenitore della vendita di patrimonio pubblico, al fine di abbattere il debito. Mi sento spesso rispondere che tale dottrina favorisce le svendite. Rispondo come si può e deve evitarle. Mentre si chiacchiera, però, non solo si svende, ma si strasvende, per giunta una cosa, la Bd’I, che si finge sia privata e in realtà è (come tutte le banche centrali) pubblica. E si strasvende consentendo poi di rivendere meglio le quote, portando ricchezza a poche banche private, nonché consentendo l’ingresso nel cuore della sovranità nazionale a investitori non italiani. Può ben darsi che io non abbia capito nulla, ma se ho capito anche solo un friccico c’è, fra i sostenitori di tale operazione, solo una categoria di persone meritevole di un qualche, sebbene lombrosiano, apprezzamento: quelli che ne traggono profitto.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.